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Correre allunga la vita, riduce il rischio di morte, anche se la distanza percorsa è piccola, anche se si corre pochissimo.

È la buona notizia che arriva da una maxi-revisione di dati di moltissimi studi, resa nota sul British Journal of Sports Medicine: in tutto sono stati coinvolti 232.149 partecipanti ed è emerso che correre anche poco riduce il rischio di morte per qualunque causa del 27%, indipendentemente, quindi, da quanto si corre; correre è risultato anche associato con una riduzione rispettivamente del 30% e del 23% del rischio di morte per patologie cardiovascolari e tumori.

«I nostri risultati possono motivare le persone sedentarie ad iniziare a correre e dare maggiore slancio a chi già pratica la corsa, anche se solo saltuariamente», ha dichiarato l’autore principale del lavoro Željko Pediši?, docente presso la Victoria University a Melbourne. «Un aumento di partecipazione a questo tipo di attività sportiva, indipendentemente dalla ‘dose’ di corsa effettuata, potrebbe portare a sostanziali miglioramenti nella salute e nella longevità della popolazione», hanno concluso gli autori del lavoro.

ANSA


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Al paziente di 13 anni, affetto da microtia, una malformazione congenita rara, il chirurgo plastico che lo ha operato ha potuto ricostruire l’orecchio a partire da una piccola porzione di cartilagini costali prelevate dal bambino dando loro la forma dell’orecchio grazie a modelli stampati in 3D.

La stampa 3D ha consentito ai chirurghi del Meyer di ricostruire da zero l’orecchio di un bambino. È la storia di Lapo (nome di fantasia) paziente 13enne del Meyer, toscano, affetto da microtia, una malformazione congenita rara (colpisce 5 bambini su 10.000 nati), nel suo caso bilaterale, che porta a un’assenza di sviluppo dell’orecchio esterno. Il chirurgo plastico del Meyer che lo ha operato ha potuto ricostruire l’orecchio a partire da una piccola porzione di cartilagini costali prelevate dal bambino dando loro la forma dell’orecchio grazie a modelli stampati in 3D.

Chirurghi e ingegneri in sala

Quello eseguito al Meyer è il primo intervento in Italia che si avvale di questa tecnologia ed ha visto la collaborazione del team di chirurghi del pediatrico fiorentino, guidati in sala dal dottor Flavio Facchini (specialista in Chirurgia Plastica e Ricostruttiva) insieme alla dottoressa Alessandra Martin (Chirurgo Pediatra), chirurghi dell’equipe del professor Antonino Morabito, anestesisti e infermieri. In sala erano inoltre presenti alcuni ingegneri di T3Ddy: la professoressa Monica Carfagni, responsabile del laboratorio, Yary Volpe e Elisa Mussi. Il laboratorio T3Ddy (www.t3ddy.org), sostenuto dalla Fondazione Meyer, nasce dall’incontro tra le eccellenze cliniche del Meyer e quelle dei ricercatori del Dipartimento di Ingegneria Industriale dell’Università di Firenze e ha come obiettivo l’introduzione di tecnologie 3D altamente innovative nella pratica clinica.

La preparazione

L’intervento ha richiesto una lunga preparazione prima di arrivare in sala. Innanzitutto, la forma esatta delle cartilagini del bambino con le quali ricostruire l’orecchio è stata acquisita mediante TAC. A quel punto, grazie ad un software di ultima generazione, è stata stampata in 3D una copia delle cartilagini: da questo modello tridimensionale si è potuta vedere al millimetro la porzione di cartilagini da prelevare. Poi, per definire con la massima precisione possibile che forma avrebbe avuto un orecchio “naturale” del bambino, è stato preso a modello un orecchio della mamma del piccolo: grazie a scansioni 3D, il team ne ha riprodotto il modello tridimensionale. L’orecchio è stato stampato in tutte le sue parti e, una volta in sala, è stato fondamentale per plasmare le cartilagini ottenendo un orecchio esteticamente uguale a quello vero.

I vantaggi

Prima di arrivare in sala operatoria, grazie alle stampe 3D dell’orecchio e delle cartilagini, l’intero intervento è stato simulato più volte dal team del Meyer: questo ha consentito di affinare la tecnica. “Il vantaggio di un intervento di questo tipo, rispetto a quelli eseguiti con la precedente tecnica 2D, è l’estrema precisione, che ha consentito di ridurre al minimo le cartilagini prelevate dalle coste del bambino. Quando siamo arrivati a prelevare le cartilagini sapevamo già i frammenti da utilizzare, perché il modello che avevamo stampato le riproduceva con fedeltà assoluta”, spiega il dottor Flavio Facchini. Grazie alla stampa 3D, inoltre, si sono ridotti i tempi di esecuzione dell’intervento (6 ore) e, di conseguenza, quelli dell’anestesia.

La valenza psicologica e sociale

Lapo, tra qualche mese, verrà sottoposto ad un secondo intervento per ricostruire con la stessa tecnica anche il secondo orecchio: “Per un bambino con una malformazione che era così evidente, il recupero estetico acquista una grande valenza psicologica e sociale: lui non aveva problemi di udito ma la malformazione gli creava grande disagio”, racconta il dottor Facchini.

3D al Meyer: le prospettive

Adesso ci sono altri 6 bambini in attesa dello stesso intervento, e le prospettive sono incoraggianti: “Al Meyer si inaugura una nuova frontiera della chirurgia ricostruttiva, che apre la strada anche ad altri tipi di ricostruzione 3D: ad esempio per correggere le malformazioni del volto, alterazioni congenite del distretto testa-collo, gli esiti di traumi ed ustioni e gli esiti di interventi oncologici demolitivi”, annuncia il dottor Facchini. “La tecnica che abbiamo applicato al Meyer rappresenta il futuro della chirurgia: i modelli 3D consentono di pianificare l’intervento chirurgico e di adattare, con una precisione che era impensabile con le tecniche 2D, il modello ricostruttivo al singolo paziente”. Fino ad ora, infatti, per avere un modello di riferimento da cui partire per ricostruire l’orecchio, il chirurgo faceva tutto manualmente, disegnando i contorni anatomici su una lastra trasparente appoggiata alla parte presa a modello.

L’importanza della simulazione

La simulazione preoperatoria rappresenta inoltre un ottimo strumento per la formazione e il training dei giovani chirurghi, che in questo modo avranno una curva di apprendimento molto più rapida. Il dottor Facchini si è specializzato in tecniche ricostruttive dell’orecchio e microchirurgia nella più importante scuola mondiale del settore, l’ospedale pediatrico Necker di Parigi, e recentemente vi ha trascorso un periodo per approfondire la tecnica chirurgica grazie a una missione finanziata della Fondazione Meyer.


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L’esposizione prolungata al fumo passivo può causare, nei bambini, l’assottigliamento della coroide, uno strato nella parte posteriore degli occhi che contiene molti vasi sanguigni.

“L’esposizione al fumo passivo è un’importante minaccia per la salute pubblica, e colpisce fino al 40% dei bambini”, dice Yam dell’Università cinese di Hong Kong, coautore di uno studio che ha valutato le possibili conseguenze di questa esposizione sulla vista. Con il suo gruppo di ricerca Yam ha scoperto che più i bambini sono esposti al fumo passivo, più la coroide, uno strato nella parte posteriore degli occhi che contiene molti vasi sanguigni, è sottile. La ricerca è stata pubblicata online dalla rivista JAMA Ophthalmology.

Lo studio

Lo studio è stato condotto su 1.400 bambini di età compresa tra i 6 e gli 8 anni ed è durato 8 anni. Tra questi, 941 non erano esposti al fumo passivo. I ricercatori hanno raccolto delle informazioni demografiche, oltre a età, sesso, indice di massa corporea, peso alla nascita ed esposizione al fumo passivo. Hanno poi misurato le coroidi dei bambini con tomografia a coerenza ottica con sorgente spazzata.

Confrontando le scansioni dei bambini esposti al fumo passivo con quelle dei bambini non esposti, i ricercatori hanno scoperto che le coroidi dei primi erano più sottili di 6-8 micrometri e hanno osservato che il livello di assottigliamento dipendeva dalla quantità di fumo passivo alla quale erano stati esposti.

A partire da questi risultati, secondo Yam “i genitori che fumano dovrebbero smettere di fumare per proteggere gli occhi dei loro figli” e dovrebbero impedire ai bambini di essere esposti al fumo passivo.

Si sa che il fumo passivo è associato a problemi visivi negli adulti, ma il suo impatto sugli occhi dei bambini non era ancora noto.
I risultati dello studio “supportano prove relative ai potenziali rischi del fumo passivo per i bambini”, osserva Fernando Arevalo, della Johns Hopkins University School of Medicine di Baltimora, non coinvolto nello studio.

“Non c’è dubbio che il fumo di sigaretta sia un importante fattore di rischio per le malattie sistemiche e le malattie vascolari oculari”, conclude Arevalo. “I bambini non dovrebbero essere esposti al fumo passivo in quanto questa esposizione può portare a malattie vascolari all’inizio della vita, a degenerazione maculare correlata all’età, a cataratta, glaucoma e altre patologie”.

Fonte: JAMA Ophthalmology


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Gli interventi di cataratta contribuiscono a rendere le strade più sicure perché dimezzano incidenti stradali e situazioni a rischio incidente (i cosiddetti ‘near miss’). Lo stabilisce una ricerca australiana.

Che la chirurgia della cataratta fosse in grado di restituire ai pazienti il piacere di vedere i colori in tutto il loro splendore e di migliorare la visione notturna è cosa nota da tempo, ma che potesse avere delle ricadute sulla sicurezza stradale non era stato finora dimostrato.

La cataratta è un pegno comune da pagare all’invecchiamento: un 80enne su due presenta questo problema. I colori perdono le loro note vibranti, di notte si vede peggio perché le luci si sfrangiano in mille raggi che disturbano la visione, si fa più fatica a vedere gli oggetti da vicino. Tutto perché il cristallino, che dovrebbe essere limpido come suggerisce il suo nome, si opaca. Il rimedio c’è ed è (almeno per ora) affidato alla chirurgia: il cristallino opacato viene sostituito da una lente artificiale e si torna a vedere. Spesso anche senza occhiali.
Un intervento dai tempi contenuti, che viene effettuato quasi sempre in day hospital, in anestesia locale. Rapido e risolutivo. Ma non tutte le persone con cataratta decidono di affrontarlo.  Qualcuno ritiene che non interferendo troppo con le attività del vivere quotidiano, si possa vivere bene anche senza correggere la cataratta. Ma è davvero così?

Jonathon Ng e colleghi della University of Western Australia hanno deciso di oggettivare l’impatto della cataratta sulla qualità di vita, in un contesto particolare: guidare la macchina. A tale proposito hanno arruolato 44 pazienti candidati all’intervento di cataratta e li hanno sottoposti ad un test di guida con un simulatore che proponeva loro varie situazioni:  limiti di velocità, traffico, incroci non controllati e attraversamenti pedonali. I pazienti venivano nuovamente sottoposti al test di guida simulato dopo l’intervento di cataratta al primo occhio, poi dopo il secondo intervento (in genere viene operato prima un occhio, iniziando con quello con la cataratta più ‘densa’, poi l’altro occhio).

I risultati ottenuti si commentano da soli. Dopo il primo intervento, incidenti e situazioni al limite dell’incidente (i cosiddetti ‘near miss’) sono risultati ridotti del 35%; dopo il secondo intervento si arriva  a ridurli del 48%.

Secondo gli autori dello studio, l’acuità visiva (quella misurata con le tavole optometriche per la patente) rappresenta un importante esame per definire l’idoneità alla guida di una persona , ma dà comunque una valutazione incompleta. Un indicatore altrettanto importante è la qualità della visione. Una migliore sensibilità al contrasto e una migliore visione crepuscolare possono avere ricadute importanti sulla sicurezza alla guida.

“In Australia e in altri Paesi – commenta il dottor Ng – i pazienti spesso aspettano mesi prima di essere operati, dopo la diagnosi di cataratta. I risultati di questo studio sottolineano invece l’importanza di sottoporsi tempestivamente all’intervento, per garantire la sicurezza e l’indipendenza negli spostamenti in auto anche nei guidatori più avanti con gli anni”.


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È avvenuto al Molinette di Torino su un paziente di 47 anni affetto da una fibrosi cistica grave patologia polmonare, che ha ricevuto polmoni, fegato e pancreas. È stato trasferito da Bari a Torino con un volo di Stato in emergenza. L’intervento di trapianto, durato oltre 15 ore, è tecnicamente riuscito.

Per la prima volta in Italia ed in Europa è stato effettuato un trapianto combinato di ben quattro organi (polmoni, fegato e pancreas) su un paziente di 47 anni, presso l’ospedale Molinette della Città della Salute di Torino. L’intervento è stato eseguito su un uomo trasferito qualche giorno fa dal Policlinico di Bari nella rianimazione dell’ospedale Molinette (diretta dal professor Luca Brazzi). “Il paziente di 47 anni, affetto da una fibrosi cistica, grave patologia polmonare (già inserito in lista attiva per un trapianto di polmoni), si era aggravato ed era stato necessario il supporto con la ventilazione meccanica a Bari”, riferisce una nota dell’ufficio stampa della Città della Salute di Torino.

Trasferito con un volo di Stato a Torino per eseguire un trapianto di polmone in emergenza, le condizioni cliniche sono ulteriormente peggiorate con l’evidenza di una grave disfunzione del fegato. Valutato collegialmente dal team multidisciplinare del trapianto polmone e fegato delle Molinette, si è deciso di procedere con un trapianto combinato polmoni-fegato-pancreas per trattare in maniera radicale la fibrosi cistica.

L’uomo è stato iscritto nel Programma Nazionale di Trapianto in Emergenza e dopo poche ore si sono resi disponibili gli organi di un giovane donatore deceduto per trauma cranico in Piemonte. Nella notte è iniziata una vera e propria maratona chirurgica, coordinata dal Centro Regionale Trapianti diretto dal professor Antonio Amoroso. Due équipe prelievo sono partite da Torino per il prelievo degli organi che hanno permesso l’esecuzione dell’eccezionale trapianto.

In sala operatoria si sono succedute le équipe chirurgiche ed anestesiologiche del Centro Trapianto di Polmone (diretto dal professor Mauro Rinaldi) e successivamente del Centro Trapianto di Fegato (diretto dal professor Renato Romagnoli). L’intervento è iniziato con il trapianto dei due polmoni eseguito dal professor Massimo Boffini coadiuvato dal dottor Paolo Lausi. Successivamente il professor Romagnoli (reduce da altri due trapianti di fegato effettuati poche ore prima), coadiuvato dal dottor Damiano Patrono e dal dottor Francesco Tandoi, ha eseguito il trapianto di fegato e di pancreas. L’intervento di trapianto, durato oltre 15 ore, è tecnicamente riuscito ed adesso il paziente è ricoverato nella Terapia Intensiva Cardiochirurgica per il decorso postoperatorio.

“La funzione degli organi trapiantati è ripresa regolarmente e non appena possibile il paziente verrà dimesso dalla rianimazione”, riferisce la nota della Città della Salute,  che evidenzia: “L’eccezionalità di quest’ultimo trapianto conferma l’importante vocazione trapiantologica della Città della Salute di Torino ed attesta il ruolo di leadership del Centro Trapianti di Organi Toracici e del Centro Trapianti di Fegato e Pancreas nel panorama nazionale ed internazionale”.


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Non è così vero che fumare poche sigarette al giorno non fa male. Causa comunque un danno a lungo termine ai polmoni.

Questo l’avvertimento che arriva da una ricerca del Columbia University Irving Medical Center, pubblicato su The Lancet Respiratory Medicine.

I ricercatori hanno esaminato in particolare la quantità di aria che si può inspirare ed espirare in fumatori, ex-fumatori e non fumatori. La funzione polmonare diminuisce naturalmente con l’età (a partire dai 20 anni) ed è noto che il fumo accelera questo processo.

Sono stati presi in esame i dati relativi a 25352 persone, tra i 18 e i 93 anni, e proprio grazie a questo campione abbastanza ampio gli studiosi hanno potuto osservare le differenze nella funzione polmonare tra chi fumava meno di cinque sigarette al giorno e chi si attestava a più di 30.

L’analisi ha rivelato che la funzione polmonare in chi fuma seppur poco diminuisce a un ritmo molto più vicino a quello dei fumatori pesanti piuttosto che dei non fumatori. Rispetto al tasso di declino di questa funzione in un non fumatore, impostato a zero, quello aggiuntivo per i fumatori cosiddetti leggeri è di 7,65 ml/anno, mentre arriva a 11,24 ml/anno per i fumatori pesanti.

Ciò significa che un fumatore leggero potrebbe perdere circa la stessa quantità di funzionalità polmonare in un anno di un fumatore pesante in nove mesi. «Fumare un paio di sigarette al giorno – evidenzia Elizabeth Oelsner, che ha guidato lo studio – è molto più rischioso di quanto si pensi. Tutti dovrebbero essere incoraggiati a smettere, indipendentemente dal numero di sigarette al giorno fumate».

Lo studio ha anche testato un’ipotesi, basata su uno studio di 40 anni fa, secondo cui il tasso di declino della capacità polmonare “si normalizza” entro pochi anni dalla cessazione del fumo, mostrando invece che sebbene la capacità polmonare diminuisca a un tasso molto più basso negli ex fumatori rispetto a chi attualmente fuma, tale tasso non si normalizza per almeno 30 anni.

ANSA


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Possedere un cane allunga la vita, specie per coloro che hanno sofferto un ictus o un infarto.

Tutti i residenti svedesi di 40-85 anni reduci da ictus o infarto nel periodo 2001-2012 (rispettivamente 155 mila e 182 mila) sono stati valutati e suddivisi in base al possesso o meno di un cane. I ricercatori hanno evidenziato che per i possessori di un ‘fido’ il rischio di morte per pazienti reduci da infarto che vivono soli è ridotto del 33%; il rischio è ridotto del 15% per coloro che oltre a possedere un cane hanno anche la fortuna di vivere con un partner o un bambino.

Inoltre per chi, reduce da un ictus, possiede un cane e vive solo il rischio di morte è del 27% inferiore; infine il rischio è del 12% inferiore per pazienti che hanno anche una famiglia. Un secondo lavoro, di Caroline Kramer dell’Università di Toronto, pubblicato in contemporanea e basato sull’analisi di dati di decine di studi già pubblicati per un totale di 3,8 milioni di individui, conferma l’effetto protettivo del cane: chi lo possiede ha un rischio di morte per ogni causa del 24% inferiore; del 65% in meno per la mortalità da infarto; del 31% in meno per la mortalità per altre cause cardiovascolari. L’effetto protettivo del cane potrebbe nascondersi nel fatto che chi lo possiede tende ad essere più attivo fisicamente e meno isolato socialmente, concludono gli autori dei due lavori.

ANSA


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Nel nuovo modello l’organizzazione del Pronto Soccorso è stata ridisegnata a partire dalla funzione di triage che non si limiterà a “mettere in fila” i pazienti per essere visitati dal medico dando priorità alle situazioni a maggiore gravità, ma orienterà da subito i pazienti verso i percorsi di cura interni

Ogni giorno in Toscana circa 4.100 cittadini si presentano ad un pronto soccorso (PS), per un totale di un milione e 500.000 accessi nello scorso anno, ovvero 4 accessi l’anno ogni 10 persone residenti. La necessità di ricercare nuove soluzioni per affrontare le problematiche delle attese e di assicurare maggiore attenzione alle persone con fragilità ha richiesto un ripensamento dell’organizzazione dei PS, a partire dalla funzione di triage che nel nuovo modello (DGR n.806 del 27 luglio 2017 e allegato) orienta i pazienti verso percorsi interni al PS differenziati in base alla complessità clinica ed assistenziale.

Tale modello, che ha anticipato i contenuti delle Linee di indirizzo nazionali sul Triage Intraospedaliero contenute nell’accordo Stato Regioni del 1° Agosto di questo anno, è già in fase avanzata di attuazione: sono più di venti i PS che stanno già adottando la nuova organizzazione, e nei restanti l’adozione del modello è prevista entro l’anno, in base ad un piano di implementazione regionale.

Il passaggio dai codici colore a quelli numerici è l’aspetto più evidente, ma in realtà le trasformazioni stanno coinvolgendo tutto il percorso dell’emergenza urgenza.

Nel nuovo modello l’organizzazione del PS è stata ridisegnata a partire dalla funzione di triage che non si limiterà a “mettere in fila” i pazienti per essere visitati dal medico dando priorità alle situazioni a maggiore gravità, ma orienterà da subito i pazienti verso i percorsi di cura interni al PS. Diversamente dal PS, organizzato per codice colore, nel nuovo modello il paziente viene accolto in base al suo bisogno clinico ed alla complessità assistenziale, grazie alla individuazione a partire dal triage del percorso più appropriato in base alle caratteristiche clinico-assistenziali del paziente ed al potenziale assorbimento di risorse.

All’interno di ogni PS vengono individuate tre linee di attività:
• linea di attività ad alta complessità
• linea di attività a complessità intermedia
• linea di attività a bassa complessità articolata in:
– codici minori (con medico)
– see & treat (a gestione infermieristica in base a protocolli specifici)
– fast track (invio diretto dal triage alla gestione specialistica)

L’assegnazione del codice è l’esito della decisione infermieristica formulata nell’ambito dell’attività di triage ed è basata sugli elementi rilevati nelle fasi di valutazione soggettiva ed oggettiva. Ciò determina la priorità dell’accesso alle cure da attribuire al paziente in relazione alle sue condizioni cliniche, al rischio evolutivo e all’assorbimento delle risorse.
L’STT adotta un sistema di codifica a 5 codici numerici, con codice da 1 a 5 e il tempo di attesa ha termine quando un medico o un infermiere effettuano le prime attività previste dal PDTA.

Per l’implementazione di tale sistema è stato previsto un corposo intervento formativo sviluppato dal Laboratorio Regionale per la Formazione Sanitaria (Formas) in collaborazione con la Regione Toscana e attualmente ha riguardato circa 1.000 infermieri operanti nei PS regionali e la redazione di un apposito manuale sull’STT. Tale manuale di formazione si rivolge non solo ai formatori e agli infermieri di triage, ma anche ai coordinatori, medici e alle direzioni che possono utilizzare questa guida pratica per sviluppare e condurre sia programmi formativi interni, sia programmi di miglioramento continuo della qualità.

L’STT individua nuovi standard informativi necessari all’applicazione del nuovo modello, assicurati grazie al piano regionale di adeguamento degli attuali software gestionali di pronto soccorso della Toscana, prevedendo tra le altre cose l’inserimento dei nuovi algoritmi di triage per sintomo guida/problema principale (decreto dir. n.938 del 24 gennaio 2019).

Infine è stato costituito un apposito coordinamento regionale (Coordinamento Triage Toscana – CoTT) per analisi e valutazione dell’andamento delle performance della funzione di triage, individuazione delle aree di miglioramento; progettazione delle azioni per lo sviluppo ed il miglioramento del triage costituito dal team formatori e 1 medico per ciascun azienda regionale (delibera GR n.671 del 18 giugno 2018).

Laura Ammannati
Laboratorio Regionale per la Formazione Sanitaria – FORMAS

Maria Teresa Mechi
Responsabile Settore Qualità dei Servizi e Reti Cliniche Regione Toscana

Luca Puccetti
Funzionario Regione Toscana, PO Rete emergenza e urgenza ospedaliera e reti cliniche regionali

Marco Ruggeri
Infermiere Trauma center AOU Careggi, Coordinatore CoTT


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Nessuno può dire se siano le passeggiate o l’amore incondizionato, ma c’è qualcosa nell’avere un cane che va a braccetto con una migliore salute del cuore

Medina-Inojosa e colleghi – ricercatori della Mayo Clinic di Rochester, negli USA – , hanno analizzato i dati relativi a soggetti di entrambi i sessi nella città di Brno partecipanti a uno studio più ampio a lungo termine. Oggetto dello studio era come possedere un cane possa contribuire ad una migliore salute del cuore. Nessuno aveva una cardiopatia al momento del reclutamento nel 2013-2014, quando l’età oscillava da 25 a 64 anni.

Del circa 42% dei partecipanti con un animale, più della metà possedevano un cane. Dopo aver considerato età, sesso e livello di istruzione, il team ha rilevato che il possesso di un cane era associato a un punteggio relativo alla salute cardiovascolare totale più elevato rispetto alle persone con altri tipi di animali o senza animali.

Eccetto per il fumo, osservano i ricercatori, i proprietari di cani presentavano maggiori probabilità di tenere comportamenti salutari per il cuore, tra cui esercizio fisico e un’alimentazione sana, e di avere livelli glicemici ideali. Inoltre, tendevano ad avere livelli più elevati di colesterolo HDL buono e una minore prevalenza di diabete.

Anche i proprietari di altri animali, come gatti o cavalli, presentavano punteggi relativi alla salute cardiovascolare più elevati rispetto a chi non ne possedeva alcuno, ma questa differenza è scomparsa dopo l’aggiustamento per età, sesso e livelli di istruzione.

“Possedere un animale dà un senso generale di benessere – dice Medina Inojosa – Si inizia a prendere decisioni migliori sulla propria alimentazione, magari a fumare di meno o a camminare un po’ di più, ad alzarsi dal letto e tutto ciò fa funzionare la dieta e i valori tendono a scendere”.

Fonte: Mayo Clinic Proceedings


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Il pollo non va lavato prima della cottura, per evitare che eventuali batteri presenti si diffondano in cucina.

Lo afferma un rapporto realizzato dal Department of Agriculture statunitense e dalla North Carolina State University, da cui sono emersi anche cinque ‘trucchi’ per minimizzare i rischi. La carne di pollo, ricordano gli esperti nel rapporto, è spesso contaminata da batteri pericolosi come la Salmonella o il Campylobacter.

Per verificare l’eventuale utilità del lavaggio sono state arruolate 300 persone che dovevano preparare un pasto a base di pollo e insalata, divise in due gruppi. Il primo ha ricevuto istruzioni su come cucinare in sicurezza il pollo, inclusa quella di non lavarlo, mentre l’altro non ha avuto indicazioni. Il 93% di quelli che avevano ricevuto le istruzioni non hanno lavato la carne, che era stata trattata con una forma non pericolosa di escherichia coli, mentre il 61% degli altri lo ha fatto. Nel 26% dei casi del secondo gruppo il batterio è stato trovato nell’insalata, oltre che nel lavandino e negli utensili da cucina.

“Anche quando i consumatori pensano di aver pulito efficacemente dopo aver lavato il pollo – commenta Mindy Brashears, uno degli autori -, lo studio mostra che i batteri si possono diffondere facilmente alle altre superfici e al cibo”. Dallo studio sono emersi cinque suggerimenti per evitare contaminazioni durante la preparazione del pollo: preparare la carne per ultima, dopo verdure e frutta; usare un tagliere a parte per la carne; non lavare il pollo; lavarsi le mani per almeno 20 secondi dopo aver maneggiato la carne; usare un termometro per essere sicuri che la carne raggiunga almeno i 73 gradi durante la cottura .

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