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Una manciata di noci (28 grammi circa) due volte a settimana può ridurre il rischio di malattie cardiache di circa un quarto. Via libera, oltre che al tipo pecan, pure a mandorle, nocciole, anacardi, pistacchi e persino arachidi.

È quanto emerge da una ricerca guidata da Marta Guasch-Ferre, nutrizionista della Harvard University, pubblicata sul Journal of the American College of Cardiology.

Prendendo in esame i dati di tre studi che hanno coinvolto oltre 200mila persone dal 1980 al 2012, i ricercatori hanno evidenziato che chi consumava frutta a guscio due o più volte alla settimana aveva il 23% meno di probabilità di sviluppare malattie cardiache coronariche e il 15% meno di probabilità di andare invece incontro a patologie cardiovascolari. Benefici si avevano anche con le arachidi (che tecnicamente sono un legume), che riducevano il rischio di malattie coronariche del 15% e di quelle cardiovascolari del 13%.

Più di 210.000 infermieri e professionisti della salute negli Usa sono stati seguiti per un periodo complessivo di 32 anni e hanno fornito informazioni sullo stile di vita e le malattie attraverso questionari somministrati ogni due anni.

I ricercatori hanno identificato 14.136 casi di patologie cardiovascolari, 8.390 di malattie cardiache coronariche e 5910 di ictus, alcuni dei quali fatali.

Dall’analisi dei dati è emerso che la frutta a guscio, come le noci, può avere un effetto protettivo per il cuore.

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Allattare al seno per almeno due mesi può proteggere i piccoli dalla sindrome della morte improvvisa in culla o SIDS (Sudden Infant Death Syndrome), che nei paesi sviluppati è la causa principale di morte nel primo anno di vita. Il rischio si riduce della metà e il beneficio si ottiene anche se l’allattamento al seno non è esclusivo.

È quanto emerge da una ricerca della University of Virginia School of Medicine, pubblicata su Pediatrics. Per arrivare a questa conclusione sono stati analizzati otto studi internazionali, che hanno preso in esame 2259 casi di Sids e 6894 neonati inseriti in gruppi cosiddetti di controllo,  in cui non si è verificata la morte in culla. Sulla base dei risultati, i ricercatori chiedono «continui sforzi concertati» per aumentare i tassi di allattamento al seno in tutto il mondo.

«È fantastico per le madri sapere che l’allattamento al seno per almeno due mesi fornisce un tale effetto protettivo contro la Sids- spiega Rachel Moon, una delle autrici dello studio- sosteniamo fortemente gli sforzi per promuovere l’allattamento al seno».

Rimane ancora non chiaro perché allattare protegga contro la sindrome della morte improvvisa in culla, anche se i ricercatori citano fattori quali i benefici per il sistema immunitario e gli effetti sul sonno dei bambini come meccanismi possibili.

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Il diabete provoca ogni anno quasi lo stesso numero di decessi causati dal cancro, 130 mila contro 160 mila morti, ma la patologia continua ad essere tuttora sottostimata.

In Italia circa 10 milioni di persone sono ad alto rischio di sviluppare diabete, di cui circa un quarto avrà la malattia nei prossimi 10 anni se non si farà nulla per evitarlo.

La Fondazione Diabete Ricerca Onlus e la Società Italiana di Diabetologia scendono in campo per informare con la campagna “Sfidiamo il diabete” nell’ambito della Giornata mondiale 2017.

Il diabete mellito è sempre più diffuso in Italia, ne soffrono circa 4 milioni di persone, con un impegno sempre più  gravoso per il Servizio Sanitario Nazionale. Ogni 10 minuti una persona con diabete viene colpita da infarto o ictus, oppure sviluppa un problema serio alla vista, spiegano gli esperti. Ogni 52 minuti una persona con questa patologia subisce un’amputazione, ogni 4 ore un paziente deve iniziare la dialisi e ogni 5 minuti una persona muore a causa del diabete stesso o se ne soffre come concausa importante.

«Le persone con diabete devono essere assistite con un approccio multi-professionale e multi-dimensionale in atto da tempo – indicano – quest’anno ricorre il trentennale della legge 115 che ha di fatto formalizzato la cura presso quella rete di centri diabetologici che costituisce una peculiarità italiana per la sua diffusione capillare».

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Nel 2016 per la prima volta il numero di morti per morbillo nel mondo è sceso sotto i 100mila.

Lo afferma un rapporto dell’Oms, secondo cui però l’obiettivo di eliminazione del virus è ancora lontano, con quasi 21 milioni di bambini che non vengono vaccinati. La stima degli esperti è che ci siano stati 90mila morti lo scorso anno, un calo dell’84% rispetto ai 550mila del 2000.

«Poter salvare una media di 1,3 milioni di vite all’anno grazie al vaccino è un progresso incredibile» afferma Robert Linkins, della Measles and Rubella Initiative (MR&I) «e ci fa pensare che un mondo libero dal virus sia possibile, forse anche probabile, nel prossimo futuro».

In totale nel 2016 sono stati notificati oltre 130mila casi, concentrati nel settore del Pacifico occidentale e in Africa. In Europa ne sono riportati circa 4200, mentre l’America, che ha lo status di “morbillo free” ha notificato solo 12 casi. Metà dei bambini non vaccinati, sottolinea il rapporto, vive in sei paesi: Nigeria, India, Pakistan, Indonesia, Etiopia e Repubblica Democratica del Congo.

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Dolce, salato, amaro, aspro, grasso e umami, il sapore del glutammato. Sono questi i sei gusti principali, a cui si aggiunge un settimo identificato da una ricerca australiana: i carboidrati.

Secondo gli studiosi le persone sensibili al gusto di pasta, pane e patate, che amano questi alimenti, ne consumano di più e questo aumenta il girovita.

Per la ricerca, pubblicata sul Journal of Nutrition, sono state prese in esame 34 persone, trovando correlazioni significative tra quanto alcune di loro fossero sensibili ai carboidrati (in particolare maltodestrina e oligofruttosio), il consumo, la quantità di energia assunta e il girovita. «Coloro che erano più sensibili al gusto del carboidrato mangiavano una quantità maggiore di alimenti che ne contenevano e avevano un girovita più ampio» spiega Julia Low, una delle autrici dello studio.

I ricercatori evidenziano che i carboidrati per tanto tempo sono stati considerati invisibili al gusto. «È in genere lo zucchero, con il suo gusto dolce che provoca piacere, il carboidrato più ricercato» aggiunge il professor Russell Keast, autore principale della ricerca. «Ma il nostro studio – conclude – ha dimostrato che esiste una qualità del gusto percepibile da altri carboidrati indipendenti dal gusto dolce».

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Donne sottopeso o che pesavano troppo poco da adolescenti o quando erano 30enni sono a maggior rischio (dal 30% fino al 59% in più di rischio) di andare incontro a menopausa precoce (prima dei 45 anni) rispetto a coetanee di peso normale o anche magre.

Lo rivela un ampio studio su quasi 80 mila donne condotto presso la University of Massachusetts, USA, e pubblicato sulla rivista Human Reproduction.

La menopausa precoce è un evento che riguarda in media circa una donna su 10: si accompagna a una serie di problemi di salute come maggior rischio cardiovascolare, osteoporosi, rischio di morte prematura e declino cognitivo, spiega Kathleen Szegda che ha condotto lo studio.

Nel lavoro le donne sono state tenute sotto osservazione dall’età di 25 anni e dati relativi alla loro vita adolescenziale sono stati raccolti per ciascuna. È emerso che donne che sono state sottopeso in un qualunque momento della loro vita hanno in media un rischio di menopausa precoce del 30% maggiore rispetto a donne di peso normale. Donne sovrappeso, invece, hanno un rischio minore (del 21-30% in meno) di andare incontro a menopausa precoce rispetto a donne normopeso. In particolare donne che erano sottopeso a 18 anni hanno un rischio del 50% in più; donne che sono state sottopeso a 35 anni un rischio del 59% maggiore.

Dato il vasto campione di donne esaminato lo studio è una buona evidenza del fatto che una condizione prolungata o temporanea di peso sotto la norma può esercitare un’influenza sull’età della menopausa.

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Il freddo è arrivato e tra pochi giorni, con il consueto passaggio all’ora solare, si perderà un’ora di luce al dì, ed è così che il cambio di stagione può influenzare anche pesantemente la nostra salute mentale e fisica, facendo strada al rischio di disturbi stagionali dell’umore, pigrizia, sonnolenza, aumento dell’appetito e chili di troppo.

E’ quanto spiegato sul magazine Psychology Today da Joel Young, dirigente medico del Rochester Center for Behavioral Medicine.

Fortunatamente, anche per coloro che proprio non sopportano le stagioni fredde, ci sono rimedi per superare indenni autunno e inverno, spiega Young. In primis è importante essere consapevoli di cosa innescano le stagioni fredde: la riduzione della luce naturale ha effetti sul nostro equilibrio psicofisico, infatti l’organismo ha bisogno di luce per produrre vitamina D (la cui carenza, guarda caso, è associata a disturbi depressivi). Si stima che il 5% della popolazione soffra di disturbi stagionali dell’umore, quasi sempre disturbi depressivi autunnali e invernali. Inoltre un’ora in meno di luce, insieme a cielo grigio e freddo, può cambiare i ritmi naturali del nostro corpo, sconvolgendo orari di sonno e veglia e il controllo dell’appetito.

E non è solo il clima a buttare giù delicati equilibri psicofisici: fonte di stress sono pubblicità e trasmissioni natalizie (che iniziano sempre prima) che dipingono una realtà tutta infiocchettata di famiglie felici; ma la realtà è molto più cruda per molti, con dispute familiari infinite, scarsa voglia di unirsi ai parenti per i pranzi domenicali e festività.

Cosa fare allora contro questo ciclone di negatività? In primis sfruttare il più possibile la luce naturale, organizzarsi per una pausa pranzo all’aperto, e, se necessario, fare sedute di luce-terapia. Poi regalarsi almeno 30 minuti al dì di attività fisica per almeno 5 giorni a settimana e mangiare sano, prediligendo cibi ricchi di energetiche vitamine B (pesce, uova, legumi, avena, noci, banane etc).

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Dopo un infarto il 60% dei pazienti rifiuta la riabilitazione per il cuore, ma dal Tai Chi può arrivare un aiuto. I movimenti lenti e gentili di questa disciplina la rendono promettente come alternativa di esercizio.

E’ quanto emerge da una ricerca guidata dalla Warren Alpert School of Medicine della Brown University, pubblicata sul Journal of the American Heart Association.

Gli studiosi hanno preso in esame 29 persone con problemi cardiaci non attive fisicamente (otto donne e ventuno uomini, di un’età media di 67 anni). Sebbene la maggioranza avesse sperimentato un infarto o una procedura di sblocco di un’arteria bloccata avevano tutti rifiutato la riabilitazione cardiaca e continuavano ad avere molti comportamenti a rischio, come fumo o colesterolo alto.

Sono stati sperimentati due programmi di Tai Chi, uno più corto e uno dalla durata più lunga.

Dai risultati è emerso che questa disciplina era sicura e senza effetti collaterali particolari, risultava gradita ai partecipanti (il 100 per cento l’avrebbe raccomandata a un amico) e in coloro che avevano seguito il programma nella versione più lunga portava anche un aumento dell’attività fisica settimanale da moderata a vigorosa.

«Da solo il Tai Chi non sostituirà ovviamente altri componenti della riabilitazione cardiaca tradizionale, come l’informazione sui fattori di rischio, la dieta e l’aderenza alla terapia – evidenzia Elena Salmoirago-Blotcher, autrice principale della ricerca – se si dimostrerà efficace in studi più ampi, potrebbe essere possibile offrirlo come opzione di esercizio all’interno di un centro di riabilitazione come soluzione ponte verso un esercizio più faticoso».

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La quantità di bibite zuccherate bevute dall’aspirante mamma potrebbe compromettere l’esito della fecondazione assistita.

Lo rivela una ricerca pubblicata sulla rivista Fertility and Sterility e condotta presso la Harvard T.H. Chan School of Public Health di Boston, Massachusetts.

Un campione di 340 donne che doveva sottoporsi a fecondazione assistita per problemi di fertilità (o per fare diagnosi reimpianto per via di rischio di malattie genetiche) è stata sottoposta a questionari dettagliati sulle sue abitudini di consumo in quanto a bevande (consumo di bevande con caffeina, tè, tisane, bibite, energy drink).

I ricercatori hanno valutato l’esistenza di associazioni tra abitudini di consumo e numero totale di ovociti, cellule uovo mature e fecondate, nonché il numero degli embrioni di migliore qualità prodotti. E’ emerso che, mentre il consumo di caffeina non sembra avere alcun impatto sul successo della fecondazione assistita, le bibite zuccherate sono risultate legate a minore numero di ovociti raccolti e maggiore proporzione di embrioni di bassa qualità prodotti.

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Il rischio di ammalarsi di diabete potrebbe essere ridotto con una dieta ricca di grassi polinsaturi di tipo ”omega 6”, che si trovano in abbondanza nella soia e nei semi come quelli di girasole oppure nella frutta secca.

Lo suggerisce una ricerca pubblicata su The Lancet Diabetes & Endocrinology e condotta da Jason Wu della George Institute for Global Health a Sidney. Lo studio è la revisione di una serie di ricerche fatte in merito al consumo di grassi omega 6.

Gli esperti hanno considerato un totale di quasi 40.000 individui, tutti sani all’inizio dell’analisi. Oltre 4000 di questi nel corso del tempo si sono ammalati di diabete di tipo 2 (la forma più diffusa, oggi epidemica nel mondo, in cui l’organismo diviene resistente all’ormone insulina, insensibile ad esso). All’inizio dello studio è stata stimata la concentrazione di grassi Omega 6 nel sangue di tutti gli individui misurando in particolare la concentrazione di ‘acido linoleico’ che rappresenta il grasso omega 6 più comune.

È emerso che coloro che avevano una gran quantità di acido linoleico nel sangue presentavano un rischio di ammalarsi di diabete del 35% inferiore rispetto a coloro che avevano bassi livelli di acido linoleico nel sangue.

In passato i grassi omega-6 sono stati considerati potenzialmente nocivi perché associati al rischio di favorire infiammazione cronica. Ma questo studio sembra riabilitarne l’immagine come grassi benefici per la salute.

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