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Dormire con il proprio cane fa riposare meglio, perché offre conforto e senso di sicurezza. Ma attenzione: va bene che stia nella stanza, non nel letto, perché la qualità del riposo in questo caso è sacrificata.

È quanto emerge da uno studio del Centre for Sleep Medicine della Mayo Clinic’s Arizona campus, pubblicato sulla rivista Mayo Clinic Proceedings.

Gli studiosi hanno preso in esame 40 persone che avevano un cane, sottoposte a una valutazione del sonno con il cane in camera da letto per cinque mesi. Sia i partecipanti allo studio che i loro cani hanno indossato per una settimana appositi device per tracciare con esattezza le loro attività.

I risultati hanno rivelato che, indipendentemente dalla razza del cane, il riposo era migliore se lo si aveva accanto. Ma non a letto, dove anzi la qualità del sonno era messa in crisi. «Oggi, molti proprietari di animali domestici sono lontani da loro per gran parte del giorno, e così vogliono massimizzare il tempo trascorso insieme quando sono a casa – spiega Lois Krahn, una delle autrici dello studio – averli in camera da letto durante la notte è un modo semplice per farlo. Godendo del comfort e sapendo che questo non avrà un impatto negativo sul sonno».

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Una dieta in stile mediterraneo, ricca ad esempio di cereali integrali e verdure, può essere efficace come un farmaco nel migliorare i sintomi del reflusso, anzi può agire addirittura meglio dei rimedi più comunemente utilizzati. Basta associarvi anche gli accorgimenti che generalmente vengono indicati per contrastare questo disturbo, come evitare caffè, tè, cioccolato, alimenti grassi e fritti, cibi piccanti e alcol.

Emerge da una ricerca del Northwell Health’s Feinstein Institute for Medical Research e del New York Medical College, pubblicata su JAMA Otolaryngology Head Neck Surgery.

Gli studiosi hanno preso in esame 184 persone con reflusso laringo-faringeo, dividendole in due gruppi: il primo, seguito dal 2010 al 2012, era costituito da 85 persone ed è stato sottoposto a un trattamento standard e a precauzioni abituali per contrastare i sintomi, il secondo, seguito invece dal 2013 al 2015, era formato da 99 persone che hanno seguito una dieta al 90% vegetale, in stile mediterraneo, oltre alle precauzioni contro il reflusso e un’acqua alcalina, con un ph alto.

Dopo controlli semestrali la percentuale di pazienti che aveva raggiunto una riduzione di sei punti in una scala apposita per il reflusso era di oltre il 62% in chi aveva seguito la dieta e del 54% in chi invece aveva preso i farmaci,anche se dal punto di vista clinico la differenza non era molto rilevante.

Lo stesso regime dietetico ha implicazioni anche per il reflusso gastro-esofageo.

La dieta consigliata dagli studiosi prevede prevalentemente frutta, verdura, cereali e noci con una quasi completa cessazione del consumo di latticini e carni bovine, pollo, pesce, uova e maiale.

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Un consumo giornaliero di agrumi può aiutare a contrastare la demenza. Arance, pompelmi, limoni e lime possono ridurne il rischio fino quasi al 15 per cento.

È quanto emerge da uno studio dell’Università del Tohoku, in Giappone, pubblicato sulla rivista British Journal of Nutrition. Secondo gli studiosi le parti commestibili degli agrumi sono ricche di flavonoidi specifici e alcuni esperimenti condotti a livello cellulare e sugli animali hanno dimostrato che questi flavonoidi possono attraversare la barriera emato-cerebrale e giocare un ruolo come antiossidanti e antinfiammatori, persino riparando qualche forma di danno a livello delle cellule. Per la ricerca sono stati presi in esame i dati dell’Ohsaki Cohort 2006 Study, condotto su una popolazione di over 65 che viveva a Oksaki City, nel nord-est del Giappone.

È stato svolto un sondaggio sulle abitudini alimentari e sul consumo di agrumi e i ricercatori hanno seguito 13.373 persone nel 2012 per vedere quanti avessero sviluppato demenza (definita da una particolare assicurazione sociale che in Giappone occorre stipulare) nel corso di sei anni, escludendo anche altri fattori legati potenzialmente allo sviluppo della malattia.

In coloro che consumavano agrumi 3-4 volte a settimana e ancora di più in chi li consumava tutti i giorni il rischio risultava ridotto rispetto a chi li consumava meno di due volte.

Secondo i ricercatori i risultati dello studio sono incoraggianti, ma naturalmente ci sono ancora tutta una serie di fattori da considerare prima di poter stabilire con completa certezza che consumare agrumi frequentemente riduce il rischio di demenza.

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Non riesco a fare le scale? Andrò ad abitare al piano terra. Sono troppo stanco anche solo per un cinema? Resto in casa, tanto non mi andava. Uscire dalla vasca da bagno è un’impresa? Non importa, preferisco la doccia. La polvere mi toglie il respiro? Niente tappeti, lo sanno tutti che non sono igienici. Ecco qualche esempio di come tanti asmatici italiani si “autolimitano” piuttosto che assumere correttamente le terapie prescritte dal medico. Trucchi dribbla-cure adottati da quasi un paziente su 5, ossia il 18%, secondo un’indagine condotta da Doxa per conto di GlaxoSmithKline. E anche tra quelli che i farmaci li prendono, dilaga una “steroidofobia” che in molti casi li spinge a rinunciare alla parte antinfiammatoria del trattamento, perché «il cortisone fa paura».

Lo spiega Francesco Blasi, ordinario di Malattie respiratorieall’università degli Studi di Milano, che punta l’accento sui pericoli della mancata aderenza terapeutica: «Più riacutizzazioni e un maggior costo, sia economico per il sistema sanitario e per la società, sia per la salute del paziente in termini di qualità della vita e rischio di ricoveri in ospedale». Tra gli asmatici ai quali viene indicata una terapia inalatoria, «appena un paziente su 8 è ancora in trattamento dopo un anno; gli altri 7 l’hanno interrotta» riferisce Alberto Papi, ordinario di Malattie respiratorie all’università degli Studi di Ferrara. Addirittura, aggiunge, «un mese dopo essere uscito dall’ospedale continua a curarsi soltanto il 30%». Il 70% invece ha smesso prima: «Sta meglio e dice basta, proprio come succede con gli antibiotici» conferma Blasi.

Il problema, fotografato anche dalla nuova ricerca (il 96% degli asmatici si dice «sotto controllo» pur ammettendo sintomi seri nel 40% dei casi), è che «a pochi piace sentirsi malato e ancora meno definirsi o essere visto come tale» ragiona Papi «Ed ecco allora che scatta lo stratagemma, il meccanismo dell’adattamento e dell’autolimitazione: se una cosa non riesco a farla, semplicemente non la faccio oppure la faccio diversamente e vado avanti lo stesso».


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L’età massima raggiungibile dalla specie umana è 115,7 anni per le donne e 114,1 anni per gli uomini, un numero che non varia da 30 anni anche se quello delle persone che hanno raggiunto i 95 è triplicato.

Lo afferma uno studio dell’università olandese di Tilburg, ancora non pubblicato ma i cui risultati sono simili a quelli descritti su Nature lo scorso anno da un gruppo statunitense.

I ricercatori hanno analizzato i dati di 75mila persone vissute in Olanda negli ultimi 30 anni, elaborandoli con la cosiddetta “Teoria dei valori estremi”. L’età massima, notano gli autori, non è cresciuta nel periodo considerato, mentre quella media è aumentata. I valori massimi sono a loro volta delle medie, con le punte che possono arrivare a 120 anni. «In media le persone diventano più anziane, ma i più vecchi tra noi hanno sempre la stessa età – sottolineano gli autori dello studio -. C’è sicuramente un tetto».

L’analisi porta a valori simili a quelli dello studio statunitense, che però non fu accolto con favore dal mondo scientifico.

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L’adagio che troppa TV fa male vale anche quando si superano i 50 anni, e non solo per i bambini.

Lo ribadisce uno studio della George Mason University pubblicato dal Journal of Gerontology, secondo cui gli adulti che guardano più di cinque ore al giorno di TV hanno un rischio molto alto di avere problemi di mobilità negli otto anni successivi.

I ricercatori hanno analizzato i dati di oltre 134mila persone tra i 50 e i 71 anni, verificandone le abitudini sull’esercizio fisico. Tutti i partecipanti erano sani all’inizio dello studio, e sono stati seguiti per circa otto anni. «I partecipanti che guardavano la tv per cinque o più ore al giorno avevano un rischio maggiore del 65% di avere una disabilità motoria al termine dello studio» scrivono gli autori «e questo indipendentemente dal livello totale di attività fisica o di altri fattori di rischio conosciuti per questo tipo di problema».

Il maggior rischio riguarda tutti i “binge watchers”, ma in maniera particolare quelli che hanno un livello di attività fisica molto basso, meno di tre ore a settimana.

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Si appoggia innanzitutto sulle farmacie del territorio la campagna predisposta dal ministero della Salute per informare famiglie e opinione pubblica sugli obblighi vaccinali che andranno rispettati dall’avvio della nuova stagione scolastica.

«La farmacia» scrive il Ministro della Salute, Beatrice Lorenzin «rappresenta un canale privilegiato, conosciuto e capillare per contribuire alla diffusione di corrette informazioni in tema di salute e, nel caso specifico, di vaccinazioni. Esprimo quindi il più vivo apprezzamento per l’adesione di Federfarma agli obiettivi del nuovo decreto legge in materia di prevenzione vaccinale e ringrazio sentitamente per il contributo fornito al dicastero».

«Il ministro Lorenzin» scrive dal canto suo il presidente Federfarma Cossolo «chiede alle farmacie italiane di collaborare fattivamente a questa importante campagna di educazione sanitaria. I farmacisti godono della fiducia dei cittadini e possono autorevolmente dare un’informazione corretta combattendo i pregiudizi dettati da ignoranza e insensate paure». Le locandine che saranno esposte, dunque, «costituiscono di per sé preziosi strumenti di informazione, ma sono anche una opportunità per instaurare un dialogo più approfondito con i cittadini sulla utilità e sicurezza dei vaccini e per informare sulle modalità pratiche ed i tempi per effettuare le vaccinazioni».

Le due “infografiche” riassumono le procedure che le famiglie dovranno rispettare per mandare i propri figli a scuola o all’asilo, così come le principali disposizioni del decreto legge sui vaccini.


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Due ore di volontariato a settimana per vincere sentimenti di solitudine e isolamento sociale che spesso gli adulti e gli anziani provano quando rimangono vedovi.

La solitudine è un grave problema, soprattutto tra i più anziani. Inoltre questa condizione esistenziale è legato a declino fisico e mentale, aumento del rischio di malattie cardiache e morte prematura. Per capire come il volontariato possa aiutare le persone che si sentono sole, Dawn Carr e colleghi, del Pepper Institute on Aging and Public Policy presso la Florida State University di Tallahassee, hanno esaminato i dati raccolti tra il 2006 e il 2014 relativi a 5.882 adulti sopra i 51 anni. Tutti erano sposati all’inizio dello studio, ma 667 erano diventati vedovi alla fine della ricerca. Le persone che avevano perso il coniuge erano per la maggior parte donne, nere, più avanti con l’età, più malate, depresse e avevano subito un declino cognitivo.

Inoltre, alcune di queste avevano avuto un coniuge disabile o che aveva sofferto di perdita di memoria. All’inizio dello studio, circa la metà dei partecipanti aveva svolto qualche attività di volontariato; attività che mantenevano con maggior costanza anche quando perdevano il coniuge. Durante lo studio, circa l’1,5% dei partecipanti ha iniziato a fare volontariato per almeno 100 ore l’anno, mentre il 6,3% si è dedicato alle attività sociali, ma con meno impegno a livello orario. Per valutare lo stato di solitudine, invece, Carr e colleghi hanno esaminato i dati dei questionari che chiedevano quanto spesso le persone si sentivano isolate, lasciate fuori o non avevano compagnia.

I risultati
Come prevedibile, la solitudine colpiva più intensamente chi restava vedovo rispetto a chi era sposato. Ma coloro che perdevano il coniuge e facevano almeno due ore di volontariato la settimana avevano livelli di solitudine più bassi rispetto alle persone sposate che spendevano lo stesso tempo per la comunità. “Questo studio offre una nuova visione della ‘dose’ di volontariato necessaria per compensare la solitudine dopo essere rimasti vedovi – dice Carr – Non sappiamo esattamente come il volontariato possa aiutare, ma la ragione della sua utilità potrebbe essere legata al fatto richiede di tenere attivi la mente e il corpo per poter interagire con gli altri”. “I risultati di questo studio confermano i benefici delle interazioni sociali regolari – dice Guohua Li, direttore del Center for Injury Epidemiology and Prevention alla Columbia University di New York City., non coinvolto nello studio – Il volontariato può aumentare l’autostima delle persone anziane e dare loro un senso di comunità”.

Fonte: Journal of Gerontology: Social Sciences


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