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La notizia che milioni di appassionati nel mondo attendevano arriva dal British Medical Journal of Sports Medicine: giocare a calcio fa bene. Riduce le pressione sanguigna, regola i battiti cardiaci e il metabolsimo, mantiene elastiche le articolazioni.Tutti in campo, dunque.

La partitella a pallone con gli amici farà anche infastidire le mogli, ma fa bene al cuore dei mariti. A evidenziarlo è una review, pubblicata dal British Journal of Sports Medicine, secondo la quale, rispetto a chi è inattivo, chi gioca a calcio in modo amatoriale presenta una riduzione dei valori di colesterolo, della pressione arteriosa e della frequenza cardiaca a riposo, nonché una minore massa grassa. La ricerca dell’University of Southern Denmark di Odense ha anche evidenziato che, rispetto ad altre attività come la corsa o la zumba, il calcio darebbe anche benefici a livello sociale e motivazionale.

Per la ricerca, gli studiosi hanno esaminato 31 studi scientifici pubblicati sugli effetti del calcio su pressione sanguigna, frequenza cardiaca a riposo, composizione del grasso corporeo salute metabolica e capacità di saltare. Negli studi, l’attività svolta mentre si faceva calcio era paragonata a nessun o ad altre forme di esercizio fisico. Dai risultati è emerso che, rispetto a chi è inattivo, chi gioca a calcio mostra i primi benefici a livello di pressione sanguigna. In particolare, la pressione sistolica si riduce, in media, di 4,2 mmHg, e quella diastolica di 3,89 mmHg.

E il beneficio del giocare a calcio è ancora più evidente tra le chi ha una pressione arteriosa leggermente elevata o una leggera ipertensione. Tra queste persone, infatti, la riduzione della pressione sistolica e diastolica si attesta , rispettivamente, a 10 e 7 mmHg. I giocatori di calcio, inoltre, mostrano una frequenza cardiaca a riposo di circa sei battiti al minuto più lenta rispetto agli individui inattivi. Mentre per quel che riguarda il confronto con altre attività, solo piccoli studi inclusi nella review hanno analizzato le differenze. In particolare, rispetto alla corsa o alla danza zumba, il calcio avrebbe mantenuto i sui vantaggi a livello di pressione sanguigna, grasso corporeo, frequenza cardiaca e colesterolo Ldl.

Fonte: British Journal of Sports Medicine

Lisa Rapaport

(Versione italiana Quotidiano Sanità/Popular Science)


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E’ la qualità dei cibi più che la loro quantità a far perdere peso. Non esiste una dieta più efficace dell’altra e che quel che conta è la qualità della dieta, più che il numero delle calorie. Meno cibi processati e raffinati, più verdure e cibi integrali e il gioco è fatto.

Per perdere peso, sono più efficaci le diete a basso contenuto di grassi (low-fat) o quelle a basso contenuto di carboidrati (low-carb)? E’ una questione annosa e tanti sono stati gli studi che hanno cercato di dare una risposta definitiva. Adesso, un nuovo studio, siglato da Christopher D. Gardner, direttore degli studi sulla nutrizione presso lo Stanford Prevention Research Center e appena pubblicato su JAMA, prova a dire la sua in merito, aggiungendo nella valutazione anche il pattern genotipico del paziente o quello della sua secrezione insulinica.

Lo studio Diet Intervention Examining The Factors Interacting with Treatment Success (DIETFITS), a disegno randomizzato, ha coinvolto 609 adulti sovrappeso, di età compresa tra i 18 e i 50 anni, valutandone le variazioni del peso corporeo nell’arco di 12 mesi; non sono emerse differenze significative nel calo ponderale tra i soggetti assegnati alla dieta healthylow-fat (-5,3 Kg) o alla dieta healthy low-carb (- 6,0 Kg), neppure rispetto all’assetto genotipico del paziente (3 SNP multilocus genotype pattern), né del suo pattern di secrezione insulinica.

I partecipanti allo studio venivano istruiti su come scegliere i cibi più salutari; così a quelli assegnati alla dieta low-carb venivano consigliati avocado, salmone, carni magri da animali allevati al pascolo, formaggi duri, frutta a guscio, vegetali. Quelli assegnati al braccio low-fat venivano incoraggiati a consumare riso integrale, orzo, carni magre, lenticchie, latticini a basso contenuto di grassi, quinoa, frutta fresca e legumi.  I pazienti venivano inoltre istruiti a non cadere nella trappola dei cibi processati (dolciumi, patatine fritte, ecc) che espongono etichette nelle quali si professano ‘low-carb’ o ‘low-fat’perché sempre cibi processati rimangono e in quanto tali pieni di sale, di sostanze chimiche e di ingredienti poco salutari.

Ai pazienti non venivano imposti rigidi limiti all’apporto calorico e, sebbene incoraggiati a fare attività fisica, nessuno di loro alla fine dello studio aveva modificato in maniera sostanziale le proprie abitudini.

Ad essere cambiato invece, e molto, è stato il loro rapporto col cibo: alla fine dello studio non mangiavano più in macchina o davanti al televisore e molti di loro avevano preso a cucinare i cibi a casa e a mangiare a tavola riuniti con la famiglia.

Questo studio sembra dimostrare che né la genetica, né il pattern di secrezione insulinica (quindi la sua capacità di metabolizzare carboidrati e grassi) di un individuo siano importanti ai fini del calo ponderale, ottenuto con una dieta o con un’altra.

Quello che sicuramente conta e fa la differenza, anche in termini di ottenere un calo ponderale, invece è che la dieta sia ‘sana’, cioè povera di zuccheri aggiunti, cibi processati e cereali raffinati. Inserire nella dieta alimenti integrali e vegetali è insomma più importante che perdersi in un estenuante conto delle calorie o nel tagliare a dismisura le porzioni, se si vuole perdere peso in maniera salutare, assicurano gli esperti. Importante è anche che sia sano come e quando vengono consumati gli alimenti: a tavola, insieme alla famiglia, possibilmente a televisore spento è il modo migliore.


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L’Ufficio regionale per l’Europa dell’Oms ha pubblicato nuovi dati per il 2017. Il numero più alto di persone colpite è stato segnalato in Romania (5562), Italia (5006) e Ucraina (4767): colpa del calo della copertura vaccinale di routine e di sistemi di sorveglianza delle malattie poco efficaci.

Europa: 304% dei casi di morbillo in più nel 2017, dai 5.273 del 2016 ai 21.315 dello scorso anno. La malattia che ha colpito, appunto, 21.315 persone e causato 35 morti, dopo il minimo storico nell’anno precedente.

E in Italia va peggio con un aumento – dagli 862 casi del 2016 ai 5006 del 2017 – del 481%, il 23% di tutti i casi di morbillo della Regione europea Oms.

L’Ufficio regionale per l’Europa dell’Oms ha pubblicato nuovi dati per il 2017.

“Ogni nuova persona colpita dal morbillo in Europa ci ricorda che i bambini e gli adulti non vaccinati, indipendentemente da dove vivono, rimangono a rischio di contrarre la malattia e di diffonderla ad altri che potrebbero non essere in grado di farsi vaccinare. Oltre 20.000 casi di morbillo e 35 vite perse solo nel 2017 sono una tragedia che non possiamo accettare “, afferma il direttore regionale dell’Oms per l’Europa.

“L’eliminazione di morbillo e rosolia è un obiettivo prioritario a cui tutti i paesi europei si sono impegnati fermamente per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile legati alla salute”, continua Jakab. “Questa battuta d’arresto non può impedire il nostro impegno di liberare i nostri bambini da queste malattie una volta per tutte”.

Grandi epidemie di morbillo colpiscono 1 su 4 paesi europei. L’ondata di casi di morbillo nel 2017 ha incluso quelle che l’Oms definisce “grandi epidemie” (100 o più casi) in 15 dei 53 paesi della Regione.

Il numero più alto di persone colpite è stato segnalato in Romania (5562), Italia (5006) e Ucraina (4767). Questi paesi hanno avuto una serie di eventi negativi negli ultimi anni, come il calo della copertura complessiva delle vaccinazioni di routine, la copertura costantemente bassa tra alcuni gruppi emarginati, interruzioni nell’approvvigionamento di vaccini o sistemi di sorveglianza delle malattie poco efficaci.

Grecia (967), Germania (927), Serbia (702), Tagikistan (649), Francia (520), Federazione russa (408), Belgio (369), Regno Unito (282), Bulgaria (167), Spagna (152), Cecenia (146) e Svizzera (105) hanno registrato ampi focolai, molti dei quali in calo alla fine del 2017.

Le azioni per fermare gli attuali focolai e prevenirne di nuovi si stanno organizzando su vari fronti. Includono la sensibilizzazione dell’opinione pubblica, l’immunizzazione degli operatori sanitari e di altri adulti particolarmente a rischio, affrontando i problemi nell’accesso e migliorando la pianificazione e la logistica dell’offerta.

I progressi continuano nonostante la ripresa dei casi
Il processo di verifica dell’eliminazione del morbillo e della rosolia per paese, introdotto nel 2012, ha avvicinato la Regione al suo obiettivo di eliminazione di queste patologie.

Ogni anno, la Commissione di verifica regionale indipendente (RVC) esamina i dati dei paesi e le attività di immunizzazione e raccomanda azioni per risolvere le sfide specifiche dei singoli. Alla fine del 2016, 42 dei 53 paesi della regione avevano interrotto la trasmissione endemica del morbillo. Tuttavia, i focolai continueranno a verificarsi fino a quando tutti i bambini e gli adulti suscettibili non saranno protetti.


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Il nuovo sito della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri, già on line, aiuterà i cittadini ad avere risposte affidabili a quelle tante domande su cui spesso cercano risposte su siti, tv o giornali non sempre attendibili

“Dottore, ma è vero che non si deve fare il bagno dopo mangiato?”. “Dottore, ma è vero che la cioccolata fa bene?”. “Dottore, ma è vero che parlare troppo al cellulare fa venire il cancro?”. Sono domande che i medici italiani si sentono porre tutti i giorni dai loro pazienti che, magari, si sono informati prima su siti non sempre affidabili, o hanno ‘orecchiato’ qualcosa in TV, o letto distrattamente un titolo di giornale.

Ora, a rispondere – e ad aiutare i medici a rispondere – ai dubbi dei cittadini arriva Dottoremaeveroche, il nuovo sito della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri (www.dottoremaeveroche.it e https://dottoremaeveroche.it).

“Dottoremaeveroche si compone di una sezione contro le fake news, dedicata al cittadino, che potrà trovare risposte semplici ed argomentate alle più comuni domande in tema di salute, e di una sezione dedicata agli operatori con un vero e proprio “kit di primo soccorso comunicativo” composto da infografiche e brevi clip, da condividere con il proprio paziente durante la spiegazione di determinati argomenti,” sottolinea Alessandro Conte, Coordinatore del Gruppo di Lavoro composto da medici del Comitato Centrale Fnomceo, giornalisti scientifici, comunicatori e debunker, e che si appoggia a un board composto dalle Società Scientifiche che hanno dato la loro adesione.

Il sito è stato presentato al Ministero della Salute, a conclusione dell’evento “La comunicazione della Salute al tempo delle fake news”, alla presenza del Ministro della Salute Beatrice Lorenzin.

“Le “bufale” o “fake news”, fenomeno purtroppo quanto mai moderno- che oggi incidono pesantemente sulla salute- rischiano di trasformarsi in vere e proprie azioni criminose, colpevolmente sostenute o meno da interessi economici, o soltanto dalla scellerata supponenza dell’ignorante” – afferma Cosimo Nume, Coordinatore Area Strategica Comunicazione Fnomceo e responsabile scientifico del Convegno.

“In un mondo dove a volte la gente rischia di rimanere vittima di fake news sulla salute o, peggio, di false terapie, il sito vuole dare un piccolo contributo di certezza partendo dalle evidenze scientifiche, da quello che la scienza ha dimostrato, quello che è riproducibile, quello che noi chiamiamo verità scientifica” conclude Filippo Anelli, presidente Fnomceo.


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Due trapianti di rene crociato tra due coppie incompatibili sono stati eseguiti con successo, grazie a una tecnica che “ripulisce” il sangue del ricevente ed evita il rigetto dell’organo.

La tecnica, che prevede nel trapianto crociato la contemporanea desensibilizzazione di un donatore di rene con gruppo AB0 incompatibile, è stata impiegata per la prima volta in Italia dalle equipe del Policlinico Gemelli e dell’Ospedale San Camillo.

La complessa e riuscita operazione anche grazie al coordinamento con il Centro Regionale Trapianti del Lazio e Ares 118. Il trapianto di rene da donatore vivente è oggi la migliore cura per un paziente con insufficienza renale terminale. Tuttavia, quando una persona vuole donare l’organo, a volte non è possibile fare il trapianto perché la coppia è incompatibile: a causa della presenza di anticorpi contro le caratteristiche genetiche del donatore o a causa della presenza di anticorpi contro il gruppo sanguigno del donatore.

«Per risolvere queste incompatibilità abbiamo a disposizione due tecniche: il trapianto crociato e il trapianto con desensibilizzazione ABO», spiegano Franco Citterio, a capo dell’equipe chirurgica dell’Unità Operativa Trapianti di rene del Gemelli, e Massimo Iappelli, alla guida dell’equipe chirurgica del Dipartimento Interaziendale Trapianti del San Camillo, che hanno eseguito l’operazione salvavita. «Abbiamo per la prima volta in Italia, abbinato due diverse tecniche per risolvere una complessa rete di incompatibilità. Sinora erano state considerate alternative e non complementari». A due mesi dall’intervento donatori e riceventi godono di ottima salute.

ANSA


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Assicurare a pazienti e familiari tutta l’informazione e l’assistenza necessarie per utilizzare questa opportunità e un centro per il monitoraggio 24 ore su 24, 7 giorni su 7, al quale rivolgersi quando il proprio caro dovesse smarrirsi. E’ ciò che prevede il protocollo firmato dall’Assessorato regionale al Diritto alla salute, dalla Prefettura di Firenze, dall’AIMA e da Penelope onlus.

Dotare i pazienti con disturbi cognitivi da Alzheimer di un semplice dispositivo GPS per localizzarli in caso di smarrimento e consentire ad una centrale operativa di rintracciarli e soccorrerli. Assicurare a pazienti e familiari tutta l’informazione e l’assistenza necessarie per utilizzare questa opportunità e un centro per il monitoraggio 24 ore su 24, 7 giorni su 7, al quale rivolgersi quando il proprio caro dovesse smarrirsi. E’ ciò che prevede per grandi linee un protocollo, il primo di questo genere, firmato lo scorso 2 febbraio dall’Assessorato regionale al Diritto alla salute della Regione Toscana, dalla Prefettura di Firenze, dall’AIMA – Associazione Italiana Malattia di Alzheimer e da Penelope onlus.

L’apparecchio, che potrà essere indossato dalla persona con decadimento cognitivo, sarà messo a disposizione gratuitamente e affidato in comodato d’uso a pazienti e familiari, che dovranno limitarsi esclusivamente a dotarsi di una sim card per il suo funzionamento. In caso di smarrimento, i familiari potranno avvertire un centro di monitoraggio, attivo h24, in grado di localizzare la persona scomparsa e di attivarne la ricerca con l’intervento delle forze di polizia, coordinate dalla Prefettura, e del servizio sanitario.

Le difficoltà di orientamento, a partire dalle prime fasi del decadimento cognitivo collegato ad una demenza rappresentano, come è noto, un rischio non irrilevante, e contribuiscono a rendere più pesante l’impatto sociale della malattia. L’incapacità di ritrovare la strada di casa, o di sapere esattamente dove ci si trova, può mettere a rischio l’incolumità di queste persone, talvolta anche la vita, oltre che la serenità delle loro famiglie. Le tecnologie possono rappresentare, quindi, un aiuto importante.

App, bracciali, orologi ed etichette che utilizzano il sistema di localizzazione GPS offrono ormai una vasta gamma di possibilità per la protezione di pazienti con decadimento cognitivo, e possono essere scelti in maniera da tenere massimamente presenti le esigenze della persona e dei familiari, comprese le garanzie di sicurezza rispetto alla necessità che questi strumenti siano costantemente indossati.

Tra gli elementi qualificanti del protocollo, la collocazione dell’utilizzo della tecnologia GPS all’interno del percorso di presa in carico del paziente e della relazione con caregiver e familiari. E’ prevista una valutazione di appropriatezza d’intesa, laddove possibile, con lo stesso paziente e nel massimo rispetto della sua privacy, oltre che con i caregiver. L’assegnazione di un dispositivo di geolocalizzazione non può prescindere, infatti, dalla valutazione attenta delle capacità e dei bisogni della persona, anche in relazione alla qualità della rete che lo ha preso in carico. Su questi aspetti è necessaria, inoltre, la massima chiarezza su finalità, valore e limiti dello strumento e del suo utilizzo, che vanno condivisi con i caregivers.

Non a caso il protocollo è stato firmato a breve distanza dalla adozione da parte della Regione Toscana di un piano regionale contro le demenze, e si inserisce a pieno titolo nelle politiche messe a punto per contrastare l’elevato impatto sociale di questa malattia. Il piano concentra la propria attenzione, tra l’altro, sulla presa in carico integrata del paziente e della sua famiglia e sull’organizzazione di una rete socio-sanitaria integrata di sostegno. Tra gli obiettivi, la creazione di una rete di servizi che non lascino mai soli paziente e familiari, e la crescita della consapevolezza della comunità sulle demenze e sul loro impatto sociale.

In Toscana i casi di demenza sono circa 86 mila, 23 mila dei quali in provincia di Firenze, mentre i pazienti con Alzheimer sono 47 mila.


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Una o più bevande zuccherate gassate al giorno mettono a rischio la fertilità, riducendo le chance di una gravidanza. Il problema è più grave se a consumarle sono gli uomini.

Attraverso il Pregnancy Study Online (PRESTO), uno studio prospettico online di coppie nordamericane, i ricercatori hanno intervistato 3.828 donne tra 21 e 45 anni residenti negli Usa o in Canada e 1.045 tra i loro partner maschi. I partecipanti hanno completato un’indagine di base completa sulla storia medica, lo stile di vita e la dieta, compreso il consumo di bevande zuccherate. Le partecipanti donne hanno quindi completato un questionario di follow-up , cioè di aggiornamento, ogni due mesi per un massimo di 12 mesi o fino alla gravidanza.

L’assunzione sia femminile che maschile di bevande zuccherate è risultata associata a una fecondabilità, cioè la probabilità media mensile di concepimento, ridotta del 20%. Coloro che consumavano almeno una bevanda gassata zuccherata al giorno avevano una fecondabilità inferiore del 25%, mentre il consumo maschile era associato a una fecondabilità inferiore del 33%. L’assunzione di bevande energetiche era correlata a riduzioni ancora maggiori della fertilità, sebbene i risultati fossero basati su un numero limitato di consumatori. E’ stata riscontrata invece una scarsa associazione tra il consumo di succhi di frutta o bibite dietetiche e la fertilità.

«Le coppie che pianificano una gravidanza – evidenzia l’autrice principale della ricerca Elizabeth Hatch – potrebbero considerare di limitare il consumo di bevande zuccherate gassate, specialmente perché sono anche correlate ad altri effetti avversi sulla salute».

ANSA


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Per la prima volta al mondo è stato eseguito un trapianto di fegato da donatore a cuore non battente dopo aver sottoposto l’organo a perfusione normotermica.

Un trapianto di fegato da donatore a cuore non battente e che ha preservato l’organo con la perfusione normotermica è stato eseguito presso l’Azienda Ospedaliero Universitaria di Pisa nella notte tra il 3 e il 4 febbraio.

È la prima volta al mondo che le due procedure vengono usate insieme.

Il programma regionale di trapianto di organi da donatore a cuore non battente in Toscana è stato avviato sul finire del 2016 e aveva visto la realizzazione solo di trapianti di rene. Nel 2017 però la macchina organizzativa del Centro trapianti di fegato ha lavorato alla realizzazione della perfusione normotermica del fegato, un’innovativa tecnica che consente di perfondere l’organo del donatore dopo il prelievo con sangue e nutrienti e prima di essere trapiantato nel ricevente. Così, dopo aver eseguito 14 procedure con questo tipo di perfusione, l’équipe dell’Aoup l’ha applicata ieri per la prima volta alla donazione del fegato da un donatore a cuore non battente.

Lo scopo di combinare la perfusione normotermica al trapianto da donatore a cuore non battente è di migliorare le condizioni del fegato e di “testarlo” prima che sia trapiantato, valutandone la qualità.

La catena del trapianto si è avviata sabato 3 febbraio, quando all’Aou Careggi di Firenze si è reso disponibile un donatore a cuore non battente. Sono immediatamente partite le procedure di segnalazione ed espianto. Dopo aver prelevato il fegato, l’organo è stato riportato a Pisa dove è stato sottoposto a circa 3 ore di perfusione normotermica prima di essere trapiantato.

Del trapianto ha beneficiato un paziente toscano in lista al Centro trapianti dell’Aoup da circa 2 mesi.


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