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Un consumo giornaliero di agrumi può aiutare a contrastare la demenza. Arance, pompelmi, limoni e lime possono ridurne il rischio fino quasi al 15 per cento.

È quanto emerge da uno studio dell’Università del Tohoku, in Giappone, pubblicato sulla rivista British Journal of Nutrition. Secondo gli studiosi le parti commestibili degli agrumi sono ricche di flavonoidi specifici e alcuni esperimenti condotti a livello cellulare e sugli animali hanno dimostrato che questi flavonoidi possono attraversare la barriera emato-cerebrale e giocare un ruolo come antiossidanti e antinfiammatori, persino riparando qualche forma di danno a livello delle cellule. Per la ricerca sono stati presi in esame i dati dell’Ohsaki Cohort 2006 Study, condotto su una popolazione di over 65 che viveva a Oksaki City, nel nord-est del Giappone.

È stato svolto un sondaggio sulle abitudini alimentari e sul consumo di agrumi e i ricercatori hanno seguito 13.373 persone nel 2012 per vedere quanti avessero sviluppato demenza (definita da una particolare assicurazione sociale che in Giappone occorre stipulare) nel corso di sei anni, escludendo anche altri fattori legati potenzialmente allo sviluppo della malattia.

In coloro che consumavano agrumi 3-4 volte a settimana e ancora di più in chi li consumava tutti i giorni il rischio risultava ridotto rispetto a chi li consumava meno di due volte.

Secondo i ricercatori i risultati dello studio sono incoraggianti, ma naturalmente ci sono ancora tutta una serie di fattori da considerare prima di poter stabilire con completa certezza che consumare agrumi frequentemente riduce il rischio di demenza.

ANSA


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Non riesco a fare le scale? Andrò ad abitare al piano terra. Sono troppo stanco anche solo per un cinema? Resto in casa, tanto non mi andava. Uscire dalla vasca da bagno è un’impresa? Non importa, preferisco la doccia. La polvere mi toglie il respiro? Niente tappeti, lo sanno tutti che non sono igienici. Ecco qualche esempio di come tanti asmatici italiani si “autolimitano” piuttosto che assumere correttamente le terapie prescritte dal medico. Trucchi dribbla-cure adottati da quasi un paziente su 5, ossia il 18%, secondo un’indagine condotta da Doxa per conto di GlaxoSmithKline. E anche tra quelli che i farmaci li prendono, dilaga una “steroidofobia” che in molti casi li spinge a rinunciare alla parte antinfiammatoria del trattamento, perché «il cortisone fa paura».

Lo spiega Francesco Blasi, ordinario di Malattie respiratorieall’università degli Studi di Milano, che punta l’accento sui pericoli della mancata aderenza terapeutica: «Più riacutizzazioni e un maggior costo, sia economico per il sistema sanitario e per la società, sia per la salute del paziente in termini di qualità della vita e rischio di ricoveri in ospedale». Tra gli asmatici ai quali viene indicata una terapia inalatoria, «appena un paziente su 8 è ancora in trattamento dopo un anno; gli altri 7 l’hanno interrotta» riferisce Alberto Papi, ordinario di Malattie respiratorie all’università degli Studi di Ferrara. Addirittura, aggiunge, «un mese dopo essere uscito dall’ospedale continua a curarsi soltanto il 30%». Il 70% invece ha smesso prima: «Sta meglio e dice basta, proprio come succede con gli antibiotici» conferma Blasi.

Il problema, fotografato anche dalla nuova ricerca (il 96% degli asmatici si dice «sotto controllo» pur ammettendo sintomi seri nel 40% dei casi), è che «a pochi piace sentirsi malato e ancora meno definirsi o essere visto come tale» ragiona Papi «Ed ecco allora che scatta lo stratagemma, il meccanismo dell’adattamento e dell’autolimitazione: se una cosa non riesco a farla, semplicemente non la faccio oppure la faccio diversamente e vado avanti lo stesso».


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L’età massima raggiungibile dalla specie umana è 115,7 anni per le donne e 114,1 anni per gli uomini, un numero che non varia da 30 anni anche se quello delle persone che hanno raggiunto i 95 è triplicato.

Lo afferma uno studio dell’università olandese di Tilburg, ancora non pubblicato ma i cui risultati sono simili a quelli descritti su Nature lo scorso anno da un gruppo statunitense.

I ricercatori hanno analizzato i dati di 75mila persone vissute in Olanda negli ultimi 30 anni, elaborandoli con la cosiddetta “Teoria dei valori estremi”. L’età massima, notano gli autori, non è cresciuta nel periodo considerato, mentre quella media è aumentata. I valori massimi sono a loro volta delle medie, con le punte che possono arrivare a 120 anni. «In media le persone diventano più anziane, ma i più vecchi tra noi hanno sempre la stessa età – sottolineano gli autori dello studio -. C’è sicuramente un tetto».

L’analisi porta a valori simili a quelli dello studio statunitense, che però non fu accolto con favore dal mondo scientifico.

ANSA


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L’adagio che troppa TV fa male vale anche quando si superano i 50 anni, e non solo per i bambini.

Lo ribadisce uno studio della George Mason University pubblicato dal Journal of Gerontology, secondo cui gli adulti che guardano più di cinque ore al giorno di TV hanno un rischio molto alto di avere problemi di mobilità negli otto anni successivi.

I ricercatori hanno analizzato i dati di oltre 134mila persone tra i 50 e i 71 anni, verificandone le abitudini sull’esercizio fisico. Tutti i partecipanti erano sani all’inizio dello studio, e sono stati seguiti per circa otto anni. «I partecipanti che guardavano la tv per cinque o più ore al giorno avevano un rischio maggiore del 65% di avere una disabilità motoria al termine dello studio» scrivono gli autori «e questo indipendentemente dal livello totale di attività fisica o di altri fattori di rischio conosciuti per questo tipo di problema».

Il maggior rischio riguarda tutti i “binge watchers”, ma in maniera particolare quelli che hanno un livello di attività fisica molto basso, meno di tre ore a settimana.

ANSA


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Si appoggia innanzitutto sulle farmacie del territorio la campagna predisposta dal ministero della Salute per informare famiglie e opinione pubblica sugli obblighi vaccinali che andranno rispettati dall’avvio della nuova stagione scolastica.

«La farmacia» scrive il Ministro della Salute, Beatrice Lorenzin «rappresenta un canale privilegiato, conosciuto e capillare per contribuire alla diffusione di corrette informazioni in tema di salute e, nel caso specifico, di vaccinazioni. Esprimo quindi il più vivo apprezzamento per l’adesione di Federfarma agli obiettivi del nuovo decreto legge in materia di prevenzione vaccinale e ringrazio sentitamente per il contributo fornito al dicastero».

«Il ministro Lorenzin» scrive dal canto suo il presidente Federfarma Cossolo «chiede alle farmacie italiane di collaborare fattivamente a questa importante campagna di educazione sanitaria. I farmacisti godono della fiducia dei cittadini e possono autorevolmente dare un’informazione corretta combattendo i pregiudizi dettati da ignoranza e insensate paure». Le locandine che saranno esposte, dunque, «costituiscono di per sé preziosi strumenti di informazione, ma sono anche una opportunità per instaurare un dialogo più approfondito con i cittadini sulla utilità e sicurezza dei vaccini e per informare sulle modalità pratiche ed i tempi per effettuare le vaccinazioni».

Le due “infografiche” riassumono le procedure che le famiglie dovranno rispettare per mandare i propri figli a scuola o all’asilo, così come le principali disposizioni del decreto legge sui vaccini.


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Due ore di volontariato a settimana per vincere sentimenti di solitudine e isolamento sociale che spesso gli adulti e gli anziani provano quando rimangono vedovi.

La solitudine è un grave problema, soprattutto tra i più anziani. Inoltre questa condizione esistenziale è legato a declino fisico e mentale, aumento del rischio di malattie cardiache e morte prematura. Per capire come il volontariato possa aiutare le persone che si sentono sole, Dawn Carr e colleghi, del Pepper Institute on Aging and Public Policy presso la Florida State University di Tallahassee, hanno esaminato i dati raccolti tra il 2006 e il 2014 relativi a 5.882 adulti sopra i 51 anni. Tutti erano sposati all’inizio dello studio, ma 667 erano diventati vedovi alla fine della ricerca. Le persone che avevano perso il coniuge erano per la maggior parte donne, nere, più avanti con l’età, più malate, depresse e avevano subito un declino cognitivo.

Inoltre, alcune di queste avevano avuto un coniuge disabile o che aveva sofferto di perdita di memoria. All’inizio dello studio, circa la metà dei partecipanti aveva svolto qualche attività di volontariato; attività che mantenevano con maggior costanza anche quando perdevano il coniuge. Durante lo studio, circa l’1,5% dei partecipanti ha iniziato a fare volontariato per almeno 100 ore l’anno, mentre il 6,3% si è dedicato alle attività sociali, ma con meno impegno a livello orario. Per valutare lo stato di solitudine, invece, Carr e colleghi hanno esaminato i dati dei questionari che chiedevano quanto spesso le persone si sentivano isolate, lasciate fuori o non avevano compagnia.

I risultati
Come prevedibile, la solitudine colpiva più intensamente chi restava vedovo rispetto a chi era sposato. Ma coloro che perdevano il coniuge e facevano almeno due ore di volontariato la settimana avevano livelli di solitudine più bassi rispetto alle persone sposate che spendevano lo stesso tempo per la comunità. “Questo studio offre una nuova visione della ‘dose’ di volontariato necessaria per compensare la solitudine dopo essere rimasti vedovi – dice Carr – Non sappiamo esattamente come il volontariato possa aiutare, ma la ragione della sua utilità potrebbe essere legata al fatto richiede di tenere attivi la mente e il corpo per poter interagire con gli altri”. “I risultati di questo studio confermano i benefici delle interazioni sociali regolari – dice Guohua Li, direttore del Center for Injury Epidemiology and Prevention alla Columbia University di New York City., non coinvolto nello studio – Il volontariato può aumentare l’autostima delle persone anziane e dare loro un senso di comunità”.

Fonte: Journal of Gerontology: Social Sciences


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Da due mesi c’è carenza di sangue

È allarme sangue. I mesi di giugno e luglio sono stati caratterizzati da una carenza cronica di sangue in molte Regioni, che hanno messo a rischio terapie salvavita e interventi chirurgici programmati e in emergenza. Se non verranno accolti gli appelli a donare fatti costantemente dalle associazioni di volontari, anche nelle prossime settimane, generalmente già contraddistinte da un calo delle donazioni, la rete trasfusionale nazionale non sarà in grado di soddisfare i Livelli Essenziali di medicina trasfusionale.

Parlano chiaro i dati preliminari raccolti dal Centro Nazionale Sangue, secondo cui in alcuni giorni si sono superate le 1.100 unità mancanti su tutto il territorio nazionale.

Dai dati che arrivano dal sistema informativo SISTRA, dove le Regioni carenti o con una eccedenza inseriscono ogni giorno il proprio fabbisogno e le unità eventualmente disponibili è emerso che il 4 luglio si è registrata la carenza maggiore di sangue, con richieste inserite per 1.130 unità. Ma in molti altri giorni si è superata quota mille, compreso il 29 luglio, mentre oggi ne mancano 900; di contro, le eccedenze non hanno mai superato quota 160.

Lazio, Abruzzo e Basilicata sono le Regioni che hanno segnalato le maggiori criticità insieme a Sicilia e Sardegna che hanno un fabbisogno particolarmente elevato a causa della presenza di numerosi pazienti, soprattutto talassemici, bisognosi di sangue per le terapie. “A rischio – sottolinea il direttore del Centro Nazionale sangue Giancarlo Maria Liumbruno – ci sono terapie salvavita, considerando ad esempio che per un paziente leucemico servono otto donatori a settimana o che le talassemie e le altre emoglobinopatie assorbono circa il 10% delle unità raccolte sul territorio nazionale, ma anche gli interventi chirurgici, se si pensa che ad esempio per un trapianto cuore-polmoni possono essere usate fino a 30-40 sacche di sangue. In questi ultimi mesi in diverse occasioni – continua Liumbruno – le Regioni con capacità di produzione maggiore non sono riuscite a rispettare gli accordi programmati all’inizio dell’anno per fornire sangue a quelle con carenze croniche. È importante che tutte le Regioni cerchino di contribuire il più possibile al sistema di compensazione nazionale e che incrementino la raccolta. Per questo all’appello ai donatori si aggiunge quello delle Regioni, affinché consentano alle Strutture Trasfusionali da loro dipendenti una maggiore flessibilità nei giorni e negli orari di apertura, anche dotandole delle necessarie risorse umane, in modo da consentire, anche nel periodo estivo, la donazione non solo nei giorni feriali e negli orari canonici del primo mattino”.

Sollecitati i volontari. Le Associazioni e Federazioni nazionali dei donatori di sangue (Avis, Croce Rossa Italiana, Fidas e Fratres), sottolinea il loro coordinamento, in sinergia con i professionisti di settore, sollecitano i volontari secondo una programmazione condivisa a recarsi a donare per soddisfare le necessità dei pazienti: “Le recenti situazioni di maxi-emergenza hanno dimostrato come i cittadini sappiano rispondere consapevolmente e responsabilmente agli appelli. Tuttavia è importante che i cittadini comprendano che la vera sfida del sistema è assicurare quotidianamente e in ogni periodo dell’anno le disponibilità di sangue ed emocomponenti che garantiscono gli oltre ottomila eventi trasfusionali ogni giorno effettuati nel Paese. I donatori e i pazienti non vanno in ferie”.


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La giurisprudenza ha ormai consolidato il concetto che la malattia durante le ferie interrompe il periodo feriale non essendo la malattia compatibile con le finalità delle ferie che sono quelle del recupero psico-fisico delle energie del prestatore di lavoro, dello sviluppo delle relazioni sociali, culturali e della personalità dell’individuo. Ecco cosa devono fare lavoratori, datori di lavoro e medici fiscali

La fruizione del periodo di ferie annuale da parte del lavoratore, al pari di ogni altro aspetto della vita sociale, è codificato da normative a tutela dei diritti e doveri di ciascuno.

Il primo riferimento in proposito è rappresentato dall’articolo 36 della nostra Costituzione, che configura il periodo di ferie retribuite come un principio irrinunciabile dell’individuo. Tale aspetto è ribadito dall’articolo 2019 del codice civile ed  espressamente sancito dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.

Il  periodo di astensione annuale dal lavoro è preposto al recupero psico-fisico delle energie del prestatore di lavoro, allo sviluppo delle relazioni sociali, culturali e della personalità dell’individuo.

Qualora nel periodo di ristoro subentri un  evento patologico tale da  impedire al lavoratore il ristoro cui ha diritto, egli deve rivolgersi ad un medico che, dopo opportuna valutazione clinica, redige un certificato di malattia che verrà inviato al datore di lavoro e all’Ente Previdenziale.

L’effetto sospensivo delle ferie si produce dalla data in cui il datore di lavoro ha ricevuto la comunicazione dello stato di malattia del lavoratore. Il riconoscimento a ricevere la corrispondente indennità riguarda esclusivamente i giorni  documentati nei modi e nei termini di legge.

Dal momento in cui viene interrotto il periodo di ristoro per subentrante malattia, il lavoratore deve adempiere agli obblighi previsti durante la sospensione dal lavoro per malattia:
– sottoporsi a visita medica,
– richiedere la redazione e l’invio del certificato di malattia
– controllare la corretta compilazione dei dati anagrafici inseriti nel certificato, indicare l’indirizzo di reperibilità qualora sia diverso dalla residenza abituale,
– fornire indicazioni utili alla reperibilità se l’abitazione è difficilmente raggiungibile,
– controllare che il proprio nominativo sia ben evidente nella pulsantiera dei citofoni e sulle cassette postali,
– essere a casa nelle specifiche fasce di reperibilità.

Secondo le indicazioni della Cassazione, il datore di lavoro che intenda provare l’inesistenza della malattia o la sua irrilevanza ad   interrompere il periodo di ferie,  deve richiedere la visita medica di controllo per il proprio dipendente, precisando al momento della richiesta la conversione dell’assenza dal lavoro per ferie ad assenza per malattia.

Qualora la verifica richiesta dal datore non possa avvenire per motivazioni imputabili al lavoratore, viene preclusa la possibilità di considerare la malattia denunciata come interruttiva del periodo di ristoro.

Nel corso della visita medica di controllo domiciliare, il medico fiscale deve valutare  il grado di compromissione delle funzioni che permettono all’individuo il godimento delle ferie, rapportandolo al cosiddetto danno biologico.

Poiché nelle indicazioni della sentenza non è esplicita la percentuale del danno in grado di inibire il ristoro psico-fisico, si può ritenere che il pregiudizio al godimento di esso possa verificarsi  sia in presenza di una incapacità temporanea assoluta a svolgere qualsiasi attività, sia in presenza di una incapacità temporanea parziale, come avviene quando ci si trovi a valutare la incapacità temporanea assoluta al lavoro specifico (quest’ultima è la valutazione effettuata dal medico di controllo nei controlli sulle assenze dal lavoro per malattia quando il lavoratore sia in costanza di servizio).

Da qui nasce la necessità di separare le due valutazioni, tenendo presente che la finalità dell’istituto delle ferie di fatto prescinde dal solo riconoscimento della incapacità a svolgere il proprio lavoro specifico.

Semplificando, possiamo affermare che l’inabilità assoluta generica provocata da patologie quali stati febbrili di lunga durata, ricoveri ospedalieri, fratture di grosse articolazioni, sia incompatibile con il fine del periodo di riposo.

Nel caso di patologie che determinino una inabilità temporanea assoluta al lavoro specifico,  si possono verificare due circostanze:
– la menomazione, anche se tale da impedire lo svolgimento del lavoro specifico, non influisce sulla corretta fruizione delle ferie e pertanto non ne determina l’interruzione;
– la stessa menomazione funzionale influisce negativamente sul godimento delle ferie ed è perciò idonea ad interromperle.

Maria Parisi
Associazione nazionale medici fiscali – Anmefi


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Nonostante i no-vax accampati in piazza, la Camera dice sìalla conversione in legge del decreto vaccini accogliendo la richiesta di fiducia presentata dal Governo. E’ l’esito del voto con cui Montecitorio ha licenziato senza modifiche il testo approvato da Palazzo Madama. Passa quindi l’emendamento, introdotto al Senato, che consente di prenotare la profilassi in farmacia, tramite Cup, e scendono a dieci le vaccinazioni obbligatorie per l’assolvimento dell’obbligo scolastico, con esclusione dalla scuola fino ai sei anni in caso di inadempienza oppure sanzioni ai genitori dai sei ai 16.

Soddisfazione da Governo e maggioranza. «E’ come se avessimo dato uno scudo protettivo alle famiglie» ha commentato il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin «abbiamo messo in sicurezza questa e le future generazioni, vinceremo la battaglia culturale coinvolgendo i pediatri, i medici, la scuola». «La conversione in legge del decreto vaccini è un passo fondamentale per la politica sanitaria di questo Paese» ha osservato Federico Gelli, responsabile sanità del Pd «dopo oltre 50 giorni di dibattito serrato e aperture verso l’opposizione che hanno portato alla sostanziale modifica del provvedimento, con il via libera definitivo da parte della Camera il Governo mette in sicurezza la salute degli italiani, ed in particolare dei più fragili». «Il dovere di tutti noi è la tutela della salute» ha ricordato Maurizio Lupi, capogruppo di Alternativa popolare «anche la nostra Costituzione dice che la Repubblica tutela la salute come diritto fondamentale dell’individuo e interesse della comunità, aggiungendo che si può obbligare il cittadino a un trattamento sanitario fatti salvi i limiti imposti dal rispetto della persona umana».

Le dieci vaccinazioni che diventano obbligatorie, secondo le indicazioni del Calendario allegato al Piano nazionale di prevenzione vaccinale vigente (età 0-16 anni) sono anti-poliomelitica, anti-difterica, anti-tetanica, anti-epatite B, anti-pertosse, anti Haemophilusinfluenzae tipo B, anti-morbillo, anti-rosolia, anti-parotite e anti-varicella. Per le ultime quattro è prevista una valutazione a tre anni con eventuale eliminazione dell’obbligo.

Non inficiano l’iscrizione a scuola ma saranno offerti gratuitamente (con chiamata dalle Asl) altri quattro vaccini, contro meningococco B, meningococco C, pneumococco e rotavirus. Chi risulta già immunizzato per alcuni dei virus e batteri in elenco potrà procedere alla vaccinazione monocomponente, mentre eventuali esenzioni potranno essere richieste solo in caso di accertato pericolo per la salute, oppure in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate e attestate dal medico di medicina generale o dal pediatra di libera scelta.

Non potranno essere iscritti agli asili nido e alle scuole dell’infanzia, pubbliche e private, i minori che non si sono sottoposti alle vaccinazioni obbligatorie. Entro 10 giorni, il dirigente scolastico segnala all’Asl le generalità del bambino inadempiente affinché si provveda alla profilassi. In caso di violazione dell’obbligo vaccinale, i genitori sono puniti con una sanzione amministrativa da 100 a 500 euro. In origine la norma prevedeva anche la segnalazione della famiglia al tribunale dei minori per l’eventuale perdita della patria potestà, una misura poi cancellata al Senato.

L’Agenzia del farmaco predisporrà una relazione annuale con i dati degli eventi avversi associabili alla vaccinazione, da trasmettere al ministero della Salute e quindi al Parlamento. Stretta anche sui prezzi dei vaccini: dovranno essere sottoposti alla negoziazione obbligatoria dell’Aifa, che sarà anche parte in giudizio in tutte le controversie riguardanti presunti danni da vaccinazioni e somministrazione di presunti farmaci non oggetto di sperimentazione.

Nasce anche l’Anagrafe nazionale vaccini, nella quale saranno registrati tutti i soggetti vaccinati e da sottoporre a vaccinazione, le dosi e i tempi di somministrazione e gli eventuali effetti indesiderati. Inoltre viene istituita un’Unità di crisi permanente, promossa dal ministero della Salute, per monitorare l’erogazione del servizio e prevenire eventuali criticità. Il dicastero, inoltre, avvierà una campagna straordinaria di sensibilizzazione per la popolazione sull’importanza delle vaccinazioni. Saltato, per assenza di coperture, l’obbligo vaccinale a carico degli operatori sanitari e scolastici; questi, in ogni caso, dovranno comunque presentare ai propri datori un’autocertificazione attestante la propria «situazione vaccinale».


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Un gruppo di scienziati statunitensi, utilizzando il muco prodotto dalle lumache, ha messo a punto una colla per uso chirurgico. Gli esperimenti sui modelli animali hanno confermato l’efficacia del prodotto. La scoperta è stata pubblicata dalla rivista Science

Dopo aver tentato con ragni e cozze, l’ultima “novità” in fatto di adesivi per suture chirurgiche arriva dalle lumache. Analizzando il muco estremamente adesivo che queste producono come meccanismo di difesa, un gruppo di scienziati americani ha messo a punto una speciale colla. I ricercatori, coordinati da David Mooney, professore di bioingegneria alla Harvard University, hanno presentato la loro scoperta su Science. In realtà, adesivi ad uso medico esistono già, ma spesso sono deboli, non sono molto sensibili e a volte non si possono utilizzare su tessuti bagnati.

Per affrontare questi problemi, il gruppo di Harvard e di altri centri di ricerca è partito dalle lumache, che producono un muco estremamente adesivo come meccanismo di difesa. Il trucco di questi animali consiste nel produrre una sostanza che non solo forma forti legami su superfici bagnate, ma ha anche una matrice che dissipa l’energia al punto di adesione, rendendola altamente flessibile.

Il nuovo adesivo
L’adesivo artificiale si basa su questi principi e avrebbe mostrato di funzionare bene in una serie di esperimenti di adesione su pelle, cartilagine, tessuti e organi del maiale, oltre a non aver prodotto alcun effetto tossico sulle cellule umane. In una prova, ad esempio, la colla è stata testata per chiudere una ferita sul cuore del maiale che produceva molto sangue e ha mantenuto la sutura con successo. In un altro caso l’adesivo è stato applicato a una lacerazione del fegato di ratto e avrebbe agito altrettanto bene come emostatico.

“Sono molti i potenziali utilizzi di questo adesivo e in alcuni casi potrebbe sostituire le suture e le graffette, che possono causare danni ed essere difficili da collocare in alcune particolari situazioni”, dice David Mooney. Secondo i ricercatori americani, l’adesivo dovrebbe essere prodotto in fogli e tagliato su misura, anche se è in fase di realizzazione una versione iniettabile per chiudere ferite profonde. Non è la prima volta che gli scienziati prendono ispirazione dalla natura per mettere a punto un adesivo medico. Quattro anni fa, un altro gruppo di ricercatori ha sviluppato una colla ispirata alle proprietà di adesione sulle rocce delle cozze, ma secondo Mooney, la colla messa a punto dal suo gruppo sarebbe più adesiva e flessibile.

Fonte: Science


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