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In estate tutti hanno un desiderio di bere istintivo. Per i bimbi, però, non è proprio così. La “soglia” di sensibilità è più alta e tardiva: quando avvertono lo stimolo della sete si è già innescata una fase iniziale di disidratazione. Per questo è importante proporre ai piccoli di bere più volte nella giornata.

Questo uno dei consigli per l’estate della Società italiana di pediatria preventiva e sociale (Sipps). “Bisogna farlo a maggior ragione se si pratica attività all’aperto, ludiche o motorie che possono distogliere l’attenzione – spiega Giuseppe Di Mauro, presidente Sipps – il fabbisogno idrico giornaliero va da 1,4 litri a 4-6 anni a 1,8 litri a 7-10, salendo a 2 litri nella prima adolescenza e aumenta in proporzione alle perdite dovute all’esercizio, alle condizioni ambientali e all’eventuale presenza di disturbi, per esempio vomito, diarrea e malattie febbrili”.

“La strategia migliore – prosegue Di Mauro – è l’acqua, fresca e non ghiacciata. E’ bene privilegiare frutta e verdura, sia da sole che con altri ingredienti (passato, minestrone, insalata di pasta o riso, macedonia) sia utilizzandole per succhi, frappè o frullati.

Le preparazioni domestiche se da un lato consentono un controllo dei componenti, ad esempio lo zucchero, dall’altro impongono il rispetto di norme igieniche e modalità di conservazione. I prodotti industriali offrono pronta disponibilità e sicurezza delle materie prime, ma è utile leggere l’etichetta:100 ml di succo di frutta possono apportare da 45 a 60 calorie, per cui è preferibile ricorrere ai brick monodose piuttosto che alle confezioni formato famiglia, di cui è più facile assumere quantitativi elevati”. “Questa considerazione – aggiunge Piercarlo Salari, responsabile del Gruppo di lavoro per il sostegno alla genitorialità Sipps – vale soprattutto per bevande dolci e gassate, il cui consumo dovrebbe essere evitato o limitato”. Negli adolescenti attenzione a bibite energizzanti e alcolici. Si dovrebbe spiegare che gli alcolici “sono insidiosi e altamente dannosi, per l’impatto sia sul comportamento sia, come tossicità, sull’organismo”.


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I sessantenni sono avvisati: avere un alto indice di massa corporea può essere collegato, anni dopo, a maggiori segni di invecchiamento cerebrale. Insieme alla circonferenza della vita più grande del normale, infatti, questa condizione può accelerare la degenerazione di almeno un decennio.

E’ quanto emerge da uno studio pubblicato dall’Università di Miami su Neurology, la rivista dell’Accademia americana di neurologia. La ricerca ha coinvolto per 6 anni 1.289 persone con un’età media di 64 anni.

Chi aveva un indice di massa corporea più elevato aveva anche una corteccia cerebrale più sottile, anche dopo che i ricercatori hanno posto sotto i riflettori tutti quei fattori che potrebbero influenzare lo sviluppo della corteccia, come l’ipertensione, l’uso di alcol e il fumo.

Nelle persone in sovrappeso, ogni aumento di unità di indice di massa corporea è stato associato a una corteccia più sottile di 0,098 millimetri. Situazione peggiore, invece, per le persone obese: la corteccia era diventata più sottile di 0,207 mm.

Gli studiosi hanno anche notato come la corteccia più sottile è stata legata anche ad un aumentato rischio di malattia di Alzheimer. 


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Saltare la colazione aumenta il rischio di obesità nei ragazzi.

Questa abitudine è diffusa tra gli adolescenti tanto che, ad esempio, in Italia, secondo l’indagine “Adolescenti e Stili di Vita” presentata alcuni mesi fa, il 34% dei maschi e il 43% delle femmine rinuncia al primo pasto della giornata. Ma si correla direttamente con un aumento della circonferenza della vita e dell’indice di massa  corporea (Bmi). Può portare a una dieta squilibrata e ad altri comportamenti poco sani.

A evidenziarlo è una ricerca guidata da alcuni studiosi affiliati all’University of São Paulo’s Medical School, pubblicata su Scientific Reports. “Saltando la colazione, milioni di bambini e adolescenti in tutto il mondo probabilmente sostituiscono un pasto fatto in casa più salutare, con latte, cereali integrali e frutta, con cibo comprato magari lungo la strada per la scuola – evidenzia Elsie Costa de Oliveira Forkert, autrice principale della ricerca – questo di solito significa consumare alimenti con molte calorie, industrializzati e a basso valore nutrizionale, come pasticcini o bevande zuccherate, che sono direttamente associati allo sviluppo dell’obesità”.

Per la ricerca sono stati analizzati dati europei su 3528 adolescenti e brasiliani su 991 ragazzi. E’ emerso che gli adolescenti maschi erano in media più alti e più pesanti e avevano circonferenze della vita più grandi rispetto alle femmine. “Per i ragazzi che hanno saltato la colazione – aggiunge ad esempio Forkert – la circonferenza media della vita era 2,61 centimetri maggiore in Europa e 2,13 in Brasile”. Nelle ragazze saltare la colazione era correlato con un’obesità complessiva e a livello addominale anche quando il tempo dedicato sonno era adeguato. In Brasile, poi, le ragazze risultavano più sedentarie dei ragazzi, mentre in Europa le abitudini sedentarie prevalevano meno tra le femmine che tra i maschi, ma le prime erano meno attive fisicamente.


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Questo è quanto dimostrato dallo studio appena pubblicato su Andrology, condotto da un gruppo di ricercatori italiani. Sono stati coinvolti 10124 ragazzi intervistati e di questi 3816 anche visitati, gli autori dello studio forniscono una stima della prevalenza dei comportamenti a rischio e dei disturbi andrologici, soprattutto dimostrando che i comportamenti a rischio durante l’adolescenza incidano negativamente sullo sviluppo dei testicoli riducendone il volume.

Gli adolescenti maschi che fumano e bevono ed hanno comportamenti a rischio danneggiano la propria salute sessuale e riproduttiva proprio in una fase della vita molto delicata, in cui si sviluppa l’apparato riproduttivo e cresce il volume dei testicoli. Questo è quanto dimostrato dallo studio appena pubblicato su Andrology, la più importante rivista scientifica internazionale in tema di andrologia e fertilità maschile da un gruppo di ricercatori italiani.

“Con questo studio abbiamo confermato che ancor prima della diagnosi precoce è fondamentale informare e sensibilizzare i giovani sull’importanza della prevenzione! Uno stile di vita sano protegge non solo la loro salute, ma anche la sessualità e la fertilità” è quanto afferma Andrea Lenzi, Endocrinologo e Coordinatore dell’intero Progetto di Prevenzione Andrologica – Amico Andrologo che presenta anche un intero sito web dedicato alla educazione e all’informazione dei giovani maschi.

Lo studio ha come primo firmatario della pubblicazione Daniele Gianfrilli, un giovane ricercatore della Scuola di Endocrinologia della Sapienza di Roma. Si tratta di una delle più ampie ricerche mai condotti sulla salute andrologica negli studenti dell’ultimo anno delle scuole superiori tra i 18 e 19 anni.

Sono stati coinvolti 10124 ragazzi intervistati e di questi 3816 anche visitati, gli autori dello studio forniscono una stima della prevalenza dei comportamenti a rischio e dei disturbi andrologici, soprattutto dimostrando che i comportamenti a rischio durante l’adolescenza, come soprattutto l’abuso di alcool ed il binge drinking tipico di quest’età, incidano negativamente sullo sviluppo dei testicoli riducendone il volume, che rappresenta un indice di salute riproduttiva compromessa.

Questa ricerca, finanziata dal Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ccm) del Ministero della salute italiano nell’ambito del progetto “Prevenzione in andrologia – Campagna Amico Andrologo” e che ha visto la collaborazione di diverse Università Italiane guidate dalla Sapienza Università di Roma e della Società Italiana di Andrologia e Medicina della Sessualità (Siams), ha mostrato come l’alcol possa essere uno dei fattori con il maggiore effetto negativo, comportando una riduzione superiore a 4 o 5 mL sul volume testicolare bilaterale (cioè equivalente ad una riduzione di circa un quinto del totale), osservata rispettivamente in chi ha un consumo moderato (in media 2 unità alcoliche al giorno durante i fine settimana) o elevato (in media 3 o più unità alcoliche per giorno durante i fine settimana) a differenza di chi beve occasionalmente (in media meno di 2 unità alcoliche al giorno durante i fine settimana). Una unità alcolica corrisponde ad una lattina/bottiglia di birra (330 ml), un bicchiere di vino (125 ml), una lattina/bottiglia di pop drink, 1 cocktail/spritz o un bicchierino di superalcolico (40 ml).

“I risultati di questo lavoro – prosegue Lenzi – possono non solo aumentare la consapevolezza della vulnerabilità dello sviluppo testicolare durante l’adolescenza, ma anche fornire un messaggio socialmente rilevante per promuovere la riduzione dei comportamenti a rischio a partire da giovanissimi”.


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Scegliere scarpe traspiranti e un vestiario leggero e colorato in tessuti come il cotone, a cui aggiungere cappello e occhiali da sole e una crema solare resistente all’acqua con almeno 15 di fattore protettivo da applicare nuovamente ogni due ore. Evitare bevande alcoliche o con caffeina e continuare ad assumere tutti i farmaci come prescritto.

Queste alcune precauzioni per il caldo raccomandate a tutti dall’American Heart Association. Tra i suggerimenti anche rimanere idratati e fare pause regolari quando si è in giro, trovando un po’ d’ombra o un luogo fresco e fermandosi per qualche minuto. Per chi soffre di cuore è importante ricordare che le disidratazione fa sì che il cuore lavori di più, mettendolo a rischio, mentre mantenersi idratati lo aiuta a pompare più facilmente il sangue attraverso i vasi sanguigni verso i muscoli, facendoli lavorare in modo più efficiente.

Secondo Robert A. Harrington, presidente dell’American Heart Association, sebbene “alcuni farmaci cardiaci come Ace inibitori, sartani, i beta bloccanti, i calcio antagonisti e i diuretici, che riducono il sodio nel corpo, possano esacerbare la risposta del corpo al calore” non va interrotta la terapia.

È importante poi in generale conoscere i sintomi di un principio di insolazione: mal di testa, sudorazione intensa, pelle fredda e umida, brividi, capogiri o svenimento, crampi muscolari, respirazione veloce e superficiale, nausea, vomito o entrambi. Se si verificano questi sintomi, bisogna spostarsi in un luogo più fresco, interrompere eventualmente l’attività fisica e rinfrescarsi con acqua fredda e reidratandosi.

I sintomi di un colpo di calore vero e proprio sono invece pelle calda e asciutta senza sudorazione, confusione o incoscienza, febbre alta, mal di testa lancinante, nausea, vomito o entrambi.

ANSA


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Il chiodo arrugginito è l’emblema del rischio di tetano, ma non è l’unico pericolo da cui, chi non è stato vaccinato o non ha fatto il richiamo, dovrebbe guardarsi. Per contrarlo basta anche il morso di un cane, la puntura di una spina, l’escoriazione dovuta a una caduta.

A sfatare i miti che accompagnano la pericolosa malattia è una scheda pubblicata su ‘Dottore, ma è vero che…’, la rubrica online della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici (Fnomceo).

Il batterio prolifera, senza provocare alcun danno, nell’intestino degli esseri umani e di animali da dove si libera nell’ambiente con le feci. I contesti rurali, dove la contaminazione del terreno con sterco è più facile, sono quindi a maggior rischio, così come le strade, giardini e parchi di città. All’aria aperta il batterio non muore, ma assume la forma di una spora molto resistente che può sopravvivere per mesi o anni. Solo tornando in un ambiente privo di ossigeno, ad esempio attraverso una ferita provocata da un oggetto tagliente, comincia a produrre la tossina responsabile della malattia.

La ruggine, quindi, “non è responsabile, ma solo un indicatore del fatto che l’oggetto è rimasto all’aperto a lungo e può quindi aver avuto maggiori probabilità di venire contaminato”, precisano gli esperti. Ma lo stesso può valere per lamiere, fili spinati, attrezzi da lavoro, spine. Altra falsa credenza è che per evitare l’infezione basti disinfettare bene la ferita con acqua ossigenata. “Soprattutto nel caso di lesioni profonde, è difficile essere sicuri di aver raggiunto ogni possibile anfratto in cui il batterio può essersi annidato”.

Falsa è, ancora, l’idea che esista una immunità naturale, l’unica è quella conferita da vaccino.


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Anche se può rivelarsi cosa ardua, l’igiene orale è fondamentale già nei primi anni di vita, persino prima della comparsa dei primi dentini. Mentre non è mai troppo presto per una prima visita dal dentista: è consigliabile farla già a partire da un anno.

Questi i consigli degli esperti, nell’ultimo numero di ‘A scuola di salute’, il magazine digitale realizzato dall’Istituto Bambino Gesù per la Salute del Bambino e dell’Adolescente, diretto da Alberto Ugazio.

In media la comparsa dei primi denti da latte avviene tra il sesto e l’ottavo mese di età, ma si può verificare un’eruzione prematura oppure essere caratterizzata da denti ‘in doppia fila’. Bisognerebbe iniziare a pulire le gengive dei neonati, già prima della loro comparsa, avvolgendo il dito con una garza bagnata. Mentre, dai due anni in su bisogna spazzolare tre volte al giorno per rimuovere la placca batterica, per almeno due-tre minuti, senza dimenticare la lingua, utilizzare il filo interdentale e un dentifricio al fluoro.

Non c’è bisogno, precisano gli esperti, di attendere la comparsa di un problema per decidere di portare il bimbo dal dentista. «La figura dello specialista è spesso associata alla paura di avvertire dolore. Proprio per questo la prima visita odontoiatrica andrebbe effettuata già all’età di 1 anno, in un momento senza emergenze in corso. Durante la visita il bambino prenderà confidenza con l’ambiente e il personale odontoiatrico» e «si potrà stabilire un’alleanza con i genitori, che riceveranno le prime indicazioni sulle misure di igiene orale e le corrette abitudini alimentari».

Molto frequente tra i bimbi è il verificarsi di trauma dentale: in caso di frammento, un dente staccato in tutto o in parte, evitare di pulirlo e conservarlo nella saliva, nel latte a lunga conservazione o in soluzione fisiologica, quindi eseguire il prima possibile una visita. A partire dai 3 anni si possono presentare i primi segni di malocclusioni dentali, ovvero un’alterazione dei rapporti tra le ossa del viso, che può compromettere masticazione, deglutizione e respirazione. Per l’impiego dell’apparecchio, fino a poco tempo fa si attendevano i 12-13 anni, adesso, invece, si può impiegare anche più precocemente, in modo da evitare maggiori problemi in futuro.

ANSA


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Non solo poche ore di sonno, ma anche variare ripetutamente l’ora in cui si va a dormire favorisce l’insorgenza della sindrome metabolica. E il rischio aumenta proporzionalmente al ritardo del momento di coricarsi: se questo ritardo è compreso tra i 60 e i 90 minuti, il rischio di sindrome metabolica sale del 27%

La mancanza di sonno è da tempo correlata a un’ampia gamma di cosiddette anomalie metaboliche, tra cui obesità, ipertensione, ipercolesterolemia e diabete. Tuttavia, la maggior parte delle ricerche si è concentrata sull’effetto del numero medio di ore di sonno delle persone e non sulle variazioni orarie della routine del sonno.

Lo studio

Tianyi Huang e colleghi, del Brigham and Women’s Hospital e della Harvard Medical School di Boston, hanno invitato 2.003 pazienti ad analizzare a casa il proprio sonno usando dispositivi noti come attigrafi, che valutano i movimenti durante la notte e i cicli sonno-veglia. In media, queste persone dormivano 7,15 ore a notte e andavano a letto attorno alle 23:40. Quasi i due terzi presentavano più di un’ora di variazione nella durata del sonno e il 45% più di un’ora di variazione nell’orario di coricamento.

707 partecipanti, il 35%, manifestavano la cosiddetta sindrome metabolica, con aumento del rischio di cardiopatia, ipertensione, iperglicemia, eccesso di grasso attorno al girovita e livelli anormali di colesterolo o trigliceridi. Rispetto alle persone che presentavano meno di un’ora di variazione nella durata del sonno, quelle la cui durata del sonno variava da 60 a 90 minuti avevano il 27% in più delle probabilità di avere la sindrome metabolica.

L’aumento del rischio saliva al 41% nelle persone con una variazione da 90 a 120 minuti nella durata del sonno e raggiungeva il 57% nei soggetti con più di due ore di variazione. Rispetto alle persone con non più di mezz’ora di variazione nell’orario di coricamento notturno, quelle il cui orario variava tra 30 a 60 minuti presentavano un rischio analogo di sindrome metabolica. Tuttavia, il rischio era del 14% più elevato quando gli orari variavano dai 60 ai 90 minuti e il 58% più elevato quando variavano di oltre 90 minuti.

“Il motivo per cui una maggiore variabilità ha un effetto negativo sulla salute metabolica potrebbe avere a che fare con i nostri orologi biologici”, osserva Kristin Knutson, ricercatrice presso la Northwestern University Feinberg School of Medicine di Chicago, non coinvolta nello studio.“Abbiamo ritmi interni di 24 ore di molti processi che influiscono sul metabolismo e per una funzionalità ottimale questi ritmi dovrebbero essere sincronizzati tra loro e con l’ambiente. Se dormiamo a orari differenti e non per lo stesso numero di ore, i nostri orologi biologici possono avere difficoltà a stare sincronizzati, il che potrebbe comprometterne la funzionalità”.

Fonte: Diabetes Care


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Nella delicata fase di transizione alla menopausa, le donne potrebbero giovarsi dell’aiuto dei loro partner per affrontare i sintomi e condividere questa esperienza con loro senza soffrire in silenzio. È quanto emerge da una inchiesta USA che ha valutato il livello di conoscenza, da parte degli uomini, dei sintomi e dell’impatto della menopausa sulla salute delle donne

Se gli uomini conoscessero più a fondo i sintomi e le opzioni terapeutiche per la sindrome pre-menopausale delle proprie compagne, potrebbero offrire loro un importante supporto psicologico.

“A volte le donne soffrono in silenzio questa fase delicata della vita”, dice Sharon Parish del New York-Presbyterian Hospital di White Plains, New York, che ha condotto uno studio al riguardo.”È importante che le coppie siano allineate sul piano delle informazioni e condividano le decisioni sulle opzioni di trattamento”.

Lo studio

Parish e colleghi hanno invitato oltre 450 uomini a compilare un questionario di 35 domande per valutare la conoscenza dei sintomi menopausali e il livello di comprensione della menopausa e dei relativi trattamenti. L’indagine ha incluso anche domande sull’impatto dei sintomi della partner sull’uomo e sull’influenza che gli uomini avevano sulla gestione dei sintomi menopausali delle loro compagne. La maggior parte degli uomini che ha preso parte alla ricerca aveva tra i 50 e i 69 anni, era sposata, viveva con la propria partner nella stessa casa da più di 10 anni.

Circa la metà era consapevole dei sintomi che la loro partner manifestava regolarmente, soprattutto difficoltà a dormire e mancanza di energia. Spesso gli uomini hanno anche individuato sintomi come una scarsa libido, sbalzi d’umore, vampate di calore, irritabilità, depressione, aumento di peso e sudorazione notturna. Quando è stato loro chiesto come avrebbero descritto la menopausa ad altri uomini, il focus più comune era su stati d’animo definiti “irrazionali” o “emotivi”. Circa un uomo su sei si è concentrato sui cambiamenti ormonali, l’assenza di cicli mestruali, l’incapacità di avere bambini e il cambiamento nel desiderio sessuale.

Quasi due terzi dei partecipanti hanno dichiarato di essere stati influenzati dai sintomi menopausali della partner. La maggior parte di essi ha affermato che l’impatto è stato negativo per loro, le loro partner e la loro relazione a causa di discussioni, tensioni e ridotta intimità. Allo stesso tempo, la maggioranza degli uomini pensava che le partner stessero affrontando piuttosto bene i sintomi.

Oltre il 70% degli uomini ha segnalato di aver avuto conversazioni con la partner sui sintomi menopausali e l’84% ha riferito che la partner gli ha parlato direttamente dell’entrata in menopausa. Quasi tre quarti dei soggetti ritenevano di aver esercitato un po’ o molta influenza nella decisione della partner di cercare trattamenti o modificare lo stile di vita.

Due terzi dei partecipanti al sondaggio hanno detto di essersi sentiti a proprio agio nel parlare con le partner delle opzioni di trattamento e quattro su 10 hanno suggerito opzioni alle loro partner.

Molti hanno notato che le donne erano passate a una dieta più sana, avevano cominciato a fare esercizio fisico o avevano iniziato una terapia ormonale.

“L’idea che si tratta di qualcosa che le donne devono patire senza alcuna cura è un concetto obsoleto”, conclude Parish. “Le donne non devono vergognarsi o nascondersi e tutti dovrebbero comprendere più a fondo e discutere di questi argomenti apertamente”.

Fonte: Menopause 2019


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Mantenere costante l’orario della giornata in cui ci si allena, indipendentemente dal fatto che si tratti di mattina, pomeriggio o sera. È questo uno dei segreti per mantenere la perdita di peso secondo uno studio della Brown Alpert Medical School.

Lo studio è stato condotto su 375 adulti, che hanno mantenuto con successo la perdita di peso e che si impegnavano in attività fisica a livello moderato-intenso: la maggior parte ha riferito costanza nel momento della giornata dedicato all’esercizio fisico, con la mattina presto che risultava il momento più comunemente destinato a questo impegno.

Lo studio ha anche evidenziato che essere coerenti e costanti nei tempi dell’attività fisica era associato anche a livelli di allenamento più elevati. “I nostri risultati – spiega Dale Bond, autore senior dello studio – giustificano la ricerca sperimentale futura per determinare se promuovere la costanza nel momento della giornata in cui l’attività fisica pianificata e strutturata viene eseguita possa aiutare le persone a raggiungere e sostenere livelli più alti di allenamento. Sarà anche importante stabilire se c’è un momento della giornata specifico che è più vantaggioso per le persone che hanno iniziali bassi livelli di attività fisica perché sviluppino un’abitudine ad allenarsi”.


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