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Un gruppo di psicologhe di università inglesi e australiane pubblica su Trends in cognitive sciences una sorta di call to action per gli psicologi di tutto il mondo. È arrivato il momento di attingere a piene mani ai database dei social network e della messaggistica online, infiocchettata di emoticon ed emoji. Miniere di informazioni gratuite e alla portata di tutti. E la psicologia del terzo millennio diventa inevitabilmente ‘cyber’

Trovare nuove chiavi interpretative del comportamento umano, leggendolo attraverso i comportamenti online, così pervasivi nella nostra società digitale. Questa la proposta di un gruppo di psicologhe di università inglesi e australiane (Linda K. Kaye, Helen J. Wall e Stephanie A. Malone) autrici di un lavoro pubblicato su Trends in cognitive sciences (Cell press).

La comunicazione, attività vitale per tutti, si avvale di comportamenti verbali e non verbali, questi ultimi spesso più importanti e portatori di significato della comunicazione verbale.

Traslando questi concetti alla comunicazione scritta, che ha avuto un boom nella forma prima degli SMS (Short Message Service) poi sulle varie piattaforme dei social network, è evidente che i semplici messaggi di testo non avrebbero potuto sopravvivere a lungo in modalità basic.

E se siti quali Instagram hanno da subito fatto delle immagini il loro cavallo di battaglia e il principale mezzo di comunicazione, per tutti gli altri social network, e a maggior ragione per i messaggi di testo via SMS o whatsapp, si è assistito nel tempo all’inarrestabile boom delle emoji.

Certo, le faccine sorridenti e i disegnini naive, non sono così efficaci da vicariare l’interazione del faccia a faccia di un incontro reale o anche virtuale, come quello di una videochiamata. Ma di fatto, che le emoji sono entrate di prepotenza nella quotidianietà della messaggistica e non accennano a tramontare. Anzi, il loro repertorio si arricchisce e si amplia periodicamente.

Gli antenati delle emoji sono le emoticon, nate negli anni ’80 come ‘faccine’ disegnate con i segni di interpunzione (come lo smile 🙂 o la faccina arrabbiata 🙁 ). Solo negli anni ’90 un’azienda giapponese inventa le emoji, i pittogrammi colorati destinati ai telefoni cellulari. E oggi, a distanza di una ventina d’anni, si calcola che ad usarle sia oltre il 90% della popolazione.

Una fonte di informazione preziosa dunque e sebbene le ricerche sull’uso di emoticon/emoji sia ancora agli albori, gli esperti ritengono che siano strumenti preziosi per sondare la personalità dei loro utilizzatori. Una data base sterminato insomma alla portata di tutti, vista l’accessibilità di molte piattaforme online, e la possibilità di esplorare il comportamento umano attraverso la lente della contemporaneità.

“Lavori pionieristici sull’analisi cognitiva delle emoticon – scrivono le tre psicologhe – rivelano che possono servire come utili forme di comportamento non verbale, oltre a rivelare nuovi aspetti dei meccanismi cognitivi e neurali coinvolti nella comunicazione digitale.” Alcuni studi ad esempio sono andati alla ricerca dei neurocorrelati delle frasi infiocchettate di emoticon per capire quali regioni cerebrali siano coinvolte in questa forma di comunicazione a metà tra il verbale e il non verbale. Pare che ad attivarsi siano sia il giro frontale inferiore destro, che il sinistro (quest’ultimo coinvolto soprattutto in compiti verbali).

Dal punto di vista dei rapporti interpersonali, le emoji sono eccellenti strumenti di disambiguazione, in grado ad esempio di chiarire il tono di un determinato messaggio. E per questo sono considerate un po’ alla stregua della comunicazione non verbale veicolata dai gesti o dalle espressioni del viso durante un discorso. Le emoji insomma danno quella pennellata di emozioni che si viene spesso a perdere in assenza di un’interazione faccia a faccia e forniscono agli utilizzatori una ‘tavolozza’ alla quale attingere  per chiarire l’aspetto emotivo di un concetto.

“I dati digitali – scrivono le autrici – forniscono un modo nuovo ed eccitante per riesaminare molti concetti psicologici relativi a percezione e comunicazione, comprese le espressioni emotive, la mimica emotiva, la valutazione emotiva, la pragmatica e la scoperta delle intenzioni. Facendo un’analisi comparata dei comportamenti faccia a faccia con quelli online sarà possibile stabilire se i comportamenti attuali,  come l’utilizzo delle emoji, possano essere considerati vere forme di emozione a livello neurologico e interpersonale”.

In conclusione, le interazioni virtuali sono sempre più comuni nella vita quotidiana e rappresentano una miniera di informazioni pronta per essere utilizzata da addetti ai lavori e non solo.
E l’invito ai ricercatori di tutto il mondo è dunque quello di studiare i comportamenti online della gente per cercare di svelare nuovi meccanismi in grado di migliorare la nostra comprensione del comportamento umano.


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Chi trasmette le paure ai bambini? Se un secolo di psicanalisi ha messo sul banco degli “imputati” i genitori, un nuovo studio inglese evidenzia come un ruolo importante possa essere esercitato anche dagli amici. E ci sono differenze di genere: le bambine sono meno suggestionabili.

Per valutare il “vissuto” delle paure dei bambini, un gruppo di ricercatori inglesi ha preso in considerazione una coorte di 236 bambini, 106 maschi e 136 femmine. Gli studiosi hanno fornito ai bambini – di un’età compresa tra i sette e i 10 anni – informazioni su animali dall’aspetto spaventoso e hanno valutato come si sentivano stando da soli e dopo che ne avevano parlato con gli amici. Dopo aver parlato con i piccoli amici, i bimbi tendevano a cambiare le loro opinioni per farle combaciare a quelle degli altri bambini.

“Alcuni studi mostrano che i bambini tendono a scegliere amici che hanno caratteristiche simili a loro e che possono diventare ancora più simili tramite le interazioni”, dice Jinnie Ooi, autrice principale dello studio e ricercatrice di psicologia presso la University of East Anglia nel Regno Unito. “Nel nostro studio abbiamo osservato che gli amici presentavano livelli analoghi di sintomi ansiosi e risposte alla paura ancor prima di discuterne insieme, e che dopo la discussione le paure diventavano ancora più simili”.

I bambini hanno completato questionari mirati alla valutazione dell’ansia e delle convinzioni alla base della paura. Inoltre, ai partecipanti sono state mostrate le foto di due marsupiali australiani poco conosciuti: il cuscus e il quoll. I ricercatori hanno letto ai bambini due versioni delle informazioni sugli animali; una neutra e una che descriveva questi animali come pericolosi. Gli studiosi hanno quindi valutato come si sentivano i bambini alla vista di ogni animale quando erano da soli e, successivamente, hanno chiesto loro di parlare di questi animali con gli amichetti.

Per capire come si sentissero i piccoli dopo le discussioni, i ricercatori li hanno dotati di mappe che mostravano gli animali su un sentiero e hanno chiesto loro di segnare il punto in cui avrebbero voluto essere nell’immagine. Quelli che si sono messi molto distanti dagli animali mostravano un tentativo di evitare gli animali, un chiaro indicatore di paura. Dopo aver parlato con gli amici, i bimbi tendevano ad avere risposte alla paura simili a quelle dei loro amici. Ma con differenze di genere. Quando la discussione avveniva tra due maschi, essi tendevano a presentare un notevole incremento nella paura dopo aver parlato, mentre le coppie di bimbe hanno mostrato una significativa riduzione delle convinzioni sulla paura anche quando hanno ricevuto informazioni minacciose.

”I disturbi d’ansia durante l’infanzia sono tra i problemi psicologici più comuni nei bambini preadolescenti”, ha concluso Ooi. “Il nostro studio può essere utile nel prevenire i problemi d’ansia, per esempio attraverso un lavoro nelle scuole, e per individuare schemi di trattamento in contesti clinici per disturbi legati all’ansia nell’età infantile”.

Fonte: Behaviour Research and Therapy 2016


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Assumere integratori di vitamine e minerali in gravidanza potrebbe potenziare lo sviluppo cognitivo del nascituro con effetti a lungo termine, facendogli guadagnare in termini di abilità cognitive fino a “un anno in più di intelligenza”, all’età di 9-12 anni.

E’ quanto emerso da una ricerca condotta in Indonesia, pubblicata sulla rivista Lancet Global Health e frutto di una collaborazione mondiale di istituzioni prestigiose tra cui la Harvard T.H. Chan School of Public Health a Boston.

Il lavoro ha coinvolto decine di migliaia di donne che in gravidanza avevano assunto o integratori multivitaminici o solamente ferro più acido folico (ferro folina). Dopo parecchi anni, quando i figli di queste donne avevano ormai tra i 9 e i 12 anni, le loro abilità cognitive sono state esaminate con test ad hoc.

E’ emerso che i figli di donne che avevano assunto multivitaminici in gravidanza presentavano un livello di memoria procedurale (la memoria di come si fanno le cose e di come si usano gli oggetti) maggiore rispetto a coetanei le cui mamme avevano assunto solo ferro-folina. A parità di età, il punteggio dei primi è più alto di un valore pari alla crescita mnemonica osservabile normalmente in sei mesi. Più in generale i primi avevano capacità cognitive maggiori dei coetanei le cui mamme avevano preso solo ferro folina, con differenze pari a quelle osservabili nel bambino dopo un anno scolastico.

ANSA


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Dall’inizio della stagione influenzale è ormai di oltre tre milioni il numero di italiani costretti a letto dall’influenza. Un numero raggiunto con grande anticipo rispetto allo scorso anno, quando era stato toccato a marzo.

A spiegarlo dall’ANSA è Antonino Bella, responsabile del bollettino di sorveglianza epidemiologica delle sindromi influenzali Influnet, coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità (Iss). Un super lavoro per gli studi dei medici di famiglia, presso cui sono triplicate le consultazioni e le visite a domicilio.

Più aggressiva degli anni passati, l’influenza «viaggia verso il picco dei contagi, che potrebbe arrivare – spiega Bella – già per la prossima settimana». Presso gli studi dei medici di famiglia, spiega Claudio Cricelli, presidente della Società italiana di Medicina Generale (Simg) «c’è stato un afflusso straordinario in breve periodo di tempo, iniziato durante le vacanze natalizie». Di fatto, precisa «in circa 2 mesi e mezzo 48mila medici si sono fatti carico di 5 milioni di persone affette da influenza o sindromi similinfluenzali e relative complicanze meno gravi. In alcuni casi facendo anche 10 visite domiciliari al giorno, il triplo rispetto al solito. E anche le consultazioni ambulatoriali sono più che triplicate».

ANSA


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Nel pomeriggio, dalle ore 16,00 alle ore 20,00, sarà presente un’esperta estetista che, oltre a truccare gratuitamente, potrà suggerire tecniche e segreti per un make-up strepitoso.

Nell’occasione, sarà riservato un particolare sconto sull’acquisto dei prodotti per il trucco delle Linee La Roche Posay, Vichy, EuPhidra (non cumulabile con altre promozioni in corso).

Prenota la tua seduta trucco gratuita, rivolgendoti alla responsabile del Reparto DermoCosmetico, la dott.ssa Valentina.


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La conferma delle proprietà benefiche del peperoncino arriva questa volta da uno studio americano. Il merito è forse della capsaicina, che oltre a dare il gusto del ‘piccante’, modula il circolo coronarico, sembra avere un effetto anti-obesità e forse seleziona un microbiota intestinale particolare. Necessari comunque ulteriori studi clinici per chiarire i meccanismi alla base degli effetti salutari del peperoncino

Buone notizie per gli amanti della cucina piccante. Un ampio studio realizzato dal Larner College of Medicine dell’Università del Vermont giunge infatti alla conclusione che il consumo di peperoncino si associa ad una riduzione di mortalità del 13%, soprattutto sul fronte cardiovascolare (ictus e infarti).

E’ una notizia che viene a confermare quanto già evidenziato da uno studio cinese pubblicato nel 2015 e che in qualche modo porta acqua alle credenze popolari, che si perdono nei secoli, circa un effetto salutare del peperoncino piccante nei confronti di una serie di malattie. Basandosi sulle teorie di Ippocrate e Galeno ad esempio, in epoca medievale si riteneva che le spezie potessero aiutare a ripristinare gli squilibri umorali alla base delle malattie.

La ricerca americana appena pubblicata su Plos One ha attinto ai dati del National Health and Nutritional Examination Survey (NHANES) III relativi ad oltre 16 mila cittadini americani seguiti per un periodo di 23 anni. Su questa enorme banca dati gli autori dello studio sono andati ad effettuare una selezione, in base al consumo o meno di peperoncino piccante.

L’identikit dell’amante della cucina ‘spicy’ è risultato essere maschio, bianco, giovane, messicano-americano, sposato, fumatore, consumatore di alcol, di verdure e carne, con basso colesterolo HDL, di basso reddito e non particolarmente istruito. Caratteristiche insomma non proprio da oscar della prevenzione.

Sono stati quindi esaminati dati relativi ad un follow-up di 18,9 anni relativamente alla mortalità e alle varie cause che avevano determinato i decessi. E il risultato è stato appunto quello di una netta riduzione di mortalità (-13%), in particolare da cause cardio-vascolari, nei consumatori di peperoncino.

I meccanismi attraverso i quali il peperoncino piccante esercita questo effetto protettivo sono noti, ma gli autori dello studio suppongono che un certo ruolo potrebbe essere giocato dai canali TRP (Transient Receptor Potential), che fungono da recettori per le sostanze piccanti, quali la capsaicina (contenuta nel peperoncino). L’attivazione del TRP tipo 1 vanilloide (TRPV1) sembra in grado di stimolare una serie di meccanismi cellulari anti-obesità, intervenendo sul catabolismo lipidico e sulla termogenesi.

Sono state prodotte evidenze scientifiche a favore di un’azione benefica della capsaicina nel prevenire l’obesità, l’ipercolesterolemia (attraverso un aumento del metabolismo dei lipidi), il diabete di tipo 2 e l’ipertensione. Questa sostanza contenuta nel peperoncino interverrebbe inoltre nella modulazione del flusso coronarico; senza contare le sue proprietà anti-batteriche, che secondo gli autori potrebbero contribuire a selezionare un microbiota intestinale particolare, oltre che a proteggere dall’Helicobacter pylori e da altri funghi e batteri.

“I risultati del nostro studio – concludono gli autori – confermano quanto già evidenziato da studi precedenti, ovvero gli effetti favorevoli per la salute del peperoncino e del cibo piccante. Il consumo di questi cibi potrebbe dunque entrare nelle raccomandazioni dietetiche, mentre queste osservazioni dovrebbero portare ad organizzare ulteriori ricerche, anche sotto forma di trial clinici, per chiarire i meccanismi alla base di questi effetti”.


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L’intesa regolamenta la somministrazione di farmaci a scuola, di ogni ordine e grado, pubblica e parificata. Saccardi: “Vogliamo consentire a tutti i ragazzi di frequentare la scuola, anche in presenza di patologie particolari, e vogliamo garantire che avvenga nella massima sicurezza e tranquillità”

Somministrazione dei farmaci a scuola, la Toscana è pronta per partire in maniera omogenea in tutte le scuole della regione. Un decreto approvato dalla giunta a fine dicembre ha definito tutta la modulistica necessaria per consentire la somministrazione di farmaci a bambini  e ragazzi nei locali e in orario scolastico. In sostanza, gli strumenti operativi per mettere in pratica l’accordo di collaborazione siglato nel maggio 2015 tra Regione Toscana, Ufficio Scolastico Regionale e Anci.

Per perfezionare l’accordo, lo scorso 8 gennaio è stata siglata anche un’intesa tra Ufficio Scolastico Regionale per la Toscana e Federazione Regionale Toscana degli Ordini dei Medici: intesa che regolamenta anche la somministrazione di farmaci a scuola, di ogni ordine e grado, pubblica e parificata.

La modulistica, spiega la Regione in una nota, prevede una richiesta da parte dei genitori al dirigente scolastico per la somministrazione di farmaci nei locali e in orario scolastico; la certificazione della necessità della terapia, fatta dal pediatra o dal medico curante; il piano terapeutico con il nome del farmaco indispensabile o salvavita, le modalità di somministrazione e di conservazione; il verbale di consegna del farmaco da parte dei genitori alla scuola.

A somministrare il farmaco, può essere qualcuno del personale scolastico, se l’attività non richiede cognizioni specialistiche di tipo sanitario. Se invece queste cognizioni specialistiche sono necessarie, la Asl competente dovrà individuare il personale e le modalità per garantire l’assistenza sanitaria qualificata. La direzione scolastica dovrà attivarsi con la Asl di riferimento, per concordare l’attivazione, da parte dell’istituzione sanitaria, di corsi di formazione specifici per i personale che si è dichiarato disponibile alla somministrazione del farmaco.

“Nella vita scolastica di tutti i giorni possono verificarsi casi di episodi acuti per cui è necessaria la somministrazione tempestiva di un farmaco salvavita – dice l’assessore al diritto alla salute Stefania Saccardi – O, più semplicemente, può essere necessario dare con regolarità a un alunno un farmaco che gli è indispensabile per una determinata patologia. Noi vogliamo consentire a tutti i ragazzi di frequentare la scuola, anche in presenza di patologie particolari, e vogliamo garantire che questo venga fatto nella massima sicurezza e tranquillità: per loro, per le loro famiglie e per il personale scolastico”.

“L’accordo di collaborazione per la somministrazione dei farmaci a scuola è un passo importante per garantire agli studenti con particolari patologie, ed alle loro famiglie, di poter frequentare in sicurezza e tranquillità la scuola – afferma l’assessora regionale all’istruzione Cristina Grieco – L’approvazione di una modulistica univoca ed utilizzabile in modo omogeneo su tutto il territorio regionale rende operativi  gli strumenti da utilizzare da parte di tutti i soggetti coinvolti: famiglie, scuole, medici, insegnanti. Abbiamo quindi portato a fine un fondamentale lavoro di collaborazione tra le parti – conclude Grieco – che ha reso possibile questo risultato, costruito nel rispetto delle competenze e delle responsabilità di tutti i soggetti coinvolti, e nel contempo mantenendo la consapevolezza e la sensibilità necessaria nel trattare una materia così delicata e per garantire l’effettività del diritto allo studio”.

“Pensiamo che sia stato raggiunto un importante obiettivo per i nostri alunni e per le loro famiglie – è il commento di Domenico Petruzzo, direttore generale dell’Ufficio Scolastico Regionale – perché la somministrazione in orario scolastico di farmaci indispensabili e di farmaci salvavita è un problema complesso in tutta la penisola; pur non essendo il campo della salute competenza del sistema istruzione, con la modulistica approvata abbiamo cercato di dare un contributo importante ed una risposta concreta ai numerosi problemi delle scuole per garantire sia il diritto allo studio che il diritto alla salute”.


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C’è carenza di sangue in nove regioni, a causa soprattutto del maltempo e dell’influenza.

Lo afferma un comunicato del Centro Nazionale Sangue, secondo cui devono mobilitarsi i donatori su tutto il territorio nazionale. In totale, afferma il Centro, sono oltre 2600 le unità mancanti. La regione con le maggiori carenze è il Lazio ma situazioni critiche si registrano, secondo i dati aggiornati ad oggi, in Abruzzo, Toscana, Campania, Basilicata, Liguria, Umbria, Marche, Lazio e Puglia.

«Le cause della carenza sono multifattoriali – afferma Giancarlo Maria Liumbruno, direttore del Centro Nazionale Sangue -, ma sicuramente può aver inciso l’epidemia influenzale che, complice il calo delle vaccinazioni, ha già colpito molte più persone rispetto allo scorso anno, e si può ipotizzare che anche il maltempo stia tenendo a casa i donatori. La mobilitazione deve riguardare però tutte le regioni, non solo quelle che hanno carenze. L’autosufficienza per quanto riguarda il sangue, infatti, è sovraziendale e sovraregionale e in questi casi diventa vitale la compensazione coordinata tra regioni».

L’invito per tutti i donatori è contattare l’associazione di appartenenza. «Le Associazioni e Federazioni dei donatori di sangue – sottolinea Aldo Ozino Caligaris, portavoce protempore del CIVIS (Coordinamento Interassociativo dei Volontari Italiani del Sangue) – devono intensificare la chiamata dei donatori periodici e associati».

ANSA


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Nel documento si ribadisce che attualmente non c’è un’epidemia di meningite in Italia. La diffusione della meningite in generale è bassa ed è rimasta costante negli ultimi cinque anni e l’andamento dei casi riscontrati rispecchia questo trend. IL VADEMECUM

L’Agenzia italiana del Farmaco, il Ministero della Salute e l’Istituto Superiore di Sanità hanno realizzato un breve documento di domande e risposte sulla meningite e sulle vaccinazioni disponibili e necessarie.

Nel documento si ribadisce che attualmente “non c’è un’epidemia di meningite in Italia”. La diffusione della meningite in generale “è bassa ed è rimasta costante negli ultimi cinque anni e l’andamento dei casi riscontrati rispecchia questo trend”.

I bambini piccoli e gli adolescenti, ma anche i giovani adulti, sono a rischio più elevato di contrarre infezione e malattia. Per quanto riguarda il sierogruppo B, la maggior parte dei casi si concentra fra i bambini più piccoli, al di sotto dell’anno di età.

Il vaccino pertanto va somministrato solo alle fasce di popolazione raccomandate e a rischio per mantenere alta la protezione individuale e collettiva dalla malattia. Nel caso di soggetti adulti sani la vaccinazione non è necessaria.

È importante seguire il calendario vaccinale e consultare sempre il proprio medico in merito all’opportunità e alle tempistiche delle vaccinazioni.


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Il numero complessivo di donatori di organi sfiora quota 1.600, il più elevato sinora rilevato. I pazienti trapiantati aumentano di oltre 400 con un incremento del 13% e 3.736 trapiantati, calano le liste di attesa per rene e polmone. Ancora ampio il gap tra Nord e Sud Italia. L’obiettivo ora è quello di diminuire le opposizioni alla donazioni, stabili al 30%.

Un anno da record, con italiani sempre più generosi e un sistema sempre più efficiente. È quanto racconta l’Italia dei trapianti che ha chiuso il 2016 con un bilancio dal segno decisamente positivo. L’attività di donazione ha avuto un’impennata, mai rilevata. Il numero complessivo di donatori di organi, da cadavere e da vivente, sfiora quota 1.600: un +7,5% rispetto al 2015, frutto di incrementi registrati sull’intero territorio nazionale. È aumentato anche il numero dei donatori utilizzati: +11,5%; una crescita indicativa del miglioramento delle performance delle attività di trapianto.

Numeri da record anche per i trapianti da cadavere e da vivente: in totale 409 in più rispetto al 2015 con un incremento rispetto all’anno precedente del 13%, il maggiore aumento mai osservato (si passa dai 3.327 del 2015 a 3.736 del 2016). In particolare è cresciuto il numero dei trapianti da cadavere: rispetto al 2015 sono stati effettuati 441 trapianti in più (da 3.002 a 3.443). Ma nonostante gli aumenti registrati in Campania, Sicilia e Puglia e i livelli del Lazio, ormai sulla media nazionale, la differenza tra Nord Sud rimane ancora evidente.

Sono questi i dati preliminari del Report 2016 del Centro nazionale trapianti presentati questa mattina al ministero della Salute dal Direttore Nanni Costa che ha rivolto un ringraziamento alla rete trapianti e ai rianimatori “che hanno portato avanti un’attività straordinaria, anche in questi ultimi giorni dell’anno”. I dati snocciolati indicano come anche le opposizioni, rimaste sostanzialmente stabili (30%) inizino a mostrare piccoli segnali di retrocessione: -0,2%. Soprattutto diminuiscono le liste di attesa per rene (-4,6%) e polmone (-7,7%). Stabile la lista per un trapianto di fegato, mentre cresce quella del cuore per l’uso dei cuori artificiali che incrementano la platea dei pazienti “trapiantabili”.

Soddisfatta dei dati emersi il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin che ha sottolineato l’intenzione del Governo di proseguire e incentivare le campagne di sensibilizzazione soprattutto per colmare il divario tra Nord e Sud: “Dobbiamo penetrare sempre di più nei vari strati di queste popolazioni per sensibilizzarli sull’importanza della donazione”.

“Un anno che archiviamo sicuramente come positivo e già con degli obiettivi chiari per il prossimo” ha commentato a Quotidiano Sanità il Direttore del Centro Nazionale Trapianti Alessandro Nanni Costa. “Nel quadro europeo l’Italia è sicuramente un’eccellenza nel settore trapianti, ma non siamo qui per sbandierare classifiche – ha affermato – il nostro obiettivo è lavorare per migliore ancora di più i risultati straordinari che abbiamo ottenuto nel 2016. Da quindici anni in Italia non si assisteva ad un aumento di questo tipo. In generale abbiamo registrato un aumento di attività della rete con più di 400 trapianti da cadavere. Significativa la contrazione delle liste d’attesa per il trapianto di rete e del polmone: spaziamo quindi da un percorso di stabilità verso una riduzione dei tempi di attesa. Tutto questo è il risultato di un lavoro di squadra. Uno sforzo continuativo portato avanti con le Regioni, molte sono infatti cresciute ed è aumentata e migliorata l’attività dei coordinamenti e il numero delle segnalazioni. Anche i primi giorni del 2017 confermano questo trend. Ci sono poi gli importanti risultati della catena samaritana che si è conclusa in questi giorni. Insomma, un anno straordinario”.

Record di donazioni e trapianti. Il numero complessivo di donatori di organi organi sia da cadavere che da vivente sfiora quota 1.600: sono 1.596 le donazioni del 2016 di contro le 1.489 del 2015. I donatori utilizzati dopo accertamento di morte superano per la prima volta quota 1.300. “Si registriamo, finalmente – sottolinea il Cnt – diverse donazioni dopo accertamento di morte con criteri cardiocircolatori, cioè con una modalità che potrebbe ulteriormente sviluppare le donazioni ed i trapianti in Italia, come sta avvenendo nelle principali nazioni europee”. A livello nazionale i pazienti trapiantati aumentano di oltre 400 unità portandosi a quota 3.736 (3.327 nel 2015). Si tratta del maggiore numero e del maggiore incremento mai osservato, pari al 13 % rispetto all’anno precedente.

Sono 4 gli ospedali nei quali si concentra la più alta attività di trapianto, ha ricordato Nanni Costa: il San Matteo di Padova, le Molinette di Torino, il Sant’Orsola a Bologna e il Niguarda a Milano. Insieme effettuano un terzo di tutti i trapianti in Italia, ma in generale c’è un fenomeno di concentrazione in dieci ospedali che fanno il 50% dei trapianti.

Gli aumenti di trapianti interessano tutti gli organi. In totale sono stati effettuati 2.086 trapianti di rene (1813 da cadavere e 273 da vivente) erano 1.882 nel 2015. Quelli di fegato sono passati da 1.094 nel 2015 a 1.235 nel 2016 (1.215 da cadavere e 20 da vivente). Sono stati effettuati 267 trapianti di cuore (246 nel 2015), 154 di polmone (112 nel 2015) e 69 di pancreas (50 nel 2015).

Liste d’attesa stabili, ma diminuiscono quelle per il rene e il polmone. In totale sono 8.856 le persone che aspettano un ricevere un organo. la maggior parte attende di ricevere un rene (6.598), mentre sono 1.041 i pazienti in lista per il fegato, 742 per il cuore e 346 per il polmone. In generale i dati disegnano una situazione statica delle liste di attesa. Ma per la prima volta la lista del rene e quella del polmone appaiono non solo stabili, ma in diminuzione rispetto all’anno precedente. La riduzione della lista del rene è pari a 300 pazienti. La lista fegato appare stabile, mentre l’incremento della lista cuore va considerato in relazione all’uso dei cuori artificiali che incrementano la platea dei pazienti “trapiantabili”.
“È la prima volta che in Italia vediamo un dato di questo tipo – sottolinea Nanni Costa – sinora osservato solo in Spagna. Va visto come un risultato importante ed una concreta speranza in più per i nostri pazienti in lista”.

Bene l’andamento dei donatori di staminali emopoietiche (midollo osseo). Gli iscritti al Registro italiani donatori midollo osseo sono stati 498mila contro i 469mila del 2015. Bene anche i trapianti di cellule staminali emopoietiche: siamo primi/secondi in europa per milione di abitanti.

La Catena samaritana. Si è conclusa l’ultima catena samaritana sviluppata tra dicembre 2016 e gennaio 2017 che a caduta ha coinvolto 5 coppie di donatore/ricevente incompatibili tra loro. Il samaritano del 2016 è un panettiere di Vicenza che si collegato telefonicamente nel corso della conferenza stampa di presentazione dei dati. La sofferenza di un suo cliente in dialisi da anni lo ha spinto a donare il proprio rene, mosso anche dal convincimento che “si può vivere anche con un rene solo. Quindi, anche perché no!”. Ma se sa catena samaritana si è conclusa presto ci saranno altri due samaritani che arriveranno dalla Sicilia e sempre da Vicenza.


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