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Mangiare meno aiuta a rallentare l’invecchiamento, si sa. Ma ora si è capito meglio il perché: con meno calorie rallenta l’attività dei ribosomi (gli organelli cellulari che producono le proteine necessarie al funzionamento della cellula), che hanno così il tempo di autoripararsi e lavorare meglio, mantenendo cellule e corpo ben funzionanti più a lungo, e rallentando così il processo di invecchiamento.

Lo rileva uno studio della Brigham Young University dello Utah, pubblicato sulla rivista Molecular & Cellular Proteomics.

«I ribosomi sono come un’automobile, che ha bisogno di manutenzione periodica, per sostituire velocemente le parti consumate», spiega John Price, coordinatore dello studio. Che cosa fa rallentare la produzione di proteine ai ribosomi? Nei topi si è visto che è il minor consumo di calorie. I ricercatori hanno studiato due gruppi di roditori: uno poteva mangiare senza limiti, mentre l’altro il 35% meno di calorie, ricevendo tutti i nutrienti necessari alla sopravvivenza. Non è la prima volta che si collega il taglio delle calorie alla durata della vita, ma è invece la prima volta che si dimostra che la sintesi delle proteine rallenta e si riconosce il ruolo dei ribosomi in questa azione “allunga-giovinezza”.

«I topi che hanno assunto meno calorie sono risultati più energetici, si sono ammalati meno – prosegue Price – hanno vissuto più a lungo e sono rimasti giovani più a lungo».

ANSA


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“Ogni grammo in più rispetto al fabbisogno giornaliero (circa 25 grammi) accresce di una volta e mezza il rischio di sviluppare malattie epatiche gravi”. È quanto emerso da uno studio condotto dai ricercatori dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma.

Troppo zucchero rischia di trasformarsi in “veleno” per il fegato dei bambini. L’abuso sistematico del fruttosio aggiunto ai cibi e alle bevande ha gli stessi effetti pericolosi dell’alcool: ogni grammo in eccesso rispetto al fabbisogno giornaliero (circa 25 grammi) accresce di una volta e mezza il rischio di sviluppare malattie epatiche gravi”.

È quanto emerso da uno studio dei ricercatori dell’area di Malattie epato-metaboliche dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù che, per la prima volta in letteratura, rivela i danni del fruttosio sulle cellule del fegato dei più piccoli. I risultati dell’indagine sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Journal of Hepatology.

Lo studio è stato condotto tra il 2012 e il 2016 su 271 bambini e ragazzi affetti da fegato grasso. In 1 bambino su 2 gli esami effettuati hanno rilevato livelli eccessivi di acido urico in circolo. L’acido urico è uno dei prodotti finali della sintesi del fruttosio nel fegato. Quando è prodotto in grandi quantità diventa tossico per l’organismo e concorre allo sviluppo di diverse patologie. Attraverso ulteriori indagini, incrociate con i dati emersi dal questionario alimentare somministrato ai pazienti, i ricercatori hanno dimostrato l’associazione tra gli alti livelli di acido urico e l’aggravarsi del danno al fegato, soprattutto tra i grandi consumatori di fruttosio: quanto più zucchero ingerivano con la dieta abituale, tanto maggiore era il danno riportato dalle loro cellule epatiche.

Il fruttosio aggiunto, il nemico dei bambini. Il fruttosio è uno zucchero naturale presente in diversi alimenti, soprattutto nella frutta ma anche nei vegetali e nelle farine utilizzate per pasta, pane e pizza. In una dieta bilanciata, il consumo di fruttosio naturalmente contenuto nei cibi non provoca alcun effetto negativo. Il nemico dei bambini è il fruttosio aggiunto presente negli sciroppi e nei dolcificanti largamente utilizzati dall’industria nelle varie preparazioni alimentari (marmellate, bevande, merendine, succhi di frutta, caramelle). Basti pensare che una sola lattina di bevanda zuccherata contiene il doppio della quantità giornaliera di fruttosio indicata per l’età pediatrica (circa 25 grammi). Un barattolo di marmellata confezionata ha una concentrazione di fruttosio 8 volte maggiore del fabbisogno quotidiano; una merendina ne contiene mediamente il 45% in più, mentre una bottiglietta di succo di frutta poco più della metà.

I meccanismi del danno al fegato. Il fruttosio viene metabolizzato, ovvero scomposto e trasformato, principalmente nel fegato. Questo processo di sintesi produce energia per il corpo, ma anche altri derivati come l’acido urico. Se la quantità di fruttosio ingerita sistematicamente è eccessiva, il percorso metabolico si altera e viene prodotto troppo acido urico. Quando l’organismo non riesce a smaltire le alte concentrazioni in circolo, si innescano meccanismi pericolosi per la salute: aumenta lo stress ossidativo (i vari componenti delle cellule vengono danneggiati dalla rottura dell’equilibrio cellulare) e si attivano insulino-resistenza e processi infiammatori delle cellule epatiche. Questi meccanismi sono precursori dell’insorgenza del diabete e del fegato grasso. Nei bambini con il fegato già compromesso, accelerano la progressione della malattia verso stadi più gravi (steatoepatite non alcolica, fibrosi epatica, cirrosi).

I ricercatori del Bambino Gesù hanno quindi dimostrato che i bambini con abitudini alimentari sbagliate, sottoposti a un sistematico “bombardamento” di fruttosio, corrono un rischio di sviluppare patologie del fegato aumentato di almeno una volta e mezza per ogni grammo di zucchero in eccesso ingerito quotidianamente.

“Diversi studi – ha  spiegato Valerio Nobili, responsabile di Malattie Epato-metaboliche del Bambino Gesù – hanno provato che l’elevato consumo di zucchero è associato a numerose patologie sempre più frequenti in età pediatrica come l’obesità, il diabete di tipo II e le malattie cardiovascolari. Ma poco si sapeva del suo effetto sul tessuto epatico, almeno fino ad oggi. Con la nostra ricerca abbiamo colmato la lacuna: abbiamo infatti dimostrato che un eccessivo consumo di fruttosio si associa ad alti livelli di acido urico e soprattutto a un avanzato danno epatico, tanto da favorire la precoce comparsa di fibrosi prima e cirrosi poi a carico del fegato. Ecco perché, alla luce di quanto certificato dal nostro studio, è fondamentale evitare l’abuso di cibi e bevande con un elevato contenuto di fruttosio, modificando le cattive abitudini alimentari e gli stili di vita errati dei nostri ragazzi. Per fare un esempio concreto, gli spuntini dei bambini dovranno essere solo eccezionalmente a base di succhi di frutta o merendine confezionate e non la regola quotidiana”.


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Difficoltà a mangiare e a bere, diffusissima tra gli anziani e spesso causa di malnutrizione, dovuta all’assunzione di troppi farmaci.

Uno studio mostra che ben l’87% degli anziani che risiedono in Residenze sanitarie assistite assume da 1 a 4 farmaci al giorno che potenzialmente provocano “disfagia”, ovvero la difficoltà ad ingerire cibi solidi o liquidi.

Lo studio è stato condotto per 4 mesi dall’IIstituto Nazionale di Riposo e Cura per Anziani. Gli esperti hanno valutato lo stato nutrizionale e il numero medio di farmaci assunti al giorno, risultato pari a 8 con picchi di 19 nei casi più gravi. Il 34% degli anziani risultava malnutrito, il 40% aveva registrato negli ultimi sei mesi una perdita di peso non voluta superiore al 5%.

Sono tre i meccanismi con cui i farmaci incidono negativamente sulla deglutizione, spiega Claudia Venturini, coautrice dello studio. Il primo è l’effetto collaterale di medicine che riducono la produzione di saliva, riscontrato nell’11% del campione. Poi ci sono le complicanze dovute all’azione del farmaco stesso: è il caso dei narcotici che, agendo sul sistema nervoso, riducono vigilanza e attenzione. Alcuni farmaci infine producono danni alla parete dell’esofago, come alcuni antidolorifici o gli integratori per il trattamento dell’osteoporosi o per problemi cardiaci (riscontrati nel 29% dei pazienti).

ANSA


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Cure miracolose per malattie rare, pillole per dimagrire che fanno perdere dieci chili in una settimana, creme contro la disfunzione erettile provenienti dalla tradizione di paesi lontanissimi. Sono più di 68 milioni gli annunci pubblicitari di prodotti farmaceutici non autorizzati che Google ha bloccato nel 2016. Quasi sei volte i contenuti censurati nel 2015.

E’ quanto emerge dal Rapporto sull’attività di vigilanza condotta nell’anno passato dal gruppo di Mountain View per escludere i siti illegali da indicizzazioni e ricerche. In dodici mesi, riferisce Google, sono stati bloccati 1,7 miliardi di annunci pubblicitari. Di questi, 68 milioni riguardavano prodotti per la salute vietati o illegali. Nel 2015, i contenuti dello stesso genere messi in quarantena erano stati “solo” 12,5 milioni.

La violazione delle leggi nazionali su farmaci e prodotti assimilati rappresenta la principale infrazione registrata dal motore di ricerca del gruppo americano. Sempre nel 2016, cita ancora il rapporto, sono più di 47mila i siti perseguiti per truffe su prodotti o programmi diretti alla perdita di peso.


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Yoga, meditazione, esercizio fisico. Tante sono le “armi” con cui si può combattere lo stress e alla lista è possibile aggiungere anche una dieta ricca in prebiotici, che aiuta in particolare il sonno. Da non confondere con probiotici, i prebiotici sono alcuni tipi di fibre che i batteri probiotici nutrono, come quelle presenti in diverse fonti vegetali, tra cui asparagi, avena e legumi.

È quanto emerge da una ricerca della University of Colorado a Boulder, pubblicata sulla rivista Frontiers in Behavioral Neuroscience.

Gli studiosi hanno svolto un esperimento sui topi in laboratorio, che hanno ricevuto per diverse settimane prima di un evento considerato stressante una dieta ricca in prebiotici, comparandoli con un altri inseriti in un gruppo cosiddetto di controllo, su cui non è stato effettuato questo intervento.

I risultati hanno evidenziato che i topi che avevano seguito una dieta ricca in prebiotici non solo non sperimentavano disagi indotti dallo stress sulla flora intestinale, ma recuperavano un sonno sano prima rispetto agli altri. «L’evento stressante che i topi hanno sperimentato era simile a quello che per l’uomo può essere un incidente d’auto o la morte di un caro», spiega Robert S. Thompson, l’autore principale dello studio, che evidenzia anche come ulteriori ricerche riguarderanno proprio i prebiotici e il loro effetto sull’uomo in situazioni di stress.

ANSA


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Una lunga passeggiata o una nuotata possono essere la chiave per non portare a casa le frustrazioni del lavoro.

L’antidoto contro una brutta giornata in ufficio può essere ad esempio camminare, avendo cura se possibile di superare la soglia dei 10mila passi al giorno che è quella raccomandata, oltre a un buon sonno.

Emerge da una ricerca della University of Central Florida, pubblicata sulla rivista Journal of Applied Psychology. Gli studiosi hanno preso in esame 118 studenti di MBA, i master in Business Administration, che avevano già un impiego a tempo pieno, sottoponendoli a un sondaggio e facendo indossare loro per una settimana degli strumenti per monitorarne l’attività giornaliera. Sono stati infine sottoposti dei questionari anche alle persone con cui i partecipanti allo studio convivevano.

Dai risultati è emerso che i lavoratori che facevano oltre 10mila passi al giorno (per la precisione più di 10.900) avevano meno probabilità di discutere, litigare, di quelli che invece non superavano la soglia dei 7.000 passi. Secondo gli studiosi 587 calorie extra bruciate (pari a 90 minuti di camminata a ritmo molto sostenuto o un’ora di nuoto) possono neutralizzare gli effetti negativi dei problemi di lavoro (mortificazioni, sfruttamento, maltrattamenti ecc) aiutando anche non portarli a casa.

«I risultati sono particolarmente interessanti anche in relazione alle raccomandazioni date dai Centers for Disease Control e dall’American Heart Association di fare tra gli 8mila e i 10mila passi al giorno» evidenzia Shannon Taylor, autrice della ricerca «penso anche che lo studio ci dia una nuova prospettiva sull’importanza di dormire abbastanza e fare esercizio fisico. Non è solo un bene per noi, è un bene anche per il partner».

ANSA


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Oltre il 50% degli studenti, tra gli 11 e i 17 anni, è finito nel mirino di uno o più bulli. I dati raccolti lo scorso anno dal Censis fotografano un fenomeno preoccupante, da arginare attraverso la prevenzione. In occasione della Giornata Nazionale contro il Bullismo e della sicurezza in rete è stata presentata, a Roma, la GUIDA per difendersi.

Violenze fisiche e verbali che lasciano il segno, specialmente quando a riceverli sono i più piccoli, da coetanei o persone poco più grandi. Può accadere nel mondo reale, ma anche in quello virtuale. Oggi, 7 febbraio, si è celebrata la Giornata Nazionale contro il Bullismo e il Safer Internet Day, dedicata, invece, alla sicurezza in rete. Anche gli studenti romani hanno dato il loro contributo: in 400 hanno assistito alla presentazione della Guida al Bullo 2.0, un vademecum, a cura di psicologi e avvocati, per affrontare il bullismo e imparare a difendersi. Un problema che riguarda più della metà dei giovanissimi: il 52,7% degli studenti, tra gli 11 e i 17 anni, ha subito comportamenti offensivi.

“La Guida –  ha detto Michele Baldi, Capogruppo della Lista Civica Nicola al Consiglio Regionale del Lazio, che ha promosso l’iniziativa – è uno strumento realizzato a costo zero e messo a disposizione di tutti con lo scopo sociale di sostenere concretamente studenti e famiglie nell’affrontare e prevenire fenomeni a cui sono esposti quotidianamente”.

I dati del Censis e la legge del Lazio

Fenomeni che, secondo il rapporto 2016 del Censis, riguardano il 52,7% degli studenti di scuole medie e superiori. La percentuale sale al 55,6% tra le femmine e al 53,3% tra i ragazzi più giovani, di 11-13 anni. Il Lazio è la prima istituzione, sia a livello regionale che nazionale, ad aver legiferato su questo delicato tema, approvando nel maggio scorso la legge “Disciplina degli interventi per la prevenzione e il contrasto del fenomeno del bullismo”. Una legge grazie alla quale è stato istituito un fondo, con uno stanziamento di 750 mila euro per il triennio 2016/2018, a beneficio di comuni e municipi, istituzioni scolastiche, aziende sanitarie locali e associazioni, per iniziative culturali, sociali e sportive sui temi del rispetto della diversità.

I finanziamenti servono anche per iniziative volte a promuovere uno stile di vita familiare che sostenga lo sviluppo di un senso critico nel minore, di gruppi di supporto per i genitori, corsi di formazione per personale scolastico, operatori sportivi ed educatori, campagne di sensibilizzazione e informazione per studenti, insegnanti e famiglie. Non solo prevenzione, s’interviene anche dove il bullismo ha, purtroppo, già fatto la sua parte: sono previsti contributi pure per i programmi che sostengono chi è finito nelle grinfie dei bulli.


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E’ quanto emerso dallo studio condotto dalla Cgia di Mestre e commissionato da Utifar, presentato nel fine settimana a Verona. Emerge il quadro di una situazione positiva per il cittadino/utente della farmacia sia dal punto di vista strettamente sanitario che sociale per quanto riguarda tutto il territorio.

Ha fatto tappa a Verona nel fine settimana la presentazione dello studio condotto dalla Cgia di Mestre e commissionato da Utifar, Unione Tecnica Italiana Farmacisti, dal titolo “Farmacie: valore per la società – Il bilancio sociale della farmacia italiana 2015”.

Invitato da Federfarma Verona per illustrare i risultati della ricerca nazionale, Eugenio Leopardi, presidente Utifar, ha fatto emergere il quadro di una situazione positiva per il cittadino/utente della farmacia sia dal punto di vista strettamente sanitario che sociale per quanto riguarda tutto il territorio.

“Il Bilancio Sociale, o di Sostenibilità è il documento con cui un’organizzazione comunica gli esiti della sua attività con particolare attenzione alle scelte responsabili e a gli impatti che generano. In questo caso si tratta di uno strumento che legittima il ruolo della farmacia, non solo in termini di impresa che produce ricchezza economica utile a tutto il contesto in cui opera, ma in termini di attore del territorio che produce valore aggiunto sociale oltreché sanitario”, spiega Leopardi.

“Dalla nostra indagine emerge che gli utenti sanno riconoscere il valore sociale del farmacista e 8 cittadini su 10 vedono nella farmacia non un esercizio commerciale, ma un presidio sanitario a tutti gli effetti. I 2/3 degli utenti inoltre entrano ogni giorno in farmacia per chiedere una consulenza sanitaria gratuita e la ricerca ha calcolato questa professionalità in 2 ore al giorno per ciascun laureato in farmacia, che tradotto in termini meramente economici si quantifica in un impegno di 10.000 euro per ogni collaboratore laureato a farmacia in un anno. Inoltre le farmacie hanno investito, e continuano a farlo, moltissimo nella prevenzione sanitaria e contribuisco alla coesione sociale della comunità in cui operano con donazioni economiche per una cifra nazionale che supera i 12 milioni di euro e ulteriori donazioni di farmaci per 6 milioni”, prosegue.

“Credo che la conoscenza del Bilancio sociale della Farmacia meriti particolare attenzione perché a volte, e non parlo del cittadino, quello che si ha sotto gli occhi non viene percepito nel suo reale valore. I diversi e continui tentativi da parte di certa politica di distruggere il sistema-farmacia non vede o, peggio, non vuole tenere conto di quanto evidenziato dai dati riportati. In sintesi emerge la necessità che la farmacia venga riconosciuta e le debba essere data la possibilità di svolgere completamente la sua attività nel contesto socio sanitario in cui è inserita. Non è certo impoverendola o rendendola un mero esercizio commerciale, cosa ripeto, voluta da una certa parte della politica, che la farmacia potrà svolgere appieno il suo compito specie nei piccoli paesi, nei quartieri, ma anche nei centri storici. Il ruolo socio-sanitario della farmacia va garantito, non distrutto, sia nel quotidiano che nell’emergenza, come è palesemente emerso nelle zone del centro Italia gravemente colpite in questi mesi da una serie di avversità catastrofiche”.


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Fare volontariato da ragazzi apre le porte a una “vecchiaia” socialmente più attiva. Uno studio condotto negli USA ha seguito quasi 2 mila persone dall’età del liceo ai 72 anni. Facendo emergere questa evidenza.

Le persone con il passare degli anni tendono ad essere meno coinvolte nelle attività sociali e della comunità. Tuttavia questo aspetto è meno evidente in coloro che negli anni della scuola superiore erano più attivi e socialmente aperti. E’ quanto emerge da uno studio pubblicato dal Journal Gerontology Social Science.

“La partecipazione a gruppi di volontariato è particolarmente importante per gli anziani che non ricoprono altri incarichi sociali, – ha osservato Emiliy Greenfield, professore associato di lavoro sociale presso la Rutgers University a New Brunswick e autrice principale dello studio– Incoraggiare i giovani a diventare cittadini impegnati civilmente è importante non solo quando si è giovani, per un bisogno immediato, ma perché potrebbe avere ripercussioni negli anni a venire”.

Lo studio
Per vedere se l’impegno giovanile nel volontariato fosse effettivamente legato a un maggior coinvolgimento sociale nel corso della vita, i ricercatori hanno utilizzato i dati di uno studio che ha seguito 1.957 diplomati delle scuole superiori del Wisconsin fino all’età di 72 anni. Lo studio ha fatto un check dei partecipanti a 36, 54, 65 e 72 anni di età, informandosi sul coinvolgimento nei gruppi comunitari, religiosi, sindacali, scolastici, sportivi, politici, caritatevoli e assistenziali. I risultati hanno evidenziato che la partecipazione al volontariato era mediamente più elevata attorno ai 30-40 anni per poi diminuire verso i 60-70 anni. Il coinvolgimento comunitario è cresciuto rapidamente tra i 36 e i 45 anni, continuando ad aumentare fino ai 54 circa. A questa età è iniziato a diminuire fino a toccare i livelli più bassi attorno ai 72 anni di età. Un dato però è certo: chi è stato coinvolto in attività extrascolastiche ai tempi del liceo ha avuto maggiori probabilità di rimanere coinvolto nelle attività comunitarie per tutta la vita, specie se è stato impegnato in più di un’attività.

Fonte: Journal Gerontology Society Science
Madeline Kennedy


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Alla campagna informativa è legata la raccolta fondi con sms solidale al 45544 dal 3 al 20 febbraio. I fondi raccolti contribuiranno a realizzare un Numero Verde EpaC a disposizione dei cittadini, promosso dall’Associazione come strumento fondamentale per essere ancora più vicina alle persone colpite da Epatite C, ai loro familiari che necessitano di un’informazione accurata sulla malattia, sulle possibili cure e sui modi e luoghi dove ottenerle.

Le stime più aggiornate dicono che in Italia circa 300.000 persone hanno una diagnosi di Epatite C; ogni anno sono circa 1.200 i nuovi casi di contagio diagnosticati. Dal 2015 sono finalmente disponibili cure efficaci e risolutive, ma il virus dell’Epatite C è ancora diffuso. In Italia sono circa 10.000 le persone che ogni anno muoiono a causa dell’Epatite C e delle gravi complicanze che da essa derivano (come cirrosi e tumore del fegato).

EpaC onlus lancia “Vogliamo Zero Epatite C” Campagna di informazione e sensibilizzazione sulla malattia, sulle sue gravi conseguenze e sulle nuove efficaci cure, oggi finalmente disponibili. La Campagna sarà veicolata su tutti i mezzi di informazione e supportata da uno spot istituzionale e da videoappelli realizzati grazie all’impegno a sostegno di EpaC di numerosi testimonial: il capitano del Milan e centrocampista della Nazionale, Riccardo Montolivo; l’attaccante della Lazio e della Nazionale Italiana Ciro Immobile; l’allenatore ed ex calciatore Hernán Crespo, il campione olimpico, oro nel Fioretto a Rio 2016, Daniele Garozzo, il giornalista sportivo Gianluca di Marzio e la conduttrice e scrittrice Rosanna Lambertucci.

L’iniziativa ha il patrocinio di Lega Serie A e avrà visibilità sui campi di gioco nella 23ma giornata di Campionato il 4, il 5 e il 7 febbraio.

Alla campagna informativa è legata la raccolta fondi con sms solidale al 45544 dal 3 al 20 febbraio. I fondi raccolti contribuiranno a realizzare un Numero Verde EpaC a disposizione dei cittadini, promosso dall’Associazione come strumento fondamentale per essere ancora più vicina e raggiungibile per le persone colpite da Epatite C, dai loro familiari che necessitano di un’informazione accurata e autorevole sulla malattia, sulle possibili cure e sui modi e luoghi dove ottenerle.

Al Numero Verde, che l’Associazione vuole realizzare con il contributo di tutti, risponderanno operatori dell’Associazione EpaC, in collaborazione con Infettivologi e Gastroenterologi qualificati, specializzati nell’attività di counselling in grado di fornire sostegno e indicazioni utili e scientificamente corrette prima e dopo la diagnosi di Epatite C, indirizzando le persone ai centri qualificati più vicini e seguendole durante il percorso di un’eventuale terapia.

Curare l’Epatite C è possibile. Oggi il 95% delle persone con questa malattia può essere completamente guarito dall’infezione con un ciclo terapeutico di 3-6 mesi attraverso la somministrazione di farmaci per via orale, chiamati antivirali ad diretta, con effetti collaterali minimi se non assenti.

In Italia, negli ultimi due anni su un totale stimato di 300.000 pazienti con Epatite C circa 66 mila malati hanno potuto accedere alle cure con i nuovi farmaci garantite dai protocolli del Servizio Sanitario Nazionale, guarendo totalmente dall’infezione. Si tratta di una vera rivoluzione scientifica. Ma non basta.

Proprio in virtù di questa rivoluzione terapeutica, l’OMS – Organizzazione Mondiale della Sanità ha recentemente messo a punto una strategia globale per l’eliminazione dell’Epatite C nel mondo e si è posta importanti obiettivi per il 2030: ridurre le nuove infezioni di epatite virale del 90% e ridurre il numero di morti a causa di epatite virale del 65%.

“Dobbiamo agire velocemente per informare tutti quei pazienti che hanno l’Epatite C ma ancora non si sono recati presso un centro specializzato per agevolare il loro percorso terapeutico sino alla guarigione, evitando che la malattia peggiori – dichiara Ivan Gardini presidente di EpaC -. Quella dell’OMS è una strategia ambiziosa, ma abbiamo gli strumenti per raggiungere gli obiettivi annunciati. Ad oggi non esiste un vaccino per l’Epatite C, ma l’introduzione dei nuovi farmaci antivirali ad azione diretta, rende possibile la guarigione della quasi totalità dei pazienti trattati entro 3-6 mesi. Ci aspettiamo che le autorità sanitarie garantiscano in tempi molto brevi e una volta per tutte l’accesso a questi nuovi farmaci per tutti i pazienti eleggibili ad una cura”.


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