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Il diabete provoca ogni anno quasi lo stesso numero di decessi causati dal cancro, 130 mila contro 160 mila morti, ma la patologia continua ad essere tuttora sottostimata.

In Italia circa 10 milioni di persone sono ad alto rischio di sviluppare diabete, di cui circa un quarto avrà la malattia nei prossimi 10 anni se non si farà nulla per evitarlo.

La Fondazione Diabete Ricerca Onlus e la Società Italiana di Diabetologia scendono in campo per informare con la campagna “Sfidiamo il diabete” nell’ambito della Giornata mondiale 2017.

Il diabete mellito è sempre più diffuso in Italia, ne soffrono circa 4 milioni di persone, con un impegno sempre più  gravoso per il Servizio Sanitario Nazionale. Ogni 10 minuti una persona con diabete viene colpita da infarto o ictus, oppure sviluppa un problema serio alla vista, spiegano gli esperti. Ogni 52 minuti una persona con questa patologia subisce un’amputazione, ogni 4 ore un paziente deve iniziare la dialisi e ogni 5 minuti una persona muore a causa del diabete stesso o se ne soffre come concausa importante.

«Le persone con diabete devono essere assistite con un approccio multi-professionale e multi-dimensionale in atto da tempo – indicano – quest’anno ricorre il trentennale della legge 115 che ha di fatto formalizzato la cura presso quella rete di centri diabetologici che costituisce una peculiarità italiana per la sua diffusione capillare».

ANSA


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Nel 2016 per la prima volta il numero di morti per morbillo nel mondo è sceso sotto i 100mila.

Lo afferma un rapporto dell’Oms, secondo cui però l’obiettivo di eliminazione del virus è ancora lontano, con quasi 21 milioni di bambini che non vengono vaccinati. La stima degli esperti è che ci siano stati 90mila morti lo scorso anno, un calo dell’84% rispetto ai 550mila del 2000.

«Poter salvare una media di 1,3 milioni di vite all’anno grazie al vaccino è un progresso incredibile» afferma Robert Linkins, della Measles and Rubella Initiative (MR&I) «e ci fa pensare che un mondo libero dal virus sia possibile, forse anche probabile, nel prossimo futuro».

In totale nel 2016 sono stati notificati oltre 130mila casi, concentrati nel settore del Pacifico occidentale e in Africa. In Europa ne sono riportati circa 4200, mentre l’America, che ha lo status di “morbillo free” ha notificato solo 12 casi. Metà dei bambini non vaccinati, sottolinea il rapporto, vive in sei paesi: Nigeria, India, Pakistan, Indonesia, Etiopia e Repubblica Democratica del Congo.

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Dolce, salato, amaro, aspro, grasso e umami, il sapore del glutammato. Sono questi i sei gusti principali, a cui si aggiunge un settimo identificato da una ricerca australiana: i carboidrati.

Secondo gli studiosi le persone sensibili al gusto di pasta, pane e patate, che amano questi alimenti, ne consumano di più e questo aumenta il girovita.

Per la ricerca, pubblicata sul Journal of Nutrition, sono state prese in esame 34 persone, trovando correlazioni significative tra quanto alcune di loro fossero sensibili ai carboidrati (in particolare maltodestrina e oligofruttosio), il consumo, la quantità di energia assunta e il girovita. «Coloro che erano più sensibili al gusto del carboidrato mangiavano una quantità maggiore di alimenti che ne contenevano e avevano un girovita più ampio» spiega Julia Low, una delle autrici dello studio.

I ricercatori evidenziano che i carboidrati per tanto tempo sono stati considerati invisibili al gusto. «È in genere lo zucchero, con il suo gusto dolce che provoca piacere, il carboidrato più ricercato» aggiunge il professor Russell Keast, autore principale della ricerca. «Ma il nostro studio – conclude – ha dimostrato che esiste una qualità del gusto percepibile da altri carboidrati indipendenti dal gusto dolce».

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Donne sottopeso o che pesavano troppo poco da adolescenti o quando erano 30enni sono a maggior rischio (dal 30% fino al 59% in più di rischio) di andare incontro a menopausa precoce (prima dei 45 anni) rispetto a coetanee di peso normale o anche magre.

Lo rivela un ampio studio su quasi 80 mila donne condotto presso la University of Massachusetts, USA, e pubblicato sulla rivista Human Reproduction.

La menopausa precoce è un evento che riguarda in media circa una donna su 10: si accompagna a una serie di problemi di salute come maggior rischio cardiovascolare, osteoporosi, rischio di morte prematura e declino cognitivo, spiega Kathleen Szegda che ha condotto lo studio.

Nel lavoro le donne sono state tenute sotto osservazione dall’età di 25 anni e dati relativi alla loro vita adolescenziale sono stati raccolti per ciascuna. È emerso che donne che sono state sottopeso in un qualunque momento della loro vita hanno in media un rischio di menopausa precoce del 30% maggiore rispetto a donne di peso normale. Donne sovrappeso, invece, hanno un rischio minore (del 21-30% in meno) di andare incontro a menopausa precoce rispetto a donne normopeso. In particolare donne che erano sottopeso a 18 anni hanno un rischio del 50% in più; donne che sono state sottopeso a 35 anni un rischio del 59% maggiore.

Dato il vasto campione di donne esaminato lo studio è una buona evidenza del fatto che una condizione prolungata o temporanea di peso sotto la norma può esercitare un’influenza sull’età della menopausa.

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Il freddo è arrivato e tra pochi giorni, con il consueto passaggio all’ora solare, si perderà un’ora di luce al dì, ed è così che il cambio di stagione può influenzare anche pesantemente la nostra salute mentale e fisica, facendo strada al rischio di disturbi stagionali dell’umore, pigrizia, sonnolenza, aumento dell’appetito e chili di troppo.

E’ quanto spiegato sul magazine Psychology Today da Joel Young, dirigente medico del Rochester Center for Behavioral Medicine.

Fortunatamente, anche per coloro che proprio non sopportano le stagioni fredde, ci sono rimedi per superare indenni autunno e inverno, spiega Young. In primis è importante essere consapevoli di cosa innescano le stagioni fredde: la riduzione della luce naturale ha effetti sul nostro equilibrio psicofisico, infatti l’organismo ha bisogno di luce per produrre vitamina D (la cui carenza, guarda caso, è associata a disturbi depressivi). Si stima che il 5% della popolazione soffra di disturbi stagionali dell’umore, quasi sempre disturbi depressivi autunnali e invernali. Inoltre un’ora in meno di luce, insieme a cielo grigio e freddo, può cambiare i ritmi naturali del nostro corpo, sconvolgendo orari di sonno e veglia e il controllo dell’appetito.

E non è solo il clima a buttare giù delicati equilibri psicofisici: fonte di stress sono pubblicità e trasmissioni natalizie (che iniziano sempre prima) che dipingono una realtà tutta infiocchettata di famiglie felici; ma la realtà è molto più cruda per molti, con dispute familiari infinite, scarsa voglia di unirsi ai parenti per i pranzi domenicali e festività.

Cosa fare allora contro questo ciclone di negatività? In primis sfruttare il più possibile la luce naturale, organizzarsi per una pausa pranzo all’aperto, e, se necessario, fare sedute di luce-terapia. Poi regalarsi almeno 30 minuti al dì di attività fisica per almeno 5 giorni a settimana e mangiare sano, prediligendo cibi ricchi di energetiche vitamine B (pesce, uova, legumi, avena, noci, banane etc).

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Nel pomeriggio, dalle ore 16,00 alle ore 20,00, sarà presente un’esperta estetista che, oltre a truccare gratuitamente, potrà suggerire tecniche e segreti per un make-up strepitoso.

Nell’occasione, sarà riservato un particolare sconto sull’acquisto dei prodotti per il trucco delle Linee La Roche Posay, Vichy, EuPhidra (non cumulabile con altre promozioni in corso).

Prenota la tua seduta trucco gratuita, rivolgendoti alla Responsabile DermoCosmetica, la dott.ssa Valentina.


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Dopo un infarto il 60% dei pazienti rifiuta la riabilitazione per il cuore, ma dal Tai Chi può arrivare un aiuto. I movimenti lenti e gentili di questa disciplina la rendono promettente come alternativa di esercizio.

E’ quanto emerge da una ricerca guidata dalla Warren Alpert School of Medicine della Brown University, pubblicata sul Journal of the American Heart Association.

Gli studiosi hanno preso in esame 29 persone con problemi cardiaci non attive fisicamente (otto donne e ventuno uomini, di un’età media di 67 anni). Sebbene la maggioranza avesse sperimentato un infarto o una procedura di sblocco di un’arteria bloccata avevano tutti rifiutato la riabilitazione cardiaca e continuavano ad avere molti comportamenti a rischio, come fumo o colesterolo alto.

Sono stati sperimentati due programmi di Tai Chi, uno più corto e uno dalla durata più lunga.

Dai risultati è emerso che questa disciplina era sicura e senza effetti collaterali particolari, risultava gradita ai partecipanti (il 100 per cento l’avrebbe raccomandata a un amico) e in coloro che avevano seguito il programma nella versione più lunga portava anche un aumento dell’attività fisica settimanale da moderata a vigorosa.

«Da solo il Tai Chi non sostituirà ovviamente altri componenti della riabilitazione cardiaca tradizionale, come l’informazione sui fattori di rischio, la dieta e l’aderenza alla terapia – evidenzia Elena Salmoirago-Blotcher, autrice principale della ricerca – se si dimostrerà efficace in studi più ampi, potrebbe essere possibile offrirlo come opzione di esercizio all’interno di un centro di riabilitazione come soluzione ponte verso un esercizio più faticoso».

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La quantità di bibite zuccherate bevute dall’aspirante mamma potrebbe compromettere l’esito della fecondazione assistita.

Lo rivela una ricerca pubblicata sulla rivista Fertility and Sterility e condotta presso la Harvard T.H. Chan School of Public Health di Boston, Massachusetts.

Un campione di 340 donne che doveva sottoporsi a fecondazione assistita per problemi di fertilità (o per fare diagnosi reimpianto per via di rischio di malattie genetiche) è stata sottoposta a questionari dettagliati sulle sue abitudini di consumo in quanto a bevande (consumo di bevande con caffeina, tè, tisane, bibite, energy drink).

I ricercatori hanno valutato l’esistenza di associazioni tra abitudini di consumo e numero totale di ovociti, cellule uovo mature e fecondate, nonché il numero degli embrioni di migliore qualità prodotti. E’ emerso che, mentre il consumo di caffeina non sembra avere alcun impatto sul successo della fecondazione assistita, le bibite zuccherate sono risultate legate a minore numero di ovociti raccolti e maggiore proporzione di embrioni di bassa qualità prodotti.

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Il rischio di ammalarsi di diabete potrebbe essere ridotto con una dieta ricca di grassi polinsaturi di tipo ”omega 6”, che si trovano in abbondanza nella soia e nei semi come quelli di girasole oppure nella frutta secca.

Lo suggerisce una ricerca pubblicata su The Lancet Diabetes & Endocrinology e condotta da Jason Wu della George Institute for Global Health a Sidney. Lo studio è la revisione di una serie di ricerche fatte in merito al consumo di grassi omega 6.

Gli esperti hanno considerato un totale di quasi 40.000 individui, tutti sani all’inizio dell’analisi. Oltre 4000 di questi nel corso del tempo si sono ammalati di diabete di tipo 2 (la forma più diffusa, oggi epidemica nel mondo, in cui l’organismo diviene resistente all’ormone insulina, insensibile ad esso). All’inizio dello studio è stata stimata la concentrazione di grassi Omega 6 nel sangue di tutti gli individui misurando in particolare la concentrazione di ‘acido linoleico’ che rappresenta il grasso omega 6 più comune.

È emerso che coloro che avevano una gran quantità di acido linoleico nel sangue presentavano un rischio di ammalarsi di diabete del 35% inferiore rispetto a coloro che avevano bassi livelli di acido linoleico nel sangue.

In passato i grassi omega-6 sono stati considerati potenzialmente nocivi perché associati al rischio di favorire infiammazione cronica. Ma questo studio sembra riabilitarne l’immagine come grassi benefici per la salute.

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Se il bimbo ha il diabete 1, occhio anche alla celiachia. I piccoli con diabete, infatti, sembrano avere un rischio quasi triplo di sviluppare anticorpi per la celiachia, che possono eventualmente portare a uno sviluppo della malattia.

E’ quanto emerge da una ricerca guidata dal Pacific Northwest Research Institute di Seattle, pubblicata online su Pediatrics.

Gli studiosi hanno preso in esame 5891 bimbi sotto i sei anni, a cui sono stati fatti i test per gli anticorpi e che sono stati seguiti in media per oltre cinque anni. Sono stati trovati anticorpi legati al diabete di tipo 1 in 367 bambini, mentre quelli legati alla celiachia sono stati rilevati in 808 e quelli associati a entrambe le condizioni in 90. Quest’ultimo dato è risultato significativamente più alto rispetto alle stime. Gli anticorpi per il diabete di tipo 1 si sono manifestati tipicamente prima di quelli per la celiachia, hanno osservato i ricercatori, anche se questo «non significa necessariamente che il diabete di tipo 1 abbia portato allo sviluppo di anticorpi celiaci» come spiega Christine Ferrara, dell’Università della California di San Francisco, coautrice di un editoriale che accompagna lo studio.

«Le persone con una malattia tendono ad avere l’altra. Coloro che hanno anticorpi del diabete di tipo 1 dovrebbero essere sottoposti a screening per quelli celiaci» evidenzia uno degli autori della ricerca, William Hagopian, secondo cui è possibile che il diabete di tipo 1 in qualche modo possa causare la celiachia. Ma potrebbe anche essere un fattore ambientale sovrapposto che in entrambi i casi da’ inizio al processo di malattia».

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