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Da due mesi c’è carenza di sangue

È allarme sangue. I mesi di giugno e luglio sono stati caratterizzati da una carenza cronica di sangue in molte Regioni, che hanno messo a rischio terapie salvavita e interventi chirurgici programmati e in emergenza. Se non verranno accolti gli appelli a donare fatti costantemente dalle associazioni di volontari, anche nelle prossime settimane, generalmente già contraddistinte da un calo delle donazioni, la rete trasfusionale nazionale non sarà in grado di soddisfare i Livelli Essenziali di medicina trasfusionale.

Parlano chiaro i dati preliminari raccolti dal Centro Nazionale Sangue, secondo cui in alcuni giorni si sono superate le 1.100 unità mancanti su tutto il territorio nazionale.

Dai dati che arrivano dal sistema informativo SISTRA, dove le Regioni carenti o con una eccedenza inseriscono ogni giorno il proprio fabbisogno e le unità eventualmente disponibili è emerso che il 4 luglio si è registrata la carenza maggiore di sangue, con richieste inserite per 1.130 unità. Ma in molti altri giorni si è superata quota mille, compreso il 29 luglio, mentre oggi ne mancano 900; di contro, le eccedenze non hanno mai superato quota 160.

Lazio, Abruzzo e Basilicata sono le Regioni che hanno segnalato le maggiori criticità insieme a Sicilia e Sardegna che hanno un fabbisogno particolarmente elevato a causa della presenza di numerosi pazienti, soprattutto talassemici, bisognosi di sangue per le terapie. “A rischio – sottolinea il direttore del Centro Nazionale sangue Giancarlo Maria Liumbruno – ci sono terapie salvavita, considerando ad esempio che per un paziente leucemico servono otto donatori a settimana o che le talassemie e le altre emoglobinopatie assorbono circa il 10% delle unità raccolte sul territorio nazionale, ma anche gli interventi chirurgici, se si pensa che ad esempio per un trapianto cuore-polmoni possono essere usate fino a 30-40 sacche di sangue. In questi ultimi mesi in diverse occasioni – continua Liumbruno – le Regioni con capacità di produzione maggiore non sono riuscite a rispettare gli accordi programmati all’inizio dell’anno per fornire sangue a quelle con carenze croniche. È importante che tutte le Regioni cerchino di contribuire il più possibile al sistema di compensazione nazionale e che incrementino la raccolta. Per questo all’appello ai donatori si aggiunge quello delle Regioni, affinché consentano alle Strutture Trasfusionali da loro dipendenti una maggiore flessibilità nei giorni e negli orari di apertura, anche dotandole delle necessarie risorse umane, in modo da consentire, anche nel periodo estivo, la donazione non solo nei giorni feriali e negli orari canonici del primo mattino”.

Sollecitati i volontari. Le Associazioni e Federazioni nazionali dei donatori di sangue (Avis, Croce Rossa Italiana, Fidas e Fratres), sottolinea il loro coordinamento, in sinergia con i professionisti di settore, sollecitano i volontari secondo una programmazione condivisa a recarsi a donare per soddisfare le necessità dei pazienti: “Le recenti situazioni di maxi-emergenza hanno dimostrato come i cittadini sappiano rispondere consapevolmente e responsabilmente agli appelli. Tuttavia è importante che i cittadini comprendano che la vera sfida del sistema è assicurare quotidianamente e in ogni periodo dell’anno le disponibilità di sangue ed emocomponenti che garantiscono gli oltre ottomila eventi trasfusionali ogni giorno effettuati nel Paese. I donatori e i pazienti non vanno in ferie”.


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La giurisprudenza ha ormai consolidato il concetto che la malattia durante le ferie interrompe il periodo feriale non essendo la malattia compatibile con le finalità delle ferie che sono quelle del recupero psico-fisico delle energie del prestatore di lavoro, dello sviluppo delle relazioni sociali, culturali e della personalità dell’individuo. Ecco cosa devono fare lavoratori, datori di lavoro e medici fiscali

La fruizione del periodo di ferie annuale da parte del lavoratore, al pari di ogni altro aspetto della vita sociale, è codificato da normative a tutela dei diritti e doveri di ciascuno.

Il primo riferimento in proposito è rappresentato dall’articolo 36 della nostra Costituzione, che configura il periodo di ferie retribuite come un principio irrinunciabile dell’individuo. Tale aspetto è ribadito dall’articolo 2019 del codice civile ed  espressamente sancito dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.

Il  periodo di astensione annuale dal lavoro è preposto al recupero psico-fisico delle energie del prestatore di lavoro, allo sviluppo delle relazioni sociali, culturali e della personalità dell’individuo.

Qualora nel periodo di ristoro subentri un  evento patologico tale da  impedire al lavoratore il ristoro cui ha diritto, egli deve rivolgersi ad un medico che, dopo opportuna valutazione clinica, redige un certificato di malattia che verrà inviato al datore di lavoro e all’Ente Previdenziale.

L’effetto sospensivo delle ferie si produce dalla data in cui il datore di lavoro ha ricevuto la comunicazione dello stato di malattia del lavoratore. Il riconoscimento a ricevere la corrispondente indennità riguarda esclusivamente i giorni  documentati nei modi e nei termini di legge.

Dal momento in cui viene interrotto il periodo di ristoro per subentrante malattia, il lavoratore deve adempiere agli obblighi previsti durante la sospensione dal lavoro per malattia:
– sottoporsi a visita medica,
– richiedere la redazione e l’invio del certificato di malattia
– controllare la corretta compilazione dei dati anagrafici inseriti nel certificato, indicare l’indirizzo di reperibilità qualora sia diverso dalla residenza abituale,
– fornire indicazioni utili alla reperibilità se l’abitazione è difficilmente raggiungibile,
– controllare che il proprio nominativo sia ben evidente nella pulsantiera dei citofoni e sulle cassette postali,
– essere a casa nelle specifiche fasce di reperibilità.

Secondo le indicazioni della Cassazione, il datore di lavoro che intenda provare l’inesistenza della malattia o la sua irrilevanza ad   interrompere il periodo di ferie,  deve richiedere la visita medica di controllo per il proprio dipendente, precisando al momento della richiesta la conversione dell’assenza dal lavoro per ferie ad assenza per malattia.

Qualora la verifica richiesta dal datore non possa avvenire per motivazioni imputabili al lavoratore, viene preclusa la possibilità di considerare la malattia denunciata come interruttiva del periodo di ristoro.

Nel corso della visita medica di controllo domiciliare, il medico fiscale deve valutare  il grado di compromissione delle funzioni che permettono all’individuo il godimento delle ferie, rapportandolo al cosiddetto danno biologico.

Poiché nelle indicazioni della sentenza non è esplicita la percentuale del danno in grado di inibire il ristoro psico-fisico, si può ritenere che il pregiudizio al godimento di esso possa verificarsi  sia in presenza di una incapacità temporanea assoluta a svolgere qualsiasi attività, sia in presenza di una incapacità temporanea parziale, come avviene quando ci si trovi a valutare la incapacità temporanea assoluta al lavoro specifico (quest’ultima è la valutazione effettuata dal medico di controllo nei controlli sulle assenze dal lavoro per malattia quando il lavoratore sia in costanza di servizio).

Da qui nasce la necessità di separare le due valutazioni, tenendo presente che la finalità dell’istituto delle ferie di fatto prescinde dal solo riconoscimento della incapacità a svolgere il proprio lavoro specifico.

Semplificando, possiamo affermare che l’inabilità assoluta generica provocata da patologie quali stati febbrili di lunga durata, ricoveri ospedalieri, fratture di grosse articolazioni, sia incompatibile con il fine del periodo di riposo.

Nel caso di patologie che determinino una inabilità temporanea assoluta al lavoro specifico,  si possono verificare due circostanze:
– la menomazione, anche se tale da impedire lo svolgimento del lavoro specifico, non influisce sulla corretta fruizione delle ferie e pertanto non ne determina l’interruzione;
– la stessa menomazione funzionale influisce negativamente sul godimento delle ferie ed è perciò idonea ad interromperle.

Maria Parisi
Associazione nazionale medici fiscali – Anmefi


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Nonostante i no-vax accampati in piazza, la Camera dice sìalla conversione in legge del decreto vaccini accogliendo la richiesta di fiducia presentata dal Governo. E’ l’esito del voto con cui Montecitorio ha licenziato senza modifiche il testo approvato da Palazzo Madama. Passa quindi l’emendamento, introdotto al Senato, che consente di prenotare la profilassi in farmacia, tramite Cup, e scendono a dieci le vaccinazioni obbligatorie per l’assolvimento dell’obbligo scolastico, con esclusione dalla scuola fino ai sei anni in caso di inadempienza oppure sanzioni ai genitori dai sei ai 16.

Soddisfazione da Governo e maggioranza. «E’ come se avessimo dato uno scudo protettivo alle famiglie» ha commentato il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin «abbiamo messo in sicurezza questa e le future generazioni, vinceremo la battaglia culturale coinvolgendo i pediatri, i medici, la scuola». «La conversione in legge del decreto vaccini è un passo fondamentale per la politica sanitaria di questo Paese» ha osservato Federico Gelli, responsabile sanità del Pd «dopo oltre 50 giorni di dibattito serrato e aperture verso l’opposizione che hanno portato alla sostanziale modifica del provvedimento, con il via libera definitivo da parte della Camera il Governo mette in sicurezza la salute degli italiani, ed in particolare dei più fragili». «Il dovere di tutti noi è la tutela della salute» ha ricordato Maurizio Lupi, capogruppo di Alternativa popolare «anche la nostra Costituzione dice che la Repubblica tutela la salute come diritto fondamentale dell’individuo e interesse della comunità, aggiungendo che si può obbligare il cittadino a un trattamento sanitario fatti salvi i limiti imposti dal rispetto della persona umana».

Le dieci vaccinazioni che diventano obbligatorie, secondo le indicazioni del Calendario allegato al Piano nazionale di prevenzione vaccinale vigente (età 0-16 anni) sono anti-poliomelitica, anti-difterica, anti-tetanica, anti-epatite B, anti-pertosse, anti Haemophilusinfluenzae tipo B, anti-morbillo, anti-rosolia, anti-parotite e anti-varicella. Per le ultime quattro è prevista una valutazione a tre anni con eventuale eliminazione dell’obbligo.

Non inficiano l’iscrizione a scuola ma saranno offerti gratuitamente (con chiamata dalle Asl) altri quattro vaccini, contro meningococco B, meningococco C, pneumococco e rotavirus. Chi risulta già immunizzato per alcuni dei virus e batteri in elenco potrà procedere alla vaccinazione monocomponente, mentre eventuali esenzioni potranno essere richieste solo in caso di accertato pericolo per la salute, oppure in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate e attestate dal medico di medicina generale o dal pediatra di libera scelta.

Non potranno essere iscritti agli asili nido e alle scuole dell’infanzia, pubbliche e private, i minori che non si sono sottoposti alle vaccinazioni obbligatorie. Entro 10 giorni, il dirigente scolastico segnala all’Asl le generalità del bambino inadempiente affinché si provveda alla profilassi. In caso di violazione dell’obbligo vaccinale, i genitori sono puniti con una sanzione amministrativa da 100 a 500 euro. In origine la norma prevedeva anche la segnalazione della famiglia al tribunale dei minori per l’eventuale perdita della patria potestà, una misura poi cancellata al Senato.

L’Agenzia del farmaco predisporrà una relazione annuale con i dati degli eventi avversi associabili alla vaccinazione, da trasmettere al ministero della Salute e quindi al Parlamento. Stretta anche sui prezzi dei vaccini: dovranno essere sottoposti alla negoziazione obbligatoria dell’Aifa, che sarà anche parte in giudizio in tutte le controversie riguardanti presunti danni da vaccinazioni e somministrazione di presunti farmaci non oggetto di sperimentazione.

Nasce anche l’Anagrafe nazionale vaccini, nella quale saranno registrati tutti i soggetti vaccinati e da sottoporre a vaccinazione, le dosi e i tempi di somministrazione e gli eventuali effetti indesiderati. Inoltre viene istituita un’Unità di crisi permanente, promossa dal ministero della Salute, per monitorare l’erogazione del servizio e prevenire eventuali criticità. Il dicastero, inoltre, avvierà una campagna straordinaria di sensibilizzazione per la popolazione sull’importanza delle vaccinazioni. Saltato, per assenza di coperture, l’obbligo vaccinale a carico degli operatori sanitari e scolastici; questi, in ogni caso, dovranno comunque presentare ai propri datori un’autocertificazione attestante la propria «situazione vaccinale».


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Un gruppo di scienziati statunitensi, utilizzando il muco prodotto dalle lumache, ha messo a punto una colla per uso chirurgico. Gli esperimenti sui modelli animali hanno confermato l’efficacia del prodotto. La scoperta è stata pubblicata dalla rivista Science

Dopo aver tentato con ragni e cozze, l’ultima “novità” in fatto di adesivi per suture chirurgiche arriva dalle lumache. Analizzando il muco estremamente adesivo che queste producono come meccanismo di difesa, un gruppo di scienziati americani ha messo a punto una speciale colla. I ricercatori, coordinati da David Mooney, professore di bioingegneria alla Harvard University, hanno presentato la loro scoperta su Science. In realtà, adesivi ad uso medico esistono già, ma spesso sono deboli, non sono molto sensibili e a volte non si possono utilizzare su tessuti bagnati.

Per affrontare questi problemi, il gruppo di Harvard e di altri centri di ricerca è partito dalle lumache, che producono un muco estremamente adesivo come meccanismo di difesa. Il trucco di questi animali consiste nel produrre una sostanza che non solo forma forti legami su superfici bagnate, ma ha anche una matrice che dissipa l’energia al punto di adesione, rendendola altamente flessibile.

Il nuovo adesivo
L’adesivo artificiale si basa su questi principi e avrebbe mostrato di funzionare bene in una serie di esperimenti di adesione su pelle, cartilagine, tessuti e organi del maiale, oltre a non aver prodotto alcun effetto tossico sulle cellule umane. In una prova, ad esempio, la colla è stata testata per chiudere una ferita sul cuore del maiale che produceva molto sangue e ha mantenuto la sutura con successo. In un altro caso l’adesivo è stato applicato a una lacerazione del fegato di ratto e avrebbe agito altrettanto bene come emostatico.

“Sono molti i potenziali utilizzi di questo adesivo e in alcuni casi potrebbe sostituire le suture e le graffette, che possono causare danni ed essere difficili da collocare in alcune particolari situazioni”, dice David Mooney. Secondo i ricercatori americani, l’adesivo dovrebbe essere prodotto in fogli e tagliato su misura, anche se è in fase di realizzazione una versione iniettabile per chiudere ferite profonde. Non è la prima volta che gli scienziati prendono ispirazione dalla natura per mettere a punto un adesivo medico. Quattro anni fa, un altro gruppo di ricercatori ha sviluppato una colla ispirata alle proprietà di adesione sulle rocce delle cozze, ma secondo Mooney, la colla messa a punto dal suo gruppo sarebbe più adesiva e flessibile.

Fonte: Science


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Il PS viene ridisegnato allo scopo di “superare il modello di triage focalizzato sulla gestione delle attese” orientandosi, invece, verso “un approccio che individui in maniera tempestiva il percorso più appropriato”. Via i colori dai codici di Ps, che diventano numeri a seconda del livello di urgenza. Vengono approfonditi ed aggiornati gli ambiti del Fast-track, del See & treat e dell’Osservazione breve intensiva.

Il Pronto soccorso è una delle aree a maggiore complessità in un ospedale. In Toscana ogni giorno 4.100 persone si presentano a un pronto soccorso, per un totale di un milione e 500.000 accesi in un anno. Mediamente, il 75% del tempo speso da un paziente in Pronto soccorso è un tempo di attesa. Su questo ha lavorato la Regione Toscana, cercando nuove soluzioni per ridurre, quando possibile, le attese, e assicurare maggiore attenzione alle persone con fragilità. Una delibera approvata recentemente dalla Giunta ridisegna l’organizzazione del Pronto soccorso a partire dalla funzione di triage (i codici colore).

“È infatti emersa, in maniera sempre più evidente, la necessità di superare un modello di triage focalizzato sulla gestione delle attese e di orientarsi verso un approccio che assicuri in maniera tempestiva l’individuazione del percorso più appropriato”, si legge nel provvedimento.

L’assessore al diritto alla salute Stefania Saccardi ha illustrato i contenuti della delibera e la nuova organizzazione del Pronto soccorso nel corso di una conferenza stampa fissata venerdì 28 luglio, nella Sala stampa di Palazzo Strozzi Sacrati.

Il testo del provvedimento illustra un nuovo modello, che sarà operativo da gennaio 2018, in cui, all’interno di ogni PS, saranno individuate tre linee di attività:
•    Linea di attività ad alta complessità
•    Linea di attività a complessità intermedia
•    Linea di attività a bassa complessità articolata in: o Codici Minori (con medico) o See & treat (gestito dall’infermiere) o Fast track (invio diretto dal triage alla gestione specialistica).

“Con l’aumento e la revisione dei protocolli See & treat (S&T) e l’introduzione di percorsi Fast track (FT),è prevedibile un aumento della casistica gestibile nella linea a bassa complessità”, si osserva nella delibera, che raccomanda, nei PS con più di 40.000 accessi l’anno, la costituzione di team medico-infermieristico per la gestione della “bassa complessità”, con il compito di “ottimizzare la presa in carico, il trattamento e la dimissione dei pazienti arruolabili”.

Il nuovo sistema di Triage per la codifica di priorità e tempi massimi di attesa prevede 5 livelli di priorità:

1 EMERGENZA Assenza o rapido deterioramento di una o più funzioni vitali
Tempo di attesa: Immediato

2 URGENZA INDIFFERIBILE
a) Rischio di compromissione delle funzioni vitali
b) Condizione stabile con rischio evolutivo
Tempo massimo di attesa: entro 15 minuti

3 URGENZA DIFFERIBILE
Condizione stabile senza rischio evolutivo con sofferenza e ricaduta sullo stato generale che solitamente richiede più di due risorse (Le risorse vengono suddivise in due tipologie delle quali solo quelle di tipo 1 entrano nella valutazione per l’identificazione del percorso. Le “risorse di tipo 1” comprendono gli esami strumentali, radiologici e di laboratorio, le consulenze specialistiche e tutte  le altre prestazioni correlate ad un livello più alto di complessità e che  richiedono un aumento del tempo di permanenza del paziente in PS. Sono invece considerate “risorse di tipo 2” tutte le attività a minore complessità o eseguite routinariamente in PS, che non determinano una variabilità organizzativa in termini di allungamento significativo del tempo di permanenza in PS)
Tempo massimo di attesa: entro 60 minuti

4 URGENZA MINORE
Condizione stabile senza rischio evolutivo che solitamente richiede fino a due risorse
Tempo massimo di attesa: entro 120 minuti

5 NON URGENZA
Condizione stabile senza rischio evolutivo, non urgente o di minima rilevanza clinica, che solitamente non richiede risorse
Tempo massimo di attesa: entro 240 minuti

Sarà costituito, per un periodo di tre anni eventualmente rinnovabile, un gruppo tecnico a supporto delle attività di monitoraggio regionale sull’implementazione del nuovo modello organizzativo.

Con successivo atto sarà poi stabilito l’adeguamento del campo di applicazione della normativa sulla partecipazione alla spesa per le prestazioni erogate in regime di Pronto Soccorso, a seguito di una simulazione sulla casistica degli eventi di Pronto soccorso per controllare quali codici a priorità numerica sono assimilabili, per le caratteristiche di urgenza e di tipologia del bisogno rappresentate, alle situazioni classificate con codice di priorità bianco e azzurro, da effettuarsi entro il mese di novembre del corrente anno in tempo utile per adeguare i sistemi informativi gestionali.


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Un singolo minuto di esercizio fisico intenso ogni giorno, come una breve corsetta, è legato a una migliore salute delle ossa nelle donne.

Uno studio pubblicato sull’International Journal of Epidemiology mostra infatti che coloro che hanno fatto brevi sessioni di attività ad alta intensità di carico avevano una migliore salute ossea. La buona salute ossea ha molti vantaggi per la salute, incluso un rischio ridotto di fratture in età avanzata. A causa dei cambiamenti ormonali, le donne in menopausa sono ad alto rischio di sviluppare osteoporosi e debolezza ossea. Tuttavia è noto che questo rischio diminuisca con l’aumentare dell’attività fisica, purché questa sia di carico sulle ossa, ovvero non ciclismo e nuoto, ma salti, ginnastica e corsa. La forza di gravità e le contrazioni muscolari, infatti fungono da stimolo per la formazione dell’osso stesso.

I ricercatori dell’Università di Exeter e dell’Università di Leicester hanno esaminato i dati relativi a più di 2.500 donne e hanno confrontato i livelli di attività (misurati dai monitor a polso) con la salute delle ossa (misurata con una scansione ad ultrasuoni dell’osso del tallone).

Hanno così scoperto che le donne che in media hanno fatto 60-120 secondi di attività ad alta intensità al giorno hanno una salute ossea del 4% migliore rispetto a quelli che hanno fatto meno di un minuto. I miglioramenti aumentavano al crescere del tempo dedicato: hanno infatti trovato una salute ossea del 6% migliore tra coloro che hanno fatto più di due minuti al giorno.

ANSA


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Morbillo: elevati i costi da pagare – sia in termini di salute sia economici – quando la copertura vaccinale scende anche di poco come conseguenza di esitazione a vaccinare i figli: per ogni riduzione del 5% della copertura per la vaccinazione morbillo-parotite-rosolia, i casi di morbillo si triplicano e i costi aumentano di 2,1 milioni di dollari, solo di spesa pubblica per fronteggiare i casi aggiuntivi.

Sono le stime che emergono da simulazioni eseguite su dati americani da Nathan Lo della Stanford University School of Medicine, in California e Peter Hotez, del Baylor College of Medicine a Houston. Lo studio, frutto di simulazioni di differenti scenari di esitazione al vaccine e quindi differenti cali di copertura, è stato pubblicato sulla rivista Jama Pediatrics. Gli esperti sono partiti da dati dei Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie in Usa ed hanno stimato l’aumento dei casi di morbillo e la comparsa di focolai epidemici nei diversi stati Usa in seguito a ipotetici cali della copertura vaccinale dei bambini di 2-11 anni, cali che inesorabilmente finiscono per verificarsi quando da parte delle famiglie c’è esitazione nei confronti delle vaccinazioni e quindi ritardi negli appuntamenti del calendario vaccinale.

L’aumento dei casi conseguente a un calo di copertura di appena il 5% risulta di circa tre volte, per un totale di circa 150 casi aggiuntivi; la spesa in più si stima sia pari a 2,1 milioni di dollari.

ANSA


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Consigli di nutrizione diretti ai ragazzi fanno bene anche ai genitori. È quanto emerge da una ricerca dell’Università di Turku, in Finlandia

Gli studiosi hanno preso in esame i dati di un progetto denominato Strip (Special Turku Coronary Risk Factor Intervention Project), che includeva 1107 bambini e i loro genitori, divisi in due gruppi di cui uno di controllo, e che principalmente era rivolto alla prevenzione, raccomandando di ridurre i cibi con grassi saturi nella dieta in favore di quelli insaturi, come pesce azzurro, salmone, sgombro, frutta secca.

Sono stati esaminati oltre che i risultati sui bambini anche quelli sulle mamme e i papà. Dall’analisi è emerso che la consulenza alimentare orientata ai più giovani ha aumentato l’assunzione di grassi polinsaturi e monoinsaturi e ha ridotto l’assunzione di quelli saturi anche nei genitori rispetto a quelli inseriti nel gruppo di controllo, in un’età dei ragazzi compresa tra i 9 e i 19 anni . Inoltre, nelle mamme e in maniera simile nei papà , pure se in questi ultimi il dato non era statisticamente significativo, diminuiva anche il colesterolo ‘cattivo’, quello Ldl.

ANSA


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Sul sonno ci sono decine di falsi miti, a partire dal quantitativo necessario, che non è 8 ore per tutti. A descriverne 40 è stato Graham Law, presidente onorario della British Sleep Society, nel libro ‘Sleep Better: The science and the myths’.

«C’è molta mitologia su come avere una buona notte di sonno – afferma Graham -, molta della quale ha le migliori intenzioni. Tuttavia alcuni dei miti più persistenti non solo sono sbagliati, possono essere pericolosi per la salute e il benessere».

Alcuni dei luoghi comuni descritti nel libro sono piuttosto diffusi.

Non è vero ad esempio che una buona notte di sonno deve essere senza interruzioni, o che ‘un’ora dormita prima di mezzanotte equivale a due dormite dopo’. Anche le convinzioni che dormire meno fa dimagrire o che gli anziani abbiano bisogno di più sonno sono sbagliate.

Altri sono più ‘fantasiosi’, come chi crede che la testa possa esplodere durante il sonno (in realtà la ‘exploding head syndrome’ è una condizione benigna per cui si sentono dei rumori immaginari al risveglio) o che per fare un buon pisolino si debba tenere in mano un cucchiaio.

«Ho sentito centinaia di storie ed esempi da studenti e partecipanti a ricerche – spiega l’autore, che insegna all’università di Lincolnshire – ci sono 40 miti nel libro, ma ne abbiamo lasciati fuori molti molti altri».

ANSA


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Alzarsi dalla sedia e muoversi ogni mezz’ora fa bene in caso di diabete. Le recenti linee guida dell’Associazione Americana del Diabete riguardanti l’esercizio fisico nelle persone con diabete o prediabete, sottolineano l’importanza di stare meno seduti e muoversi più spesso.

«Fare più attività fisica» evidenzia Roberto Miccoli, del Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale dell’Università di Pisa «è sicuramente un buon consiglio per tutti, soprattutto per chi ha il diabete tipo 2. Uno stile di vita sedentario, infatti, si associa a molteplici rischi, che vanno dallo sviluppo del diabete alle complicanze cardiovascolari della malattia».

«Uno studio recente ha dimostrato che interrompere prolungati periodi di posizione seduta con brevi intervalli di esercizio fisico leggero si associa ad un migliore controllo della glicemia» aggiunge Miccoli «quindi se si lavora per 6-7 ore dietro una scrivania, si partecipa a lunghe riunioni o si sta davanti alla tv, secondo gli esperti dell’Ada è consigliabile alzarsi ogni 30 minuti e muoversi per almeno 3 minuti. Tali brevi esercizi non dovrebbero, ovviamente, rimpiazzare il normale programma di attività fisica del singolo, ma dovrebbero aggiungersi ai 120-150 minuti di esercizio leggero da compiere ogni settimana».

«Fare 30 minuti di esercizio al giorno, come risulta da due recenti pubblicazioni sulla rivista Diabetologia» conclude l’esperto «riduce il rischio di diabete del 25% e camminare per 10 minuti dopo i pasti può abbassare la glicemia del 22%. In definitiva, adottare uno stile di vita attivo, può ridurre il rischio di diabete ed aiuta a migliorare la salute di coloro che ne sono già affetti».

ANSA


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