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«Sono molto preoccupato per alcune notizie che mi arrivano da alcuni pazienti giovanissimi, pronti ad assumere qualsiasi pillola alla ricerca di prestazioni sessuali da pornostar».

L’allarme arriva dal professor Fabrizio Iacono, docente di Urologia all’Università Federico II di Napoli. «Spesso» aggiunge «i ragazzini acquistano queste pillole tramite il web, senza preoccuparsi dei rischi che possono derivare per la salute. Pericoli enormi perché gli adolescenti comprano queste pillole dell’amore on-line, non certo nelle farmacie, e inoltre ne fanno un uso ‘ricreativo’ e molto pericoloso».

La moda degli “acquisti on-line” di farmaci e talvolta anche di smart drugs è diffusa a livello nazionale, ma il timore è che a Napoli si stia sviluppando un mercato particolarmente florido. Per questo l’urologo napoletano lancia un appello ai ragazzi, ma anche ai genitori: «Non fate sciocchezze» dice «utilizzare questi prodotti è rischioso e insensato». Iacono spiega che molti giovani «fanno scorta di queste pasticche in vista dell’estate, con l’idea di poter avere approcci da veri “latin lovers”. Il grosso problema è che la maggior parte di questi prodotti non solo non servono a garantire prestazioni migliori, ma sono addirittura pericolosi».

ANSA


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Avere un buon livello d’istruzione, non fumare e conservare l’udito sono i tre fattori chiave per cercare di prevenire la demenza senile. L’istruzione consente al cervello di contrastare il declino cognitivo, non fumare garantisce una migliore salute cardiovascolare e un buon udito permette di sperimentare nuovi ambienti.

Apprendere nuove cose, mangiare e bere in modo sano, non fumare, evitare la solitudine, salvaguardare l’udito; sono alcuni dei fattori che permetterebbero di prevenire almeno un terzo dei casi di demenza.  Lo sostiene un gruppo di 24 esperti internazionali ai quali la rivista scientifica The Lancet ha commissionato un’ampia e accurata analisi dei fattori di rischio che sono dietro alla demenza. Gli esperti ne hanno evidenziato nove come particolarmente importanti: proseguire l’istruzione oltre i 15 anni, ridurre la pressione arteriosa, l’obesità e la perdita dell’udito, ridurre il fumo, combattere la depressione, evitare la sedentarietà, l’isolamento sociale e il diabete.

“Anche se la demenza viene diagnosticata in una fase più avanzata della vita, i cambiamenti cerebrali di solito iniziano a svilupparsi molti anni prima – dice Gill Livingstone, professore dell’University College di Londra – Un approccio più ampio alla prevenzione della demenza rispetto a questi fattori di rischio potrebbe aiutare la società che invecchia a prevenire il crescente numero di casi di demenza”.

Il quadro della situazione
Le più recenti stime dell’Alzheimer’s Association International rilevano che circa 47 milioni di persone nel mondo vivono con una demenza e il costo delle malattie neurodegenerative  si aggira attorno agli 818 miliardi di dollari all’anno. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità il numero delle persone coinvolte sarà quasi tiplicato nel 2050, arrivando a 131 milioni di pazienti.

I ricercatori hanno scoperto che il 35% di tutti i casi di demenza potrebbe essere prevenuto. Occorre lavorare su tre aspetti fondamentali: aumentare il grado di istruzione, smettere di fumare e ridurre la perdita dell’udito. Non completare l’istruzione secondaria, secondo i ricercatori, può rendere meno resilienti le persone al declino cognitivo quando invecchiano e preservare l’udito può aiutare le persone a sperimentare ambienti più ricchi e stimolanti, costruendo così una riserva cognitiva.

Smettere di fumare riduce l’esposizione alle sostanze neurotossiche e migliora la salute del cuore, che a sua volta influenza la salute del cervello.

Fonte: Lancet


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Dopo un anno di sperimentazione, l’erogazione di alcuni servizi al pubblico attraverso le farmacie convenzionate diventa sistema. “Il sistema regionale delle farmacie è un partner sempre più importante della sanità pubblica”, ha detto Saccardi alla firma dell’accordo di collaborazione

Prenotare una visita specialistica o un esame, pagare il ticket, attivare la tessera sanitaria: in Toscana si può fare anche in farmacia. Dopo un anno di sperimentazione (l’accordo quadro sperimentale era stato siglato il 14 luglio 2016), ora l’erogazione di alcuni servizi al pubblico attraverso le farmacie convenzionate diventa sistema.

L’accordo di collaborazione, della durata di tre anni, è stato firmato tra Regione Toscana, le tre grandi aziende sanitarie, Urtofar (Unione regionale toscana titolari di farmacia) e Cispel Toscana (Confederazione italiana servizi pubblici enti locali). A firmare, l’assessore al diritto alla salute Stefania Saccardi, i direttori delle tre aziende sanitarie, il presidente dell’Urtofar Marco Nocentini Mungai, e Alessio Poli per la Cispel.

“Le farmacie svolgono un ruolo importante nella sanità toscana – commenta l’assessore Saccardi in una nota della Regione che fa il punto sull’accordo – Non solo per l’erogazione dei farmaci, ma come punto di riferimento per i cittadini per tutta una serie di servizi. Il sistema regionale delle farmacie è un partner sempre più importante della sanità pubblica. Questo accordo le coinvolge anche per servizi fondamentali come le prenotazioni Cup, il pagamento del ticket, l’attivazione della carta sanitaria elettronica. Questi servizi, che finora venivano svolti solo da una parte delle farmacie, vengono ora portati a sistema, per andare sempre più incontro alle esigenze dei cittadini e semplificare il loro accesso ai servizi sanitari. La presenza di una farmacia è un presidio della sanità pubblica anche nei luoghi più lontani e difficili”.

Le farmacie private della Toscana – dichiara Marco Nocentini Mungai, Presidente dell’Urtofar – esprimono grande soddisfazione per la decisione dell’assessore Saccardi di rinnovare per tre anni l’accordo per i servizi amministrativi in farmacia. Si tratta di un accordo molto importante che accresce e struttura il ruolo socio-sanitario della farmacia sul territorio. L’elevato numero di farmacie aderenti, conferma la volontà della categoria di essere sempre più parte integrante del sistema sanitario e di avvicinare i cittadini ai servizi sanitari semplificandone la fruizione, mediante l’elevato numero di punti di accesso”.

“Con il rinnovo dell’accordo, le forme di collaborazione fra Regione Toscana e sistema delle farmacie pubbliche e private si consolida – dice Alessio Poli, coordinatore Farmacie di Confservizi Cispel Toscana -, definendo chiaramente le modalità con cui le farmacie, nel quadro della convenzione con il servizio sanitario regionale, possono erogare servizi sociosanitari al pubblico. Le farmacie pubbliche toscane trovano conferma della bontà del proprio lavoro in un’intesa che la Regione ha deciso di confermare, dopo il primo anno, per ulteriori tre anni, rientrando assieme alle farmacie private in una logica sinergica che ha permesso all’intero settore di conseguire un potenziamento dei servizi sul territorio a favore dei cittadini. La scommessa dei prossimi mesi, oltre a consolidare i servizi esistenti, sarà quella di verificare la possibilità di introdurne dei nuovi, quali il ritiro dei referti in farmacia, la possibilità di effettuare il cambio del medico di famiglia e molto altro ancora”.

“Prima  -riferisce la Regione – questi servizi venivano svolti dalle farmacie in maniera disomogenea, a ‘macchia di leopardo’, e non in tutte le Asl. Con l’accordo sperimentale del luglio scorso, e ancor più con quello firmato stamani, di durata triennale, il servizio viene esteso a tutto il territorio (pur con adesione volontaria e non obbligatoria da parte delle farmacie)”.

Prenotazione di prestazioni specialistiche ambulatoriali (visite ed esami) e riscossione ticket. Il Cup in farmacia è un servizio con il quale, attraverso sistemi informatici messi a disposizione dalle aziende sanitarie, è possibile prenotare, disdire e modificare in tempo reale visite ed esami specialistici; presentandosi in una farmacia aderente munito di modulo/i ricetta/e SSN (ricetta rossa/promemoria/NRE=numero di ricetta elettronica), l’assistito può prenotare le prestazioni prescritte tramite un operatore incaricato dalla farmacia e abilitato a questa funzione. Le Asl renderanno disponibili alle farmacie aderenti il software gestionale per l’erogazione del servizio, e forniranno adeguata informazione. Le farmacie aderenti sono autorizzate a riscuotere il ticket: non solo quello corrispondente alle prestazioni prenotate (come previsto dall’accordo precedente), ma anche quelli relativi a tutte le prestazioni prenotate su sistema Cup aziendale.

Attivazione della tessera sanitaria e del fascicolo sanitario elettronico. I cittadini che lo vorranno potranno attivare tessera sanitaria e fascicolo sanitario elettronico in farmacia anziché alla Asl. Le Asl si impegnano a rendere disponbili alle farmacie aderenti tutti gli strumenti necessari per l’erogazione del servizio e a dare alle farmacie tutta l’informazione adeguata. Le farmacie si impegnano a fornire questo servizio secondo orari definiti (minimo 5 ore al giorno per 5 giorni la settimana, distribuite tra mattina e pomeriggio), e a dotarsi autonomamente della strumentazione necessaria (computer, stampante, lettore di codice a barre, lettori di TS, buste Pin, ecc.).

Tutte le farmacie aderenti all’accordo dovranno esporre, ben visibile al pubblico, la cartellonistica necessaria che identifica la farmacia come aderente all’accordo, con il logo “PuntoSI”, che identifica i servizi omogenei del Servizio sanitario toscano sul territorio.


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Se i genitori hanno divorziato in modo brusco, interrompendo i rapporti tra loro, i figli, sia durante l’infanzia, sia nell’età adulta, saranno più vulnerabili alle sindromi respiratorie. Lo stesso non può dirsi per i figli di coloro che si separano rimanendo in rapporto amichevoli.

I bambini i cui genitori si separano e non hanno più rapporti sembrano essere più vulnerabili a sindromi respiratorie come i raffreddori rispetto ai bimbi i cui genitori rimangono sposati o si separano rimanendo in buoni rapporti. “In letteratura ci sono evidenze circa la predisposizione ad ammalarsi, nell’infanzia e nell’età adulta, di bambini figli di genitori divorziati”,  dice Michael Murphy, psicologo ricercatore dell’Università Carnegie Mellon di Pittsburgh.

Lo studio
Per realizzare lo studio i ricercatori hanno isolato 201 adulti sani, esposti a rinovirus39 (RV39) e li hanno monitorati per cinque giorni per vedere come i loro sistemi immunitari reagivano e se sviluppavano la sindrome respiratoria.I partecipanti alla ricerca avevano in media 30 anni e 92 di loro (46%) hanno riferito che i genitori erano divorziati o separati da quando erano bambini. Tra quanti avevano genitori divorziati, 51 avevano riferito che i genitori non si parlavano. Lo studio ha evidenziato che gli adulti con genitori divorziati in cattivi rapporti avevano il triplo delle possibilità di sviluppare un raffreddore rispetto agli adulti i cui genitori vivevano insieme.

Le persone con genitori divorziati in buoni rapporti e che avevano continuato a parlarsi non erano più suscettibili di ammalarsi rispetto agli adulti appartenenti a famiglie unite. I figli di coppie divorziate che avevano smesso di parlarsi avevano 3,3 volte più probabilità di sviluppare raffreddori rispetto a quelli con genitori che erano rimasti insieme. I primi presentavano anche livelli più elevati di un indicatore di infiammazione e questo potrebbe spiegare perché erano più inclini ad ammalarsi. In totale, il 74% dei partecipanti allo studio ha sviluppato un’infezione da RV39.

Fonte: PNAS


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I bambini che passano più tempo all’aria aperta e che fanno sport sono colpiti meno frequentemente da miopia. A dimostrarlo è stato un ampio studio dell’Erasmus Medical Center di Rotterdam.

Un gruppo di ricercatori olandesi, coordinato da Caroline Klaver dell’Erasmus Medical Center di Rotterdam, ha esaminato 5.711 bambini della città olandese che avevano preso parte, sin dalla nascita e insieme alle loro madri, a uno studio a lungo termine. A sei anni, i bambini sono stati sottoposti a un accurato esame medico e si è scoperto che i miopi si attestavano al 2,4%  miope. Klaver e colleghi avrebbero così scoperto che i bambini affetti da miopia avevano trascorso meno tempo all’aria aperta, avevano livelli di vitamina D più bassi, un indice di massa corporea superiore e avevano praticato meno sport.

In realtà anche l’origine non europea, il basso livello di istruzione della madre e la famiglia a basso reddito sarebbero stati fattori associabili all’insorgenza della miopia, ma i ricercatori hanno individuato anche che lo stile di vita potrebbe concorrere all’aumento di questo rischio. Mentre una limitazione dello studio sarebbe dovuta al fatto che non state raccolte informazioni sulla miopia dei genitori, “un fattore di rischio ben noto”, come hanno sottolineato gli stessi autori.

Lo stile di vita nei primi anni di vita è molto spesso associato allo sviluppo della miopia – spiega Klaver, principale autore dello studio -. Non stare fuori e fare lavori vicino alla fonte di luce aumenterà molto questo rischio”. “Le differenze nella miopia riscontrate tra diversi gruppi etnici – dice Jeremy Guggenheim, professore di optometria alla Cardiff University, nel Regno Unito, non coinvolto nello studio – potrebbero in effetti essere dovute ai diversi stili di vita tra i gruppi etnici. Questo studio e altri recenti lavori suggeriscono che l’effetto di prevenzione del tempo trascorso all’aria aperta sia vantaggioso anche prima, tra i 3 e i 6 anni”. E anche se lo studio non individua cause specifiche per la miopia, “i fattori di rischio individuati concordano con quello evidenziati negli ultimi anni”, conclude Guggenheim.

Fonte: British Journal of Ophtalmology


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L’assunzione a lungo termine di dolcificanti artificiali potrebbe essere associata ad un incremento dell’indice di massa corporea (Imc), ma anche all’insorgenza di ipertensione o il diabete di tipo 2.

I dolcificanti artificiali non sono privi di rischi e le persone che sperano di perdere qualche chilo sostituendoli con lo zucchero finiscono quasi sempre deluse. E’ quanto afferma una revisione di 37 studi pubblicata su CMAJ, secondo la quale l’uso di dolcificanti artificiali potrebbe essere legato ad un aumento di peso e allo sviluppo di altre condizioni patologiche come l’ipertensione o il diabete di tipo 2. “In tutti gli studi analizzati non c’erano prove coerenti di un beneficio a lungo termine dell’utilizzo di questi dolcificanti, ma c’erano prove di un aumento ponderale e di altri parametri cardiometabolici”, afferma l’autore principale della ricerca Meghan Azaddell’Università di Manitoba a Winnipeg in Canada.

La premessa
Gli edulcoranti artificiali come l’aspartame, il sucralosio e lo stevioside sono sempre più popolari dal momento che lo zucchero alimenta l’epidemia di obesità, scrivono gli studiosi. Ricerche fatte in precedenza mostravano risultati contrastanti, alcune correlavano l’utilizzo di dolcificanti ad un aumento di peso corporeo tanto quanto altre sembravano dimostrare il contrario. Proprio per questo i ricercatori hanno cercato di fare il punto della situazione.

Lo studio
Tra gli studi analizzati ce ne sono 7 randomizzati controllati: alcuni di questi avevano messo a confronto informazioni su persone che bevevano bibite zuccherate artificialmente e persone che bevevano acqua, per un totale di 1.003 persone esaminate. Dall’esito di questi trial non sono stati trovati legami tra l’uso di dolcificanti artificiali e variazioni dell’indice di massa corporea (BMI).

Tuttavia, dai dati raccolti sugli oltre 40.000 partecipanti altri 30 studi, i ricercatori hanno scoperto che il consumo di dolcificanti artificiali era associato ad un lieve aumento del Bmi, del peso, della circonferenza della vita, dell’obesità, dell’ipertensione, dei problemi cardiaci e della sindrome metabolica.

“Credo sia il caso di ripensare, eventualmente con qualche precauzione, a quali possano essere gli effetti di questi prodotti sulla salute”, afferma Azad, che ha precisato che è possibile che diversi edulcoranti abbiano effetti diversi. Questo aspetto, tuttavia, non è stato approfondito poiché non sufficientemente trattato negli studi a disposizione.

Fonte: CMAJ


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Molto ricorrente la cosiddetta “diarrea del viaggiatore”, a rappresentare il guastafeste principale dei turisti. Ma sono molto pericolose anche le infezioni sessuali e quelle legate agli insetti, soprattutto le zanzare. Ce lo ricordano gli specialisti della Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali

Ogni anno, ed in particolare durante l’estate, si contano gli spostamenti di un miliardo di persone, tra turisti e professionisti. Un rischio, quello delle infezioni, che si rivela, quindi, particolarmente alto. Molto ricorrente la cosiddetta “diarrea del viaggiatore”, a rappresentare il guastafeste principale dei turisti che viaggiano in paesi dal clima caldo e a basso tenore igienico-sanitario. Ma sono molto pericolose anche le infezioni sessuali e quelle legate agli insetti, soprattutto le zanzare.

Infezioni sessuali
“Normalmente, durante i viaggi e le vacanze, la possibilità di avere degli incontri sessuali occasionali aumenta – spiega Massimo Andreoni, responsabile dell’Unità Operativa Complessa di Malattie infettive del Policlinico Tor Vergata di Roma e past president Simit – Non è un caso che, nel periodo successivo a quello estivo, si registri il picco assoluto annuale di pazienti con infezioni e malattie sessualmente trasmissibili. Il preservativo deve essere indispensabile, per qualsiasi tipo di rapporto si possa avere”.

Infezioni e liquidi
Altri pericoli si nascondono nelle acque dolci. Si tratta delle larve di schistosoma, parassita responsabile della schistosomiasi, e dei batteri della leptospirosi. I microbi responsabili della citata diarrea del viaggiatore possono invece nascondersi in cibi e bevande apparentemente potabili.

Alimenti
“Per quanto riguarda il cibo, quando le condizioni non sono ritenute sicure, quattro indicazioni semplici ma efficaci: ‘lavalo, cuocilo, sbuccialo o altrimenti dimenticalo’, aiutano a limitare il rischio di diarree infettive – spiega Massimo Galli, vicepresidente Simit – per le bevande, meglio limitarsi al contenuto di bottiglie sigillate ed evitare il ghiaccio, se non si è sicuri che sia stato prodotto con acqua ‘pulita’, perché conserva i microrganismi”.

Punture degli insetti
“Nel periodo estivo – aggiunge Andreoni – aumenta anche il rischio delle malattie trasmesse dalle punture di insetti; in particolare le zanzare possono essere particolarmente pericolose in quanto capaci di trasmettere malattie che possono risultare anche gravi quali la malaria, dengue, zika e chikungunya. Oltre alle zanzare si deve fare attenzione alle punture di zecche capaci di trasmettere sia infezioni virali che batteriche. Per evitare le punture di questi insetti il consiglio è sempre quello di coprire il più possibile le parti del corpo per ridurre il rischio di punture o usare repellenti cutanei che allontanano gli insetti. Infine bisogna fare attenzione alle punture di ragni e scorpioni che possono determinare lesioni fastidiose e in rari casi anche malattie sistemiche gravi”.


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Per quanto temporanei questi tatuaggi sono tra le cause più subdole delle dermatiti da contatto in età pediatrica. La conferma da uno studio a cura dell’equipe della Clinica Pediatrica dell’Università degli Studi di Perugia e recentemente pubblicato sulla rivista “International Journal of Environmental Research and Public Health”

Belli, indolori e soprattutto “a tempo”. I tatuaggi all’hennè sono ogni estate una forte tentazione soprattutto per bambini e adolescenti. Ma i rischi sono in agguato. Nonostante sembrino innocui a causa della sostanza chiamata para-fenilendiammina (Ppd), spesso aggiunta all’hennè naturale per ottenere un colore più scuro e duraturo, può scatenare sensibilizzazione cutanea che va da una dermatite irritativa più lieve, ma comunque fastidiosa, per chi ha una pelle molto sensibile fino a reazioni violente come gonfiore e rossore nelle persone allergiche al composto.

A rivelare il rischio dei tatuaggi all’hennè per la pelle di bambini e ragazzi è uno studio realizzato dall’Università degli Studi di Perugia e recentemente pubblicato sulla rivista International Journal of Environmental Research and Public Health.

“L’uso di tatuaggi temporanei all’hennè – ha evidenziato Susanna Esposito, Professore ordinario dell’Università degli Studi di Perugia e presidente dell’Associazione Mondiale per le Malattie Infettive e i Disordini Immunologici, WAidid – è ormai una moda molto diffusa nel nostro Paese soprattutto in estate. I tatuaggi sembrano innocui ma non lo sono. Da evidenze scientifiche emerge, infatti, che la sostanza chiamata para-fenilendiammina (Ppd) che spesso viene aggiunta all’hennè naturale per ottenere un colore più scuro e duraturo, per le sue caratteristiche molecolari può indurre sensibilizzazione cutanea con varie manifestazioni cliniche alle riesposizioni, tra cui la più comune è la dermatite allergica da contatto. Nelle persone allergiche al composto, in particolare, il tatuaggio temporaneo può scatenare reazioni violente con gonfiore e rossore, mentre in chi ha una pelle molto sensibile e delicata può dare origine a una dermatite irritativa più lieve, ma altrettanto fastidiosa”.

Secondo i risultati emersi, nel 50% dei casi presi in esame i tatuaggi all’hennè provocano manifestazioni cutanee come prurito, eritemi, vescicole e bolle, orticarie, o reazioni sistemiche come linfoadenopatie e febbre entro uno o due giorni dalla prima applicazione; nel restante 50%, invece, i sintomi compaiono solo dopo un ritocco, mostrando quindi una sensibilizzazione cutanea alla para-fenilendiammina (PPD) presente nell’hennè, fino a 72 ore dall’effettuazione del tatuaggio.

La necessità di terapie di lunga durata è un altro fattore che emerge dallo studio: nella maggior parte dei casi, la persistenza delle lesioni è stata riscontrata anche a 7 giorni dall’inizio della terapia con cortisone e antistaminici e una persistente discromia cutanea è stata osservata anche dopo 4 settimane dalla fine della terapia. Se certamente si arriva alla risoluzione del prurito e ad un miglioramento delle lesioni cutanee, in tutti i casi, secondo i dati emersi, ad un anno di distanza è riscontrabile una ipopigmentazione cutanea sulla zona dedicata al tatuaggio.

D’altronde, la para-fenilendiammina è uno dei più potenti allergeni da contatto. Si tratta di un colorante blu scuro attualmente vietato, secondo la legislazione europea, per uso cosmetico ad eccezione delle tinture per capelli per le quali è consentita a basse concentrazioni, fino al 6%. Oltre a questa restrizione, è previsto che siano sempre indicate sull’etichetta delle avvertenze, come “Può causare una reazione allergica”, “Contiene fenilendiammina”, “Per uso professionale”, “Usare guanti idonei”, “Non usare per tingere ciglia e sopracciglia”.

“La sensibilizzazione alla Ppd – avverte Esposito – è un fenomeno in crescita nei bambini e negli adolescenti. La causa più comune sembra essere proprio l’esposizione ai tatuaggi con hennè in cui la Ppd può essere presente in concentrazioni sconosciute o alte. Dopo la sensibilizzazione, i pazienti possono sperimentare gravi sintomi clinici quando vengono riesposti a sostanze che contengono o reagiscono con Ppd, e possono presentare un’ipopigmentazione persistente. Dato l’uso diffuso di questa sostanza, meglio essere cauti considerando che sono molti i giovani che acquistano kit venduti on line, privi di qualsiasi garanzia, oppure si affidano a tatuatori improvvisati sulle spiagge che usano materiali scadenti e potenzialmente rischiosi”.


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La proroga della campagna, avviata nel 2015 a causa dell’incremento di casi, era già stata annunciata, ma ora la Giunta ha approvato la delibera. La fascia di età che si è maggiormente sottoposta al vaccino è quella dai 20 ai 45 anni (404.155). Nei primi cinque mesi del 2017 si sono vaccinate 140.865 persone.

Con una delibera approvata ieri pomeriggio, la giunta regionale della Toscana ha deciso, come già annunciato, di prorogare di altri 6 mesi, quindi fino al 31 dicembre 2017, la campagna straordinaria di vaccinazione contro il meningococco C, avviata nell’aprile 2015 per contenere il diffondersi della meningite nella Regione.

E in questa occasione la Toscana diffonde anche i dati sui risultati ottenuti attraverso la campagna: in poco più di due anni, dall’avvio della campagna straordinaria di vaccinazione (aprile 2015) al 31 maggio 2017 (ancora non sono definitivi i dati relativi al giugno 2017), sono state vaccinate oltre 900.000 persone.

Questi, in dettaglio, i dati dall’aprile 2015 al 31 maggio 2017:
225.072 nella fascia di età dagli 11 anni compiuti al compimento dei 20 anni
404.155 nella fascia di età dai 20 anni compiuti al compimento dei 45 anni
273.647 dai 45 anni compiuti
In tutto, quindi, sono state vaccinate 902.874 persone.
Alla campagna straordinaria risulta che abbia aderito il 77% dei pediatri di famiglia e l’86% dei medici di medicina generale.

Per quanto riguarda i nuovi nati (che non rientrano nella campagna straordinaria di vaccinazione), a 24 mesi di età (quindi nati nel 2013) risulta una copertura del 91%.

“Considerato che ad oggi, nonostante il significativo calo delle notifiche dei casi di meningiococco C rispetto al corrispondente periodo del precedente biennio, risultano comunque segnalati al sistema di sorveglianza delle malattie batteriche invasive 6 casi di meningite C, la Giunta ha comunque deciso di prorogare di altri 6 mesi la campagna straordinaria di vaccinazione”, spiega una nota della Regione.

Anche nei primi cinque mesi del 2017 si è registrata una buona adesione al programma di promozione straordinaria della vaccinazione da parte della popolazione, perché nel periodo considerato risultano vaccinate 140.865 persone (dato compreso nel totale di 902.874 riportato sopra).


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Sono le conclusioni alle quali è giunto un ampio studio osservazionale pubblicato su Annals of Internal Medicine. La ricerca ha anche evidenziato che chi beve caffè ha una migliore funzionalità epatica, immunitaria e un miglior controllo glicemico. Spetterà ora a studi di intervento stabilire la ‘dose’ giusta per ottenere l’effetto allunga-vita. Per ora gli esperti consigliano di attenersi ad un moderato consumo, pari a circa tre tazze di caffè al giorno

Chi beve in media tre caffè al giorno potrebbe vivere più a lungo di chi non ama questa bevanda. A suggerirlo è uno studio appena pubblicato su Annals of Internal Medicine che è anche il più ampio mai realizzato finora sull’argomento.

Il lavoro, firmato da ricercatori dell’International Agency for Research on Cancer (IARC) e dell’Imperial Collegedi Londra e finanziato dal Directorate General for Health and Consumers della European Commission e dallo IARC, ha preso in esame i dati di oltre mezzo milione di persone, residenti in dieci diverse nazioni europee, per valutare se il consumo di caffè fosse legato in qualche modo al rischio di mortalità. Il risultato è stato che il chi consuma più caffè presenta un ridotto rischio di mortalità per tutte le cause, ma in particolare per quella cardiovascolare e per la mortalità causata da patologie del tratto digerente. E si tratta certo di buone notizie, considerato il fatto che ogni giorno nel mondo si consumano 2,25 miliardi di tazze di caffè.

La bevanda nera contiene numerosi principi attivi in grado di interagire col nostro organismo: non solo caffeina, ma anche anti-ossidanti e diterpeni.

Gli studi condotti finora sull’argomento  hanno dato risultati contrastanti ma questo appena pubblicato è il più vasto di tutti e dunque quello più vicino di tutti a dare risposte definitive. I risultati sulla riduzione di mortalità sono stati coerenti per tutti i tipi di caffè considerati (anche se certo tra un espresso napoletano e un caffè tedesco le differenze non sono poche).

“Abbiamo riscontrato – afferma il principale autore dello studio, il dottorMarc Gunter dello IARC – che un maggior consumo di caffè si associa ad un rischio inferiore di mortalità da tutte le cause e in particolare da malattie cardiovascolari e del tratto digerente. Questi risultati sono sostanzialmente gli stessi in tutte e dieci le nazioni europee coinvolte in questo studio, a prescindere cioè dalle diverse abitudini rispetto al consumo e alla preparazione del caffè. Questa ricerca ha fornito inoltre degli interessanti spunti sui possibili meccanismi alla base dei benefici del caffè per la salute”.

Sono stati utilizzati i dati dello studio EPIC(European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition), relativi a 521.330 persone dai 35 anni in su residenti in 10 nazioni dell’Unione Europea, comprese Italia, Gran Bretagna, Francia e Danimarca. Le abitudini dietetiche delle persone sono state esplorate mediante questionari e interviste. Il consumo più elevato di caffè è stato registrato in Danimarca (900 ml/die); quello più basso, per quanto riguarda le quantità, in Italia (92 ml/die). I più forti bevitori di caffè erano in genere più giovani, fumatori, consumatori di bevande alcoliche, mangiavano più carne e meno frutta e vegetali. Insomma non erano esattamente dei campioni di dieta sana e di stile di vita.

Dopo 16 anni di follow up, in questa grande coorte di pazienti sono stati registrati circa 42.000 decessi (attribuiti a varie condizioni, dal cancro alle patologie cardio e cerebro vascolari). Dopo gli adeguati aggiustamenti statistici relativi a dieta e abitudine tabagica, i ricercatori hanno evidenziato che i soggetti con il più alto consumo di caffè presentavano il rischio più basso di mortalità per tutte le cause, rispetto ai non bevitori di caffè e che anche il caffè decaffeinato presentava questo effetto protettivo.

In un sottogruppo di 14.000 soggetti sono stati analizzati anche dei biomarcatori metabolici e questo ha consentito di appurare che gli amanti del caffè presentavano in genere un fegato più sano e un miglior controllo glicemico dei non bevitori di caffè. “Bere maggiori quantità di caffè si associa ad una funzionalità epatica e ad una risposta immunitaria migliori – spiega Gunter – e questo fornisce ulteriori prove (che si aggiungono ai risultati di studi simili condotti in Usa e in Giappone) degli effetti potenzialmente benefici del caffè sulla salute”.

“Questi risultati – commenta il professor Elio Riboli, direttore della School of Public Health dell’Imperial College e iniziatore dello studio EPIC – si aggiungono ad una mole crescente di prove che dimostra come bere caffè non solo è sicuro, ma può addirittura avere un effetto protettivo per la salute. E i risultati di questo ampio studio europeo confermano quanto trovato da precedenti studi condotti in altri Paesi”.

Sarà adesso interessante andare a vedere quale (o quali) delle sostanze presenti nel caffè è responsabile di questi effetti protettivi. Anche perché, per quanto interessanti, questi risultati derivano da uno studio osservazionale e non di intervento, con tutte le limitazioni del caso.

“Visti i limiti di questo studio – conclude Gunter – non possiamo ancora raccomandare alla gente di bere una quantità maggiore o minore di caffè. Detto ciò, questi risultati suggeriscono che un consumo moderato, intorno alle tre tazze al giorno, non è dannoso per la salute e che anzi, incorporare il caffè nella dieta, potrebbe avere effetti positivi per la salute”.


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