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Una lunga passeggiata o una nuotata possono essere la chiave per non portare a casa le frustrazioni del lavoro.

L’antidoto contro una brutta giornata in ufficio può essere ad esempio camminare, avendo cura se possibile di superare la soglia dei 10mila passi al giorno che è quella raccomandata, oltre a un buon sonno.

Emerge da una ricerca della University of Central Florida, pubblicata sulla rivista Journal of Applied Psychology. Gli studiosi hanno preso in esame 118 studenti di MBA, i master in Business Administration, che avevano già un impiego a tempo pieno, sottoponendoli a un sondaggio e facendo indossare loro per una settimana degli strumenti per monitorarne l’attività giornaliera. Sono stati infine sottoposti dei questionari anche alle persone con cui i partecipanti allo studio convivevano.

Dai risultati è emerso che i lavoratori che facevano oltre 10mila passi al giorno (per la precisione più di 10.900) avevano meno probabilità di discutere, litigare, di quelli che invece non superavano la soglia dei 7.000 passi. Secondo gli studiosi 587 calorie extra bruciate (pari a 90 minuti di camminata a ritmo molto sostenuto o un’ora di nuoto) possono neutralizzare gli effetti negativi dei problemi di lavoro (mortificazioni, sfruttamento, maltrattamenti ecc) aiutando anche non portarli a casa.

«I risultati sono particolarmente interessanti anche in relazione alle raccomandazioni date dai Centers for Disease Control e dall’American Heart Association di fare tra gli 8mila e i 10mila passi al giorno» evidenzia Shannon Taylor, autrice della ricerca «penso anche che lo studio ci dia una nuova prospettiva sull’importanza di dormire abbastanza e fare esercizio fisico. Non è solo un bene per noi, è un bene anche per il partner».

ANSA


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Oltre il 50% degli studenti, tra gli 11 e i 17 anni, è finito nel mirino di uno o più bulli. I dati raccolti lo scorso anno dal Censis fotografano un fenomeno preoccupante, da arginare attraverso la prevenzione. In occasione della Giornata Nazionale contro il Bullismo e della sicurezza in rete è stata presentata, a Roma, la GUIDA per difendersi.

Violenze fisiche e verbali che lasciano il segno, specialmente quando a riceverli sono i più piccoli, da coetanei o persone poco più grandi. Può accadere nel mondo reale, ma anche in quello virtuale. Oggi, 7 febbraio, si è celebrata la Giornata Nazionale contro il Bullismo e il Safer Internet Day, dedicata, invece, alla sicurezza in rete. Anche gli studenti romani hanno dato il loro contributo: in 400 hanno assistito alla presentazione della Guida al Bullo 2.0, un vademecum, a cura di psicologi e avvocati, per affrontare il bullismo e imparare a difendersi. Un problema che riguarda più della metà dei giovanissimi: il 52,7% degli studenti, tra gli 11 e i 17 anni, ha subito comportamenti offensivi.

“La Guida –  ha detto Michele Baldi, Capogruppo della Lista Civica Nicola al Consiglio Regionale del Lazio, che ha promosso l’iniziativa – è uno strumento realizzato a costo zero e messo a disposizione di tutti con lo scopo sociale di sostenere concretamente studenti e famiglie nell’affrontare e prevenire fenomeni a cui sono esposti quotidianamente”.

I dati del Censis e la legge del Lazio

Fenomeni che, secondo il rapporto 2016 del Censis, riguardano il 52,7% degli studenti di scuole medie e superiori. La percentuale sale al 55,6% tra le femmine e al 53,3% tra i ragazzi più giovani, di 11-13 anni. Il Lazio è la prima istituzione, sia a livello regionale che nazionale, ad aver legiferato su questo delicato tema, approvando nel maggio scorso la legge “Disciplina degli interventi per la prevenzione e il contrasto del fenomeno del bullismo”. Una legge grazie alla quale è stato istituito un fondo, con uno stanziamento di 750 mila euro per il triennio 2016/2018, a beneficio di comuni e municipi, istituzioni scolastiche, aziende sanitarie locali e associazioni, per iniziative culturali, sociali e sportive sui temi del rispetto della diversità.

I finanziamenti servono anche per iniziative volte a promuovere uno stile di vita familiare che sostenga lo sviluppo di un senso critico nel minore, di gruppi di supporto per i genitori, corsi di formazione per personale scolastico, operatori sportivi ed educatori, campagne di sensibilizzazione e informazione per studenti, insegnanti e famiglie. Non solo prevenzione, s’interviene anche dove il bullismo ha, purtroppo, già fatto la sua parte: sono previsti contributi pure per i programmi che sostengono chi è finito nelle grinfie dei bulli.


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E’ quanto emerso dallo studio condotto dalla Cgia di Mestre e commissionato da Utifar, presentato nel fine settimana a Verona. Emerge il quadro di una situazione positiva per il cittadino/utente della farmacia sia dal punto di vista strettamente sanitario che sociale per quanto riguarda tutto il territorio.

Ha fatto tappa a Verona nel fine settimana la presentazione dello studio condotto dalla Cgia di Mestre e commissionato da Utifar, Unione Tecnica Italiana Farmacisti, dal titolo “Farmacie: valore per la società – Il bilancio sociale della farmacia italiana 2015”.

Invitato da Federfarma Verona per illustrare i risultati della ricerca nazionale, Eugenio Leopardi, presidente Utifar, ha fatto emergere il quadro di una situazione positiva per il cittadino/utente della farmacia sia dal punto di vista strettamente sanitario che sociale per quanto riguarda tutto il territorio.

“Il Bilancio Sociale, o di Sostenibilità è il documento con cui un’organizzazione comunica gli esiti della sua attività con particolare attenzione alle scelte responsabili e a gli impatti che generano. In questo caso si tratta di uno strumento che legittima il ruolo della farmacia, non solo in termini di impresa che produce ricchezza economica utile a tutto il contesto in cui opera, ma in termini di attore del territorio che produce valore aggiunto sociale oltreché sanitario”, spiega Leopardi.

“Dalla nostra indagine emerge che gli utenti sanno riconoscere il valore sociale del farmacista e 8 cittadini su 10 vedono nella farmacia non un esercizio commerciale, ma un presidio sanitario a tutti gli effetti. I 2/3 degli utenti inoltre entrano ogni giorno in farmacia per chiedere una consulenza sanitaria gratuita e la ricerca ha calcolato questa professionalità in 2 ore al giorno per ciascun laureato in farmacia, che tradotto in termini meramente economici si quantifica in un impegno di 10.000 euro per ogni collaboratore laureato a farmacia in un anno. Inoltre le farmacie hanno investito, e continuano a farlo, moltissimo nella prevenzione sanitaria e contribuisco alla coesione sociale della comunità in cui operano con donazioni economiche per una cifra nazionale che supera i 12 milioni di euro e ulteriori donazioni di farmaci per 6 milioni”, prosegue.

“Credo che la conoscenza del Bilancio sociale della Farmacia meriti particolare attenzione perché a volte, e non parlo del cittadino, quello che si ha sotto gli occhi non viene percepito nel suo reale valore. I diversi e continui tentativi da parte di certa politica di distruggere il sistema-farmacia non vede o, peggio, non vuole tenere conto di quanto evidenziato dai dati riportati. In sintesi emerge la necessità che la farmacia venga riconosciuta e le debba essere data la possibilità di svolgere completamente la sua attività nel contesto socio sanitario in cui è inserita. Non è certo impoverendola o rendendola un mero esercizio commerciale, cosa ripeto, voluta da una certa parte della politica, che la farmacia potrà svolgere appieno il suo compito specie nei piccoli paesi, nei quartieri, ma anche nei centri storici. Il ruolo socio-sanitario della farmacia va garantito, non distrutto, sia nel quotidiano che nell’emergenza, come è palesemente emerso nelle zone del centro Italia gravemente colpite in questi mesi da una serie di avversità catastrofiche”.


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Fare volontariato da ragazzi apre le porte a una “vecchiaia” socialmente più attiva. Uno studio condotto negli USA ha seguito quasi 2 mila persone dall’età del liceo ai 72 anni. Facendo emergere questa evidenza.

Le persone con il passare degli anni tendono ad essere meno coinvolte nelle attività sociali e della comunità. Tuttavia questo aspetto è meno evidente in coloro che negli anni della scuola superiore erano più attivi e socialmente aperti. E’ quanto emerge da uno studio pubblicato dal Journal Gerontology Social Science.

“La partecipazione a gruppi di volontariato è particolarmente importante per gli anziani che non ricoprono altri incarichi sociali, – ha osservato Emiliy Greenfield, professore associato di lavoro sociale presso la Rutgers University a New Brunswick e autrice principale dello studio– Incoraggiare i giovani a diventare cittadini impegnati civilmente è importante non solo quando si è giovani, per un bisogno immediato, ma perché potrebbe avere ripercussioni negli anni a venire”.

Lo studio
Per vedere se l’impegno giovanile nel volontariato fosse effettivamente legato a un maggior coinvolgimento sociale nel corso della vita, i ricercatori hanno utilizzato i dati di uno studio che ha seguito 1.957 diplomati delle scuole superiori del Wisconsin fino all’età di 72 anni. Lo studio ha fatto un check dei partecipanti a 36, 54, 65 e 72 anni di età, informandosi sul coinvolgimento nei gruppi comunitari, religiosi, sindacali, scolastici, sportivi, politici, caritatevoli e assistenziali. I risultati hanno evidenziato che la partecipazione al volontariato era mediamente più elevata attorno ai 30-40 anni per poi diminuire verso i 60-70 anni. Il coinvolgimento comunitario è cresciuto rapidamente tra i 36 e i 45 anni, continuando ad aumentare fino ai 54 circa. A questa età è iniziato a diminuire fino a toccare i livelli più bassi attorno ai 72 anni di età. Un dato però è certo: chi è stato coinvolto in attività extrascolastiche ai tempi del liceo ha avuto maggiori probabilità di rimanere coinvolto nelle attività comunitarie per tutta la vita, specie se è stato impegnato in più di un’attività.

Fonte: Journal Gerontology Society Science
Madeline Kennedy


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Alla campagna informativa è legata la raccolta fondi con sms solidale al 45544 dal 3 al 20 febbraio. I fondi raccolti contribuiranno a realizzare un Numero Verde EpaC a disposizione dei cittadini, promosso dall’Associazione come strumento fondamentale per essere ancora più vicina alle persone colpite da Epatite C, ai loro familiari che necessitano di un’informazione accurata sulla malattia, sulle possibili cure e sui modi e luoghi dove ottenerle.

Le stime più aggiornate dicono che in Italia circa 300.000 persone hanno una diagnosi di Epatite C; ogni anno sono circa 1.200 i nuovi casi di contagio diagnosticati. Dal 2015 sono finalmente disponibili cure efficaci e risolutive, ma il virus dell’Epatite C è ancora diffuso. In Italia sono circa 10.000 le persone che ogni anno muoiono a causa dell’Epatite C e delle gravi complicanze che da essa derivano (come cirrosi e tumore del fegato).

EpaC onlus lancia “Vogliamo Zero Epatite C” Campagna di informazione e sensibilizzazione sulla malattia, sulle sue gravi conseguenze e sulle nuove efficaci cure, oggi finalmente disponibili. La Campagna sarà veicolata su tutti i mezzi di informazione e supportata da uno spot istituzionale e da videoappelli realizzati grazie all’impegno a sostegno di EpaC di numerosi testimonial: il capitano del Milan e centrocampista della Nazionale, Riccardo Montolivo; l’attaccante della Lazio e della Nazionale Italiana Ciro Immobile; l’allenatore ed ex calciatore Hernán Crespo, il campione olimpico, oro nel Fioretto a Rio 2016, Daniele Garozzo, il giornalista sportivo Gianluca di Marzio e la conduttrice e scrittrice Rosanna Lambertucci.

L’iniziativa ha il patrocinio di Lega Serie A e avrà visibilità sui campi di gioco nella 23ma giornata di Campionato il 4, il 5 e il 7 febbraio.

Alla campagna informativa è legata la raccolta fondi con sms solidale al 45544 dal 3 al 20 febbraio. I fondi raccolti contribuiranno a realizzare un Numero Verde EpaC a disposizione dei cittadini, promosso dall’Associazione come strumento fondamentale per essere ancora più vicina e raggiungibile per le persone colpite da Epatite C, dai loro familiari che necessitano di un’informazione accurata e autorevole sulla malattia, sulle possibili cure e sui modi e luoghi dove ottenerle.

Al Numero Verde, che l’Associazione vuole realizzare con il contributo di tutti, risponderanno operatori dell’Associazione EpaC, in collaborazione con Infettivologi e Gastroenterologi qualificati, specializzati nell’attività di counselling in grado di fornire sostegno e indicazioni utili e scientificamente corrette prima e dopo la diagnosi di Epatite C, indirizzando le persone ai centri qualificati più vicini e seguendole durante il percorso di un’eventuale terapia.

Curare l’Epatite C è possibile. Oggi il 95% delle persone con questa malattia può essere completamente guarito dall’infezione con un ciclo terapeutico di 3-6 mesi attraverso la somministrazione di farmaci per via orale, chiamati antivirali ad diretta, con effetti collaterali minimi se non assenti.

In Italia, negli ultimi due anni su un totale stimato di 300.000 pazienti con Epatite C circa 66 mila malati hanno potuto accedere alle cure con i nuovi farmaci garantite dai protocolli del Servizio Sanitario Nazionale, guarendo totalmente dall’infezione. Si tratta di una vera rivoluzione scientifica. Ma non basta.

Proprio in virtù di questa rivoluzione terapeutica, l’OMS – Organizzazione Mondiale della Sanità ha recentemente messo a punto una strategia globale per l’eliminazione dell’Epatite C nel mondo e si è posta importanti obiettivi per il 2030: ridurre le nuove infezioni di epatite virale del 90% e ridurre il numero di morti a causa di epatite virale del 65%.

“Dobbiamo agire velocemente per informare tutti quei pazienti che hanno l’Epatite C ma ancora non si sono recati presso un centro specializzato per agevolare il loro percorso terapeutico sino alla guarigione, evitando che la malattia peggiori – dichiara Ivan Gardini presidente di EpaC -. Quella dell’OMS è una strategia ambiziosa, ma abbiamo gli strumenti per raggiungere gli obiettivi annunciati. Ad oggi non esiste un vaccino per l’Epatite C, ma l’introduzione dei nuovi farmaci antivirali ad azione diretta, rende possibile la guarigione della quasi totalità dei pazienti trattati entro 3-6 mesi. Ci aspettiamo che le autorità sanitarie garantiscano in tempi molto brevi e una volta per tutte l’accesso a questi nuovi farmaci per tutti i pazienti eleggibili ad una cura”.


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In occasione dell’evento internazionale che si celebra il 4 febbraio l’Organizzazione mondiale per la Sanità, oltre ai numeri, ha deciso di pubblicare una nuova guida per la diagnosi e il trattamento precoce. Punti cardine: migliorare la consapevolezza dei cittadini sui sintomi, investire nei servizi sanitari e sulla formazione degli operatori e assicurare terapie efficaci con attenzione alle terapie del dolore.

Il cancro causa ogni anno 8,8 mln di morti: in sostanza 1 decesso su 6 al mondo. Inoltre è in aumento il numero di nuove diagnosi che da qui al 2030 passeranno da 14 a 21 milioni l’anno. La fotografia aggiornata è dell’Organizzazione mondiale per la sanità che in occasione del World Cancer Day che si è celebrata il 4 febbraio ha deciso anche di elaborare una nuova guida per la diagnosi e il trattamento precoce.

La nuova guida – sottolinea l’Oms – mira a migliorare le possibilità di sopravvivenza per le persone che vivono con il cancro, assicurando che i servizi sanitari possano concentrarsi sulla diagnosi e il trattamento della malattia in anticipo”. “Ogni anno 8,8 mln di persone muoiono di cancro – rimarca l’Oms -, soprattutto nei paesi a basso e medio reddito. E il problema è che in molti casi il cancro viene diagnosticato troppo tardi anche nei paesi con sistemi e servizi di salute ottimi.

“Le diagnosi di cancro tardive, e l’incapacità di fornire un trattamento, condanna molte persone a inutili sofferenze ed a una morte precoce”, spiega Etienne Krug, direttore Oms del Dipartimento per la gestione delle malattie non trasmissibili, della disabilità, la violenza e la prevenzione degli infortuni.

“Attuando le misure della nuova guida OMS gli addetti ai lavori sanitari potranno migliorare la diagnosi precoci di cancro e garantire un trattamento immediato, soprattutto per il seno, del collo dell’utero e del colon-retto”.

I tre passi per la diagnosi precoce definiti dall’Oms:
– Migliorare la consapevolezza pubblica dei diversi sintomi del cancro e incoraggiare le persone a cercare cure quando i sintomi si presentano.
– Investire nel rafforzare e dotare i servizi sanitari e la formazione degli operatori sanitari in modo che possano condurre diagnosi accurate e tempestive.
– Assicurarsi che le persone che vivono con il cancro possano accedere a trattamenti sicuri ed efficaci, tra cui la terapia del dolore, senza incorrere in difficoltà personali o finanziarie.

Ma l’Organizzazione specifica anche come la diagnosi precoce del cancro riduca notevolmente anche l’impatto finanziario della malattia. “Non solo il costo del trattamento è molto minore nelle fasi iniziali della malattia, ma la gente può anche continuare a lavorare e sostenere la famiglie”. Il costo economico mondiale di questa malattia è stato stimato a 1,16 mila miliardi di dollari.

“Una rapida azione di governo per rafforzare la diagnosi precoce del cancro è la chiave per raggiungere gli obiettivi di salute e di sviluppo globale, compresi gli obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS)”, osserva  Oleg Chestnov, Vice Direttore Generale Oms per le malattie non trasmissibili e la salute mentale.


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Continua la discesa dell’incidenza dell’influenza anche nella quarta settimana del 2017. La fascia di età maggiormente colpita resta quella dei bambini sotto i cinque anni, tra i quali l’incidenza sfiora i 18 casi per mille assistiti.

Continua a diminuire il numero di casi settimanali di influenza, ma il totale degli italiani allettati dall’inizio della stagione salgono a oltre 3 milioni e 800mila. E aumenta il numero dei decessi, arrivati ormai a 26.

Questi i numeri del rapporto epidemiologico InfluNet, coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità (Iss), sulla quarta settimana del 2017, dopo aver raggiunto il picco stagionale con 9,59 casi per mille assistiti nell’ultima settimana del 2016, il livello di incidenza dell’influenza in Italia continua a scendere: dal 23 al 29 gennaio è stata di 6,39 casi per mille assistiti, pari a circa 388mila contagiati.

Mentre la settimana precedente l’incidenza era stata di 7,55 casi e il numero di allettati 457mila. Val d’Aosta, Provincia di Trento e Sardegna le regioni maggiormente colpite, ma in tutte è ancora in corso il periodo epidemico. La fascia di età maggiormente colpita resta quella dei bambini sotto i cinque anni, tra i quali l’incidenza sfiora i 18 casi per mille assistiti.

I casi gravi
Tuttavia, riporta il rapporto FluNews, continuano ad aumentare le forme gravi e complicate, che hanno portato quest’anno alla segnalazione di 112 casi gravi e di ben 26 decessi. La scorsa settimana ne erano state riportate rispettivamente 96 e 19. Nella maggior parte dei casi gravi l’età media era di circa 73 anni ed è stato isolato il virus A/H3N2. Quasi tutti presentavano almeno una patologia cronica, come malattie cardiovascolari (72%), respiratorie croniche (63%), diabete (46%) e obesita’ (28%). Non è stato confermato, invece, nessun caso grave di influenza in donne in gravidanza.


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La colazione è un pasto amico del cuore. Chi la fa regolarmente ha livelli di colesterolo e pressione – due fattori di rischio per lo sviluppo di malattie cardiache – più bassi, mentre chi la salta è più soggetto al rischio di obesità e diabete.

A evidenziarlo l’American Heart Association, in una dichiarazione scientifica sulla rivista Circulation. Secondo gli studiosi, guidati dalla dottoressa Marie-Pierre St-Onge, della Columbia University di New York, è importante per la salute del cuore pianificare i pasti dando loro una regolarità, così come gli spuntini.

“Il consiglio è di mangiare consapevolmente, prestando attenzione alla pianificazione sia di ciò che si mangia che di quando lo so fa, per combattere la fame nervosa – spiega St-Onge – in molte persone si riscontra che le emozioni possono innescare il desiderio di mangiare quando non si è affamati, cosa che spesso porta a ingerire troppe calorie da alimenti che hanno un basso valore nutrizionale”.

Il momento del giorno in cui si consumano i pasti è cruciale. Secondo gli studiosi assumere più calorie nella prima parte della giornata e meno di sera può infatti avere effetti positivi per il diabete e le malattie cardiovascolari.

Anche quello che si mangia è comunque importante: sì a frutta, verdura, cereali integrali, latticini a basso contenuto di grassi, pollame e pesce, mentre è meglio limitare carne rossa, sale e alimenti ad alto contenuto di zuccheri aggiunti.

ANSA


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Un consiglio per gli anziani che vogliono mantenere integro il proprio livello cognitivo? Impegnarsi in giochi mentalmente stimolanti. È quanto riscontrato da una ricerca su over 70, che hanno presentato un minor rischio di sviluppare deterioramento cognitivo lieve impegnandosi in attività e giochi che mettono alla prova il cervello.

Gli anziani che si impegnano in attività che stimolano la mente presentano un minor rischio di sviluppare deterioramento cognitivo lieve rispetto ai loro coetanei che non mettono “alla prova” il loro cervello. Per gli adulti dai 70 anni in su con problemi cognitivi, l’attività ludica è stata associata a una riduzione del 22% del rischio di deterioramento cognitivo lieve di nuova insorgenza.

Dallo studio – condotto da ricercatori della Mayo Clinic di Scottsdale, in Arizona – è emerso che lavorare sulle abilità si associa a una diminuzione del 28% di tale deterioramento, l’uso del computer a un tondo 30%. Ma anche le attività sociali incidono molto positivamente sul deterioramento cognitivo , riducendone il rischio di sviluppo del 23% . Largo quindi a rebus, parole crociate e navigazione in Internet. Senza trascurare gli incontri con gli amici e le attività all’aria aperta.

Lo studio
Per capire come diverse attività potrebbero influenzare le probabilità di sviluppare problemi, i ricercatori – guidati da Yonas E. Geda – hanno esaminato dati relativi a 1929 adulti, con un’età minima di 70 anni, che non presentavano alcun problema cognitivo all’inizio dello studio. Il team ha valutato i partecipanti ogni 15 mesi e metà dei soggetti sono rimasti nello studio per più di quattro anni. Attraverso alcuni sondaggi i partecipanti hanno riferito la frequenza di diverse attività. Successivamente, i ricercatori hanno confrontato il rischio di una nuova insorgenza di deterioramento cognitivo lieve in base al fatto che le persone praticassero le loro attività almeno una o due volte a settimana o non più di due o tre volte al mese. Alla fine dello studio, 456 persone avevano sviluppato un deterioramento cognitive lieve.

Gli studiosi hanno esaminato più attentamente un sottogruppo di 512 persone che presentavano un maggior rischio di deterioramento cognitivo perché portatrici di una versione del gene dell’apoliproteina E (APOE), un fattore di rischio sia per il deterioramento cognitivo, sia per la demenza da Alzheimer. Per i portatori del gene APOE solo l’uso del computer e le attività sociali sono risultati associati a una riduzione del rischio di deterioramento cognitivo lieve.

Fonte: JAMA Neurology 2017


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L’ASD New Volley Fucecchio e la Farmacia Serafini, spinti dalla comune convinzione che la salute è un bene primario raggiungibile solo attraverso una corretta alimentazione, una costante attività fisica ed un corretto stile di vita, organizzano una serie di incontri informativi dal titolo

SALUTE IN MOVIMENTO

Insieme a professionisti della salute, in modo semplice ed interattivo, scopriremo che non è poi così difficile STARE BENE.

Venerdì 24 febbraio – ore 21,15
presso Centro di Aggregazione “La Calamita” – Piazza S. d’Acquisto – Fucecchio

Ahi, che dolore !!!

Praticando sport può accadere di effettuare azioni scorrette che possono condurre a traumi.
Vediamo nello specifico i problemi che possono presentarsi, come prevenirli e come curarli…


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