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Lo stabilisce uno studio dell’Università della California di San Diego che ha preso in esame 1.500 donne della Women’s Health Initiative. Fare mezz’ora di attività fisica al giorno, protegge da questo invecchiamento precoce, anche chi trascorre gran parte della giornata seduto. Un invito ad iniziare lo sport da ragazzini e a continuare a praticarlo anche dopo gli 80 anni

Una maniera certa per invecchiare? Stare troppo seduti e dedicare troppo poco tempo all’attività fisica. E’ il messaggio che arriva da uno studio della University of CaliforniaSan DiegoSchool of Medicine, pubblicato su American Journal of Epidemiology.

I risultati dello studio non lasciano adito a dubbi: le donne anziane che trascorrono più di 10 ore della loro giornata sedute e che fanno pochissima attività fisica presentano cellule che sono di ben 8 anni più ‘vecchie’ da un punto di vista biologico, rispetto alle coetanee più attive.

Il problema risiede nei loro telomeri, che come parte del normale processo di invecchiamento, si accorciano e si sfilacciano; ma nelle persone dedite ad attività poco salutari quali il fumo o nei soggetti obesi questo processo subisce un’accelerazione. E non è un bene perché oltre che all’invecchiamento, l’accorciamento dei telomeri correla con le malattie cardiovascolari, con il diabete e con la maggior parte dei tumori.

“La nostra ricerca ha dimostrato – spiega il primo autore dello studio Aladdin Shadyab, Department of Family Medicine and Public Health presso la UC San Diego School of Medicine – che le cellule invecchiano precocemente se si conduce una vita sedentaria ed è noto da tempo che l’età anagrafica non sempre va di pari passo con quella biologica”.

Lo studio ha coinvolto circa 1.500 donne di età compresa tra i 64 e i 95 anni, reclutate tra quelle che partecipano alla Women’s Health Initiative (WHI), uno studio longitudinale condotto negli Usa allo scopo di individuare le cause delle patologie croniche nelle donne in post-menopausa. Alle donne partecipanti allo studio californiano è stato chiesto di compilare dei questionari e di indossare un accelerometro (posizionato sull’anca destra) notte e giorno per una settimana, allo scopo di monitorare i loro movimenti.

“Questo ha consentito di scoprire che le donne che trascorrono molto tempo sedute, se fanno esercizio fisico almeno mezz’ora al giorno (che è quanto viene raccomandato dalle linee guida americane) non presentano questa accelerazione nell’accorciamento dei telomeri. Bisognerebbe dunque cominciare a fare attività fisica sin da giovani e proseguirla come componente normale della vita quotidiana per tutta la vita. Anche a 80 anni”.


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Tutti gli operatori sanitari – e in particolar modo quelli che lavorano per il Ssn – sono eticamente «obbligati a informare, consigliare e promuovere le vaccinazioni in accordo con le più avanzate evidenze scientifiche». Diffondere informazioni non provate, invece, è «moralmente deprecabile» e «costituisce grave infrazione alla deontologia professionale».

E’ uno dei passaggi più controversi del Piano nazionale vaccini 2017-2019, elaborato dal ministero della Salute e approvato ieri dalle Regioni a braccia aperte.

«E’ una giornata importante» ha commentato il presidente della Conferenza delle Regioni, Stefano Bonaccini «Il tema vaccinazioni è fondamentale per un approccio serio in termini di prevenzione, sia rispetto al riaffacciarsi di patologie che credevamo ormai definitivamente superate, sia rispetto alle coperture necessarie per altre gravi malattie e per le fasce più deboli della popolazione».

Il sì unanime delle Regioni si spiega anche con l’accoglimento della loro richiesta di dare maggiore gradualità al nuovo calendario vaccinale, più esteso del precedente. Non in tutte le Regioni, quindi, sarà subito accessibile la nuova offerta di vaccini introdotta dal Piano: da una parte la profilassi per pneumococco, meningococco, varicella, vaccino anti-Hpv, dall’altra i vaccini (gratuiti per fascia d’età e per categorie a rischio) contro meningococco B e rotavirus, varicella (secondo anno e poi 5-6 anni), Hpv nei maschi 11 enni, Ipv meningo tetravalente, pneumococco e zoster.

Il nuovo calendario, ha assicurato il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, sarà operativo in poche settimane: «Bisogna aspettare la pubblicazione in gazzetta» ha detto ieri «da quel momento entra in vigore. Poi ci la sarà circolare che darà indicazioni su come procedere e il riparto del fondo (di 800 milioni, ndr)».

Il Codacons, invece, ha già annunciato ricorso davanti al Tar per quei passaggi del Piano che «aprono la strada a una legge nazionale diretta a rendere la vaccinazione un prerequisito per la frequenza ad asili e scuole».


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Dal fumo di sigaretta, all’uso eccessivo di detersivi, candele o incensi. Dai mobili nuovi a vernici, disinfettanti, solventi e muffe. Sono solo alcune delle tanti fonti di inquinamento dell’aria presenti normalmente in casa e che possono costituire un rischio per la nostra salute. A indicare alcune semplici regole da seguire è l’opuscolo “L’aria della nostra casa, come migliorarla?”, pubblicato sul portale dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss).

L’inquinamento non è solo fuori dalle nostre case e provocato dalle emissioni di auto, caldaie e camini, ma anche dentro le nostre abitazioni e, in generale, nei luoghi chiusi, ovvero “indoor”.

Il primo consiglio è non fumare dentro casa. Una corretta abitudine è invece quella di areare spesso gli ambienti, in particolare quando si cucina o si utilizzano prodotti per la pulizia, dopo la verniciatura di una stanza e in caso si abbiano animali domestici, ma anche in presenza di nuovi mobili da arredo, «poiché potrebbero rilasciare inquinanti chimici per lungo tempo». Limitare l’uso di insetticidi, utilizzare con attenzione prodotti da bricolage come colle, solventi e sigillanti. Nello scegliere le vernici con cui tinteggiare preferire quelle a basse emissioni, come riportato su etichetta. E’ buona norma poi pulire con cadenza i filtri dei condizionatori e far prendere aria ai vestiti ritirati dalla lavanderia prima di riporli nell’armadio. E ancora lavare con regolarità tende e tappezzerie ed evitare temperatura e umidità troppo elevate perché possono favorire la formazione di muffe e acari. Infine non eccedere con l’utilizzo di prodotti di pulizia, detergenti e detersivi, incensi e candele profumate.

«Il pulito – spiega la guida – non ha odore. Preferire aceto e bicarbonato e lasciare prodotti più aggressivi», come candeggina e ammoniaca, «solo quando strettamente necessario».

ANSA


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Un gruppo di psicologhe di università inglesi e australiane pubblica su Trends in cognitive sciences una sorta di call to action per gli psicologi di tutto il mondo. È arrivato il momento di attingere a piene mani ai database dei social network e della messaggistica online, infiocchettata di emoticon ed emoji. Miniere di informazioni gratuite e alla portata di tutti. E la psicologia del terzo millennio diventa inevitabilmente ‘cyber’

Trovare nuove chiavi interpretative del comportamento umano, leggendolo attraverso i comportamenti online, così pervasivi nella nostra società digitale. Questa la proposta di un gruppo di psicologhe di università inglesi e australiane (Linda K. Kaye, Helen J. Wall e Stephanie A. Malone) autrici di un lavoro pubblicato su Trends in cognitive sciences (Cell press).

La comunicazione, attività vitale per tutti, si avvale di comportamenti verbali e non verbali, questi ultimi spesso più importanti e portatori di significato della comunicazione verbale.

Traslando questi concetti alla comunicazione scritta, che ha avuto un boom nella forma prima degli SMS (Short Message Service) poi sulle varie piattaforme dei social network, è evidente che i semplici messaggi di testo non avrebbero potuto sopravvivere a lungo in modalità basic.

E se siti quali Instagram hanno da subito fatto delle immagini il loro cavallo di battaglia e il principale mezzo di comunicazione, per tutti gli altri social network, e a maggior ragione per i messaggi di testo via SMS o whatsapp, si è assistito nel tempo all’inarrestabile boom delle emoji.

Certo, le faccine sorridenti e i disegnini naive, non sono così efficaci da vicariare l’interazione del faccia a faccia di un incontro reale o anche virtuale, come quello di una videochiamata. Ma di fatto, che le emoji sono entrate di prepotenza nella quotidianietà della messaggistica e non accennano a tramontare. Anzi, il loro repertorio si arricchisce e si amplia periodicamente.

Gli antenati delle emoji sono le emoticon, nate negli anni ’80 come ‘faccine’ disegnate con i segni di interpunzione (come lo smile 🙂 o la faccina arrabbiata 🙁 ). Solo negli anni ’90 un’azienda giapponese inventa le emoji, i pittogrammi colorati destinati ai telefoni cellulari. E oggi, a distanza di una ventina d’anni, si calcola che ad usarle sia oltre il 90% della popolazione.

Una fonte di informazione preziosa dunque e sebbene le ricerche sull’uso di emoticon/emoji sia ancora agli albori, gli esperti ritengono che siano strumenti preziosi per sondare la personalità dei loro utilizzatori. Una data base sterminato insomma alla portata di tutti, vista l’accessibilità di molte piattaforme online, e la possibilità di esplorare il comportamento umano attraverso la lente della contemporaneità.

“Lavori pionieristici sull’analisi cognitiva delle emoticon – scrivono le tre psicologhe – rivelano che possono servire come utili forme di comportamento non verbale, oltre a rivelare nuovi aspetti dei meccanismi cognitivi e neurali coinvolti nella comunicazione digitale.” Alcuni studi ad esempio sono andati alla ricerca dei neurocorrelati delle frasi infiocchettate di emoticon per capire quali regioni cerebrali siano coinvolte in questa forma di comunicazione a metà tra il verbale e il non verbale. Pare che ad attivarsi siano sia il giro frontale inferiore destro, che il sinistro (quest’ultimo coinvolto soprattutto in compiti verbali).

Dal punto di vista dei rapporti interpersonali, le emoji sono eccellenti strumenti di disambiguazione, in grado ad esempio di chiarire il tono di un determinato messaggio. E per questo sono considerate un po’ alla stregua della comunicazione non verbale veicolata dai gesti o dalle espressioni del viso durante un discorso. Le emoji insomma danno quella pennellata di emozioni che si viene spesso a perdere in assenza di un’interazione faccia a faccia e forniscono agli utilizzatori una ‘tavolozza’ alla quale attingere  per chiarire l’aspetto emotivo di un concetto.

“I dati digitali – scrivono le autrici – forniscono un modo nuovo ed eccitante per riesaminare molti concetti psicologici relativi a percezione e comunicazione, comprese le espressioni emotive, la mimica emotiva, la valutazione emotiva, la pragmatica e la scoperta delle intenzioni. Facendo un’analisi comparata dei comportamenti faccia a faccia con quelli online sarà possibile stabilire se i comportamenti attuali,  come l’utilizzo delle emoji, possano essere considerati vere forme di emozione a livello neurologico e interpersonale”.

In conclusione, le interazioni virtuali sono sempre più comuni nella vita quotidiana e rappresentano una miniera di informazioni pronta per essere utilizzata da addetti ai lavori e non solo.
E l’invito ai ricercatori di tutto il mondo è dunque quello di studiare i comportamenti online della gente per cercare di svelare nuovi meccanismi in grado di migliorare la nostra comprensione del comportamento umano.


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Chi trasmette le paure ai bambini? Se un secolo di psicanalisi ha messo sul banco degli “imputati” i genitori, un nuovo studio inglese evidenzia come un ruolo importante possa essere esercitato anche dagli amici. E ci sono differenze di genere: le bambine sono meno suggestionabili.

Per valutare il “vissuto” delle paure dei bambini, un gruppo di ricercatori inglesi ha preso in considerazione una coorte di 236 bambini, 106 maschi e 136 femmine. Gli studiosi hanno fornito ai bambini – di un’età compresa tra i sette e i 10 anni – informazioni su animali dall’aspetto spaventoso e hanno valutato come si sentivano stando da soli e dopo che ne avevano parlato con gli amici. Dopo aver parlato con i piccoli amici, i bimbi tendevano a cambiare le loro opinioni per farle combaciare a quelle degli altri bambini.

“Alcuni studi mostrano che i bambini tendono a scegliere amici che hanno caratteristiche simili a loro e che possono diventare ancora più simili tramite le interazioni”, dice Jinnie Ooi, autrice principale dello studio e ricercatrice di psicologia presso la University of East Anglia nel Regno Unito. “Nel nostro studio abbiamo osservato che gli amici presentavano livelli analoghi di sintomi ansiosi e risposte alla paura ancor prima di discuterne insieme, e che dopo la discussione le paure diventavano ancora più simili”.

I bambini hanno completato questionari mirati alla valutazione dell’ansia e delle convinzioni alla base della paura. Inoltre, ai partecipanti sono state mostrate le foto di due marsupiali australiani poco conosciuti: il cuscus e il quoll. I ricercatori hanno letto ai bambini due versioni delle informazioni sugli animali; una neutra e una che descriveva questi animali come pericolosi. Gli studiosi hanno quindi valutato come si sentivano i bambini alla vista di ogni animale quando erano da soli e, successivamente, hanno chiesto loro di parlare di questi animali con gli amichetti.

Per capire come si sentissero i piccoli dopo le discussioni, i ricercatori li hanno dotati di mappe che mostravano gli animali su un sentiero e hanno chiesto loro di segnare il punto in cui avrebbero voluto essere nell’immagine. Quelli che si sono messi molto distanti dagli animali mostravano un tentativo di evitare gli animali, un chiaro indicatore di paura. Dopo aver parlato con gli amici, i bimbi tendevano ad avere risposte alla paura simili a quelle dei loro amici. Ma con differenze di genere. Quando la discussione avveniva tra due maschi, essi tendevano a presentare un notevole incremento nella paura dopo aver parlato, mentre le coppie di bimbe hanno mostrato una significativa riduzione delle convinzioni sulla paura anche quando hanno ricevuto informazioni minacciose.

”I disturbi d’ansia durante l’infanzia sono tra i problemi psicologici più comuni nei bambini preadolescenti”, ha concluso Ooi. “Il nostro studio può essere utile nel prevenire i problemi d’ansia, per esempio attraverso un lavoro nelle scuole, e per individuare schemi di trattamento in contesti clinici per disturbi legati all’ansia nell’età infantile”.

Fonte: Behaviour Research and Therapy 2016


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Assumere integratori di vitamine e minerali in gravidanza potrebbe potenziare lo sviluppo cognitivo del nascituro con effetti a lungo termine, facendogli guadagnare in termini di abilità cognitive fino a “un anno in più di intelligenza”, all’età di 9-12 anni.

E’ quanto emerso da una ricerca condotta in Indonesia, pubblicata sulla rivista Lancet Global Health e frutto di una collaborazione mondiale di istituzioni prestigiose tra cui la Harvard T.H. Chan School of Public Health a Boston.

Il lavoro ha coinvolto decine di migliaia di donne che in gravidanza avevano assunto o integratori multivitaminici o solamente ferro più acido folico (ferro folina). Dopo parecchi anni, quando i figli di queste donne avevano ormai tra i 9 e i 12 anni, le loro abilità cognitive sono state esaminate con test ad hoc.

E’ emerso che i figli di donne che avevano assunto multivitaminici in gravidanza presentavano un livello di memoria procedurale (la memoria di come si fanno le cose e di come si usano gli oggetti) maggiore rispetto a coetanei le cui mamme avevano assunto solo ferro-folina. A parità di età, il punteggio dei primi è più alto di un valore pari alla crescita mnemonica osservabile normalmente in sei mesi. Più in generale i primi avevano capacità cognitive maggiori dei coetanei le cui mamme avevano preso solo ferro folina, con differenze pari a quelle osservabili nel bambino dopo un anno scolastico.

ANSA


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Dall’inizio della stagione influenzale è ormai di oltre tre milioni il numero di italiani costretti a letto dall’influenza. Un numero raggiunto con grande anticipo rispetto allo scorso anno, quando era stato toccato a marzo.

A spiegarlo dall’ANSA è Antonino Bella, responsabile del bollettino di sorveglianza epidemiologica delle sindromi influenzali Influnet, coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità (Iss). Un super lavoro per gli studi dei medici di famiglia, presso cui sono triplicate le consultazioni e le visite a domicilio.

Più aggressiva degli anni passati, l’influenza «viaggia verso il picco dei contagi, che potrebbe arrivare – spiega Bella – già per la prossima settimana». Presso gli studi dei medici di famiglia, spiega Claudio Cricelli, presidente della Società italiana di Medicina Generale (Simg) «c’è stato un afflusso straordinario in breve periodo di tempo, iniziato durante le vacanze natalizie». Di fatto, precisa «in circa 2 mesi e mezzo 48mila medici si sono fatti carico di 5 milioni di persone affette da influenza o sindromi similinfluenzali e relative complicanze meno gravi. In alcuni casi facendo anche 10 visite domiciliari al giorno, il triplo rispetto al solito. E anche le consultazioni ambulatoriali sono più che triplicate».

ANSA


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La conferma delle proprietà benefiche del peperoncino arriva questa volta da uno studio americano. Il merito è forse della capsaicina, che oltre a dare il gusto del ‘piccante’, modula il circolo coronarico, sembra avere un effetto anti-obesità e forse seleziona un microbiota intestinale particolare. Necessari comunque ulteriori studi clinici per chiarire i meccanismi alla base degli effetti salutari del peperoncino

Buone notizie per gli amanti della cucina piccante. Un ampio studio realizzato dal Larner College of Medicine dell’Università del Vermont giunge infatti alla conclusione che il consumo di peperoncino si associa ad una riduzione di mortalità del 13%, soprattutto sul fronte cardiovascolare (ictus e infarti).

E’ una notizia che viene a confermare quanto già evidenziato da uno studio cinese pubblicato nel 2015 e che in qualche modo porta acqua alle credenze popolari, che si perdono nei secoli, circa un effetto salutare del peperoncino piccante nei confronti di una serie di malattie. Basandosi sulle teorie di Ippocrate e Galeno ad esempio, in epoca medievale si riteneva che le spezie potessero aiutare a ripristinare gli squilibri umorali alla base delle malattie.

La ricerca americana appena pubblicata su Plos One ha attinto ai dati del National Health and Nutritional Examination Survey (NHANES) III relativi ad oltre 16 mila cittadini americani seguiti per un periodo di 23 anni. Su questa enorme banca dati gli autori dello studio sono andati ad effettuare una selezione, in base al consumo o meno di peperoncino piccante.

L’identikit dell’amante della cucina ‘spicy’ è risultato essere maschio, bianco, giovane, messicano-americano, sposato, fumatore, consumatore di alcol, di verdure e carne, con basso colesterolo HDL, di basso reddito e non particolarmente istruito. Caratteristiche insomma non proprio da oscar della prevenzione.

Sono stati quindi esaminati dati relativi ad un follow-up di 18,9 anni relativamente alla mortalità e alle varie cause che avevano determinato i decessi. E il risultato è stato appunto quello di una netta riduzione di mortalità (-13%), in particolare da cause cardio-vascolari, nei consumatori di peperoncino.

I meccanismi attraverso i quali il peperoncino piccante esercita questo effetto protettivo sono noti, ma gli autori dello studio suppongono che un certo ruolo potrebbe essere giocato dai canali TRP (Transient Receptor Potential), che fungono da recettori per le sostanze piccanti, quali la capsaicina (contenuta nel peperoncino). L’attivazione del TRP tipo 1 vanilloide (TRPV1) sembra in grado di stimolare una serie di meccanismi cellulari anti-obesità, intervenendo sul catabolismo lipidico e sulla termogenesi.

Sono state prodotte evidenze scientifiche a favore di un’azione benefica della capsaicina nel prevenire l’obesità, l’ipercolesterolemia (attraverso un aumento del metabolismo dei lipidi), il diabete di tipo 2 e l’ipertensione. Questa sostanza contenuta nel peperoncino interverrebbe inoltre nella modulazione del flusso coronarico; senza contare le sue proprietà anti-batteriche, che secondo gli autori potrebbero contribuire a selezionare un microbiota intestinale particolare, oltre che a proteggere dall’Helicobacter pylori e da altri funghi e batteri.

“I risultati del nostro studio – concludono gli autori – confermano quanto già evidenziato da studi precedenti, ovvero gli effetti favorevoli per la salute del peperoncino e del cibo piccante. Il consumo di questi cibi potrebbe dunque entrare nelle raccomandazioni dietetiche, mentre queste osservazioni dovrebbero portare ad organizzare ulteriori ricerche, anche sotto forma di trial clinici, per chiarire i meccanismi alla base di questi effetti”.


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L’intesa regolamenta la somministrazione di farmaci a scuola, di ogni ordine e grado, pubblica e parificata. Saccardi: “Vogliamo consentire a tutti i ragazzi di frequentare la scuola, anche in presenza di patologie particolari, e vogliamo garantire che avvenga nella massima sicurezza e tranquillità”

Somministrazione dei farmaci a scuola, la Toscana è pronta per partire in maniera omogenea in tutte le scuole della regione. Un decreto approvato dalla giunta a fine dicembre ha definito tutta la modulistica necessaria per consentire la somministrazione di farmaci a bambini  e ragazzi nei locali e in orario scolastico. In sostanza, gli strumenti operativi per mettere in pratica l’accordo di collaborazione siglato nel maggio 2015 tra Regione Toscana, Ufficio Scolastico Regionale e Anci.

Per perfezionare l’accordo, lo scorso 8 gennaio è stata siglata anche un’intesa tra Ufficio Scolastico Regionale per la Toscana e Federazione Regionale Toscana degli Ordini dei Medici: intesa che regolamenta anche la somministrazione di farmaci a scuola, di ogni ordine e grado, pubblica e parificata.

La modulistica, spiega la Regione in una nota, prevede una richiesta da parte dei genitori al dirigente scolastico per la somministrazione di farmaci nei locali e in orario scolastico; la certificazione della necessità della terapia, fatta dal pediatra o dal medico curante; il piano terapeutico con il nome del farmaco indispensabile o salvavita, le modalità di somministrazione e di conservazione; il verbale di consegna del farmaco da parte dei genitori alla scuola.

A somministrare il farmaco, può essere qualcuno del personale scolastico, se l’attività non richiede cognizioni specialistiche di tipo sanitario. Se invece queste cognizioni specialistiche sono necessarie, la Asl competente dovrà individuare il personale e le modalità per garantire l’assistenza sanitaria qualificata. La direzione scolastica dovrà attivarsi con la Asl di riferimento, per concordare l’attivazione, da parte dell’istituzione sanitaria, di corsi di formazione specifici per i personale che si è dichiarato disponibile alla somministrazione del farmaco.

“Nella vita scolastica di tutti i giorni possono verificarsi casi di episodi acuti per cui è necessaria la somministrazione tempestiva di un farmaco salvavita – dice l’assessore al diritto alla salute Stefania Saccardi – O, più semplicemente, può essere necessario dare con regolarità a un alunno un farmaco che gli è indispensabile per una determinata patologia. Noi vogliamo consentire a tutti i ragazzi di frequentare la scuola, anche in presenza di patologie particolari, e vogliamo garantire che questo venga fatto nella massima sicurezza e tranquillità: per loro, per le loro famiglie e per il personale scolastico”.

“L’accordo di collaborazione per la somministrazione dei farmaci a scuola è un passo importante per garantire agli studenti con particolari patologie, ed alle loro famiglie, di poter frequentare in sicurezza e tranquillità la scuola – afferma l’assessora regionale all’istruzione Cristina Grieco – L’approvazione di una modulistica univoca ed utilizzabile in modo omogeneo su tutto il territorio regionale rende operativi  gli strumenti da utilizzare da parte di tutti i soggetti coinvolti: famiglie, scuole, medici, insegnanti. Abbiamo quindi portato a fine un fondamentale lavoro di collaborazione tra le parti – conclude Grieco – che ha reso possibile questo risultato, costruito nel rispetto delle competenze e delle responsabilità di tutti i soggetti coinvolti, e nel contempo mantenendo la consapevolezza e la sensibilità necessaria nel trattare una materia così delicata e per garantire l’effettività del diritto allo studio”.

“Pensiamo che sia stato raggiunto un importante obiettivo per i nostri alunni e per le loro famiglie – è il commento di Domenico Petruzzo, direttore generale dell’Ufficio Scolastico Regionale – perché la somministrazione in orario scolastico di farmaci indispensabili e di farmaci salvavita è un problema complesso in tutta la penisola; pur non essendo il campo della salute competenza del sistema istruzione, con la modulistica approvata abbiamo cercato di dare un contributo importante ed una risposta concreta ai numerosi problemi delle scuole per garantire sia il diritto allo studio che il diritto alla salute”.


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C’è carenza di sangue in nove regioni, a causa soprattutto del maltempo e dell’influenza.

Lo afferma un comunicato del Centro Nazionale Sangue, secondo cui devono mobilitarsi i donatori su tutto il territorio nazionale. In totale, afferma il Centro, sono oltre 2600 le unità mancanti. La regione con le maggiori carenze è il Lazio ma situazioni critiche si registrano, secondo i dati aggiornati ad oggi, in Abruzzo, Toscana, Campania, Basilicata, Liguria, Umbria, Marche, Lazio e Puglia.

«Le cause della carenza sono multifattoriali – afferma Giancarlo Maria Liumbruno, direttore del Centro Nazionale Sangue -, ma sicuramente può aver inciso l’epidemia influenzale che, complice il calo delle vaccinazioni, ha già colpito molte più persone rispetto allo scorso anno, e si può ipotizzare che anche il maltempo stia tenendo a casa i donatori. La mobilitazione deve riguardare però tutte le regioni, non solo quelle che hanno carenze. L’autosufficienza per quanto riguarda il sangue, infatti, è sovraziendale e sovraregionale e in questi casi diventa vitale la compensazione coordinata tra regioni».

L’invito per tutti i donatori è contattare l’associazione di appartenenza. «Le Associazioni e Federazioni dei donatori di sangue – sottolinea Aldo Ozino Caligaris, portavoce protempore del CIVIS (Coordinamento Interassociativo dei Volontari Italiani del Sangue) – devono intensificare la chiamata dei donatori periodici e associati».

ANSA


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