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Il sindacato: “La restituzione delle bombole di ossigeno in farmacia è necessaria per garantire la disponibilità di ossigeno terapeutico a tutti i malati affetti da patologie respiratorie o colpiti da Covid-19”

“Se hai a casa bombole di ossigeno che non usi, riportale in farmacia”. Questo l’appello rivolto ai cittadini dalle oltre 18mila farmacie aderenti a Federfarma, in linea con quanto emerso nel corso del Tavolo di confronto avviato dall’AIFA con Federfarma e Assogastecnici (Associazione delle aziende che operano nel campo della produzione e distribuzione dei gas tecnici, speciali e medicinali) per individuare le soluzioni più idonee ad assicurare le terapie necessarie a tutti i malati in assistenza domiciliare.

Le bombole riconsegnate in farmacia, come previsto dall’AIFA, potranno essere sanificate e riempite di ossigeno terapeutico per un nuovo utilizzo.

“La restituzione delle bombole di ossigeno in farmacia è necessaria per garantire la disponibilità di ossigeno terapeutico a tutti i malati affetti da patologie respiratorie o colpiti da Covid-19” afferma il presidente di Federfarma Nazionale Marco Cossolo. “A seguito di un monitoraggio effettuato da Federfarma, abbiamo rilevato alcune difficoltà di reperimento di bombole di ossigeno per le cure domiciliari di pazienti affetti da patologie respiratorie o connesse al Covid-19”.

Le farmacie sono, come sempre, pronte ad andare incontro alle esigenze dei pazienti e dei loro familiari anche sul fronte delle cure domiciliari e a tal fine hanno dato la più ampia disponibilità a collaborare con l’AIFA per agevolare l’accesso ad un farmaco salvavita, qual è l’ossigeno terapeutico.


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Il covid 19 non viene trasmesso dalla mamma positiva al neonato durante l’allattamento

Una madre Covid positiva può trasmettere il virus durante l’allattamento? Sono stati appena pubblicati sulla rivista scientifica internazionale Frontiers in Pediatrics i risultati di una ricerca multicentrica tutta italiana su questo tema che rassicura. Coordinata dalla Città della Salute di Torino, si tratta dello studio con la casistica più numerosa finora condotto in Europa e l’unico in cui la ricerca del virus nel latte è stata abbinata alla valutazione clinica dei neonati nel periodo durante l’allattamento: i risultati saranno presentati in anteprima venerdì 2 ottobre al Meeting della European Milk Bank Association.

Sono stati analizzati i campioni di latte di 14 mamme positive al virus dopo il parto, controllando i loro neonati nel primo mese di vita. Il latte è risultato negativo al SARS-CoV-2 in 13 di questi campioni, mentre in un caso è stata identificata per un breve periodo la presenza dell’RNA virale. “Il dato più confortante – spiega una nota della Città della Salute che illustra i risultati – è stato che tutti i neonati, allattati al seno seguendo scrupolosamente le regole raccomandate in questi casi (uso della mascherina, lavaggio appropriato delle mani, pulizia e disinfezione delle superfici e degli oggetti in uso) non hanno mostrato segni di malattia. Anche quattro neonati, le cui mamme si erano ammalate subito dopo il parto, e che erano risultati positivi al virus nei primi giorni, compreso quello con presenza del  virus nel latte materno, si sono tutti negativizzati, in buona salute, nel primo mese di allattamento”.

Lo studio è stato coordinato dalla Neonatologia Universitaria dell’ospedale Sant’Anna della Città della Salute di Torino e dal Laboratorio universitario di Virologia Molecolare del Dipartimento di Scienze Cliniche e Biologiche, cui hanno partecipato, oltre alla Neonatologia ospedaliera del Sant’Anna, le Neonatologie degli ospedali Mauriziano e Maria Vittoria di Torino e quelle degli ospedali di Alessandria, Aosta e del San Martino di Genova. Le analisi molecolari sui campioni di latte sono state condotte nei Laboratori ospedalieri di Microbiologia della Città della Salute e dell’ospedale San Luigi Gonzaga.

“Questi risultati – ha commentato Bertino – sono rassicuranti per le mamme e per gli operatori sanitari che si occupano della salute della madre e del bambino. La ricerca supporta anche le recenti raccomandazioni dell’OMS che, nonostante le limitate informazioni finora disponibili, in considerazione di tutti i benefici, anche immunologici, dell’allattamento materno, lo ha recentemente raccomandato anche per le mamme positive”.

“Da diversi anni – ha aggiunto Lembo – stiamo studiando le proprietà antivirali del latte materno ed abbiamo identificato nuovi componenti attivi che potrebbero proteggere il lattante dalle infezioni virali. Anche per questo motivo, salvo poche eccezioni, l’allattamento al seno è una risorsa importante per la salute del neonato.”


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Truffe finanziarie, prodotti sanitari contraffatti, come kit di test illegali o non approvati, trattamenti non testati e presunte cure.

Se i social network hanno avuto, in particolare nelle fasi più difficili dell’emergenza, un ruolo importante di informazione, sono stati anche però al contempo terreno fertile per i raggiri.

Lo rileva una ricerca della University of California San Diego School of Medicine, pubblicata sul Journal of Medical Internet Research Public Health and Surveillance. I ricercatori hanno identificato migliaia di post sui social media in due piattaforme popolari – Twitter e Instagram – legati a truffe finanziarie e possibili merci contraffatte specifiche per coronavirus e trattamenti non approvati; da marzo a maggio 2020 quasi duemila solo negli Usa. T. Mackey, autore principale dello studio, fornisce tre suggerimenti chiave per identificare un post fraudolento o una truffa: 1-Se è troppo bello per essere vero, probabilmente non lo è.

Occorre fare attenzione quando vengono menzionate vendite all’ingrosso o rapide, prezzi economici e verificare affermazioni come l’approvazione della Fda e simili. 2- E’ probabile che sia illegale importare prodotti come i test COVID-19 da un altro paese. 3-Se il venditore sta conducendo affari o una transazione tramite messaggi diretti sui social media o un’altra applicazione di comunicazione non tradizionale, inclusi Skype o WhatsApp, probabilmente ciò che fa non è legittimo.


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L’intervento, durato 8 ore, è stato eseguito al Regina Margherita su una donna di 87 anni. Il lembo di osso prelevato dalla scapola è stato rivascolarizzato mediante tecniche microchirurgiche alle arterie e alle vene del collo, per ripristinare l’aspetto estetico e soprattutto funzionale, ricostruendo i tessuti asportati per la neoplasia.

L’equipe dell’Unità di Otorinolaringoiatria dell’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena, ha asportato un esteso tumore dell’arco della mandibola, con contestuale  ricostruzione chirurgica, alla signora M. di 87 anni che ha superato in modo brillante il delicato intervento durato 8 ore.

“E’ necessario ricostruire il deficit osseo per garantire una buona qualità di vita al paziente, specie quando particolarmente fragile e più esposto a complicanze. La rimozione dell’arco anteriore mandibolare  – ha spiegato il Direttore in una nota diffusa dall’Istituto – comporta un difetto funzionale ed estetico molto invalidante”.

“Il lembo di osso prelevato dalla scapola – ha aggiunto –  è stato rivascolarizzato mediante tecniche microchirurgiche alle arterie e alle vene del collo, per ripristinare l’aspetto estetico e soprattutto funzionale, ricostruendo i tessuti asportati per la neoplasia”.

“Siamo molto soddisfatti della riuscita dell’intervento che è sofisticato e molto raramente può essere effettuato in pazienti di età così avanzata – prosegue Pellini – . Solitamente la sede donatrice di tessuto è la gamba, che offre una porzione di osso più idonea alla ricostruzione e consente a due equipe chirurgiche di lavorare contemporaneamente. In questo caso la paziente, presentava però difficoltà alla deambulazione legate all’età e a una fisiologica degenerazione articolare. Abbiamo scelto, in accordo con la paziente e dopo consulto con i familiari, di prelevare l’osso donatore dalla scapola, nonostante le maggiori difficoltà tecniche ed esecutive”.

L’intervento, eccezionale in una paziente così anziana, non ha presentato complicanze e a distanza di pochi giorni dall’operazione M. è stata dimessa ed è tornata dalla sua famiglia.

“Questo è un ottimo esempio dell’attenzione che gli Istituti rivolgono al paziente fragile, anziano e oncologico – dichiara Francesco Ripa di Meana, direttore generale IFO. – In emergenza sanitaria da Covid19 siamo ancor più proiettati verso la continua innovazione nella ricerca clinica e nell’adozione dei massimi criteri di sicurezza a favore dei cittadini e delle prestazioni offerte.”


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L’unicità dell’intervento consiste nell’avere impiantato in una sede anatomica diversa da quella naturale, in questo caso nella milza del paziente, una sezione di fegato del donatore per consentire di crescere adeguatamente e al contempo non entrare in contatto con il fegato metastatico che avrebbe potuto compromettere anche il nuovo organo. Quando la porzione di fegato è cresciuta sufficientemente per svolgere autonomamente la propria funzione, si è proceduto alla rimozione dell’organo malato.

Al S. Orsola di Bologna unico caso al mondo di trapianto eterotopico di fegato parziale . L’intervento, ideato dal professore Matteo Ravaioli ed eseguito presso la Chirurgia Generale e Trapianti diretta dal professore Matteo Cescon, ha previsto l’impianto di una piccola porzione di fegato al posto della milza del ricevente e, quando la porzione di fegato è cresciuta sufficientemente per svolgere autonomamente la propria funzione, si è proceduto alla rimozione del fegato originario che presentava metastasi epatiche non resecabili da tumore del colon. In questo modo è stato possibile curare il tumore ed eseguire il trapianto di fegato.”Il paziente ora sta bene e conduce una vita normale senza limitazioni”, riferisce una nota del policlinico bolognese.

L’unicità dell’intervento è consistita nell’avere impiantato nella milza del paziente non un organo intero, non disponibile, ma solo una sezione di fegato del donatore per consentire di crescere adeguatamente e al contempo non entrare in contatto con il fegato metastatico che avrebbe potuto compromettere anche il nuovo organo. Quindi è stato possibile eseguire la rimozione totale dell’organo malato.

“Questo intervento chirurgico – precisa la nota – si colloca perfettamente all’interno della mission trapiantologica e oncologica del neonato IRCCS Policlinico di S. Orsola. Il nuovo Irccs, infatti, segna la strada che porterà Bologna ad avere un ruolo da protagonista a livello nazionale e internazionale nel mondo della ricerca applicata e al trasferimento dei risultati scientifici sul piano clinico ed assistenziale. Per i pazienti con patologie molto complesse che già oggi, da tutta Italia e non solo, vengono curati in questi ospedali, significa poter contare su protocolli sperimentali e ricevere i trattamenti più innovativi. Per i professionisti, sviluppare ulteriormente l’attività di ricerca anche entrando a far parte di reti internazionali”.

Protagonista del caso è un uomo di 40 anni affetto da metastasi al fegato generate da un precedente tumore all’intestino che, nonostante fosse stato sottoposto alla rimozione chirurgica, ha visto ricomparire la malattia dopo poco tempo dopo. La rimozione chirurgica non era più possibile. L’unica possibilità era l’intervento con questa nuova strategia che essendo del tutto nuova, ha richiesto una complessa ma necessaria procedura di approvazione da parte del Comitato etico del Policlinico e del Centro Nazionale Trapianti.


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L’associazione: “L’estate si conferma purtroppo, di anno in anno, una stagione insidiosa i nostri nonni”. Da qui l’appello per “prevenire e mettere in campo tutti gli strumenti che aiutino gli anziani a trascorrere questa stagione in massima serenità”.

“Non solo Covid: con l’estate crescono le condizioni di rischio per la salute dei nostri anziani. Alla situazione, già delicata per il contesto provocato dall’emergenza Coronavirus, si sommano le criticità legate alle ondate di calore, odioso nemico della salute degli anziani, che troppo spesso produce conseguenze gravi, ma in gran parte evitabili con le dovute accortezze”. È quanto sottolinea Senior Italia FederAnziani per cui “l’estate si conferma purtroppo, di anno in anno, una stagione insidiosa i nostri “nonni”. Da qui l’appello per “prevenire e mettere in campo tutti gli strumenti che aiutino gli anziani a trascorrere questa stagione in massima serenità”.

E a questo scopo Senior Italia diffonde il suo “decalogo anti caldo” con le regole fondamentali da conoscere e mettere in pratica.

Due i nemici principali: le ondate di calore appunto, che incidono direttamente sulla salute delle persone fragili, i malati cronici, gli anziani, e la solitudine, che per diverse cause colpisce maggiormente in questa stagione molti over 65. Il Ministero della Salute ha attivato, anche quest’anno, il sistema di rilevazione delle ondate di calore, e il primo consiglio è ovviamente quello di consultarlo costantemente per sapere quali saranno le giornate più a rischio e adottare di conseguenza un comportamento adeguato. Per quanto riguarda il problema della solitudine, è importante ribadire l’appello a stare il più possibile vicino agli anziani in questo periodo, adottando le adeguate misure di sicurezza. Si rende dunque necessario un doppio livello di misure preventive, utili su entrambi i fronti, caldo e Coronavirus, allo stesso tempo evitando che sia eccessivo l’impatto sul fronte psico-sociale.

“L’esperienza del Covid-19 ha portato decisamente al centro dell’attenzione pubblica il problema della fragilità degli anziani”, dichiara il Presidente Senior Italia FederAnziani Roberto Messina, “che si sono rivelati, purtroppo, molto vulnerabili rispetto al virus. Ora, è importante che questa esperienza si renda utile per una piena e consapevole tutela della salute nel suo insieme dell’anziano, e cioè che il sistema, uscendo dalla monopolizzazione da parte dell’emergenza, torni ad essere, anche più di prima, orientato alla presa in carico di tutte le fragilità, delle esigenze dei malati cronici, della prevenzione come aspetto fondamentale del sistema salute. E questo, anche a partire da una maggiore consapevolezza proprio dei soggetti più fragili, a cui è importante far giungere anzitutto l’informazione sui comportamenti adeguati da mettere in pratica in una situazione di ulteriore emergenza come quella provocata dalle ondate di calore. Bisogna evitare che anche quest’anno il grande caldo determini il drammatico bollettino di vittime fra i cittadini senior, a cui siamo purtroppo abituati. Nonostante l’allarme si ripeta di anno in anno, troppo spesso superficialità e disattenzione determinano rischi gravissimi per la salute dei più fragili. Per questo, rinnovando l’appello alla massima prudenza, vogliamo diffondere un decalogo anti-caldo con i consigli fondamentali da mettere in pratica per prevenire le peggiori conseguenze”.

Ecco il decalogo di Senior Italia FederAnziani per far fronte all’emergenza caldo:

1) Non uscire nelle ore più calde della giornata, ovvero dalle 12 alle 17.

2) Bere almeno un litro e mezzo di liquidi al giorno, in modo da reintegrare le perdite quotidiane di sali minerali. Evitare bevande alcoliche, gassate, troppo zuccherate e troppo fredde. Non eccedere con caffè o tè.

3) Consumare pasti leggeri. Preferire pasta, frutta, verdura, gelati alla frutta. Evitare cibi grassi e piccanti.

4) Arieggiare l’ambiente dove si vive, anche con l’uso di un ventilatore, evitando di esporsi alla ventilazione diretta.

5) Tenere il capo riparato dal sole.

6) Indossare abiti leggeri, non aderenti, di colore chiaro e tessuti naturali perché le fibre sintetiche ostacolano il passaggio dell’aria.

7) Non esporsi al sole in modo prolungato. Se, in seguito a un’eccessiva esposizione, dovesse insorgere mal di testa, fare impacchi con acqua fresca per abbassare la temperatura corporea.

8) Non restate all’interno di automobili parcheggiate al sole.

9) Non interrompere le terapie mediche, né sostituire i farmaci che si assumono abitualmente, di propria iniziativa. Consultare sempre il medico per ogni eventuale modifica delle cure che si stanno seguendo.

10) Se è possibile, è consigliabile andare in vacanza in località collinari o termali.

E infine, undicesima e non meno essenziale regola, l’esortazione di Senior Italia FederAnziani rivolta ai familiari, amici, figli, nipoti dei nostri insostituibili ‘nonni’: “Non lasciateli soli!”, dichiara il Presidente Messina, “State vicino ai nostri senior, sempre nel rispetto delle regole di sicurezza che si rendono necessarie nel contesto della problematica Covid. Questo invito è valido sempre, ma a maggior ragione in questo periodo dell’anno in cui le condizioni climatiche rendono loro la vita più difficile. Non smettete di chiamarli al telefono e, quando possibile, attraverso tutti gli strumenti digitali a disposizione. Anche una videochiamata può essere un segno di vicinanza eccezionale. Non vi stancate di chiedere se hanno bisogno di qualcosa, perché a loro è impedito uscire di casa per gran parte della giornata a causa dell’eccessiva calura. E provvedete voi ai loro bisogni essenziali quando non è possibile che lo facciano da soli. Ricordategli di seguire le terapie e controllate che non le interrompano o modifichino senza consultare il proprio medico, perché questo potrebbe aggiungere un ulteriore grave rischio a una situazione già complessa. E se è possibile, portateli in vacanza con voi! Date loro una mano per vivere un’estate serena e assicuratevi che seguano le regole fondamentali del nostro decalogo ‘salva-vita’. Non abbandonateli, perché i nostri anziani sono un patrimonio insostituibile”.


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Intervento straordinario preparato in oltre un anno di studio e in più fasi chirurgiche. Le bambine erano craniopaghe totali, una tra le più rare e complesse forme di fusione cranica e cerebrale. Avevano in comune le ossa dell’area posteriore del cranio e il sistema venoso. Ora stanno bene

Separate con successo all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù due gemelline siamesi centrafricane unite per la testa. È il primo caso in Italia – e probabilmente l’unico al mondo (in letteratura non sono descritte operazioni simili) – di intervento riuscito su una coppia di ‘craniopagi totali posteriori’, una tra le più rare e complesse forme di fusione a livello cranico e cerebrale.

Posizionate nuca contro nuca, avevano in comune la scatola cranica e gran parte del sistema venoso. Oltre un anno di preparazione e di studio con l’ausilio di sistemi di imaging avanzato e di simulazione chirurgica, culminato in tre interventi delicatissimi. L’ultimo, la separazione definitiva, il 5 giugno scorso, con un’operazione di 18 ore e l’impegno di oltre 30 persone tra medici e infermieri. A un mese di distanza le bambine stanno bene, hanno appena compiuto 2 anni e sono ricoverate nel reparto di Neurochirurgia dell’Ospedale della Santa Sede in due lettini vicini, una accanto all’altra, insieme alla loro mamma.

Nel luglio del 2018 la Presidente del Bambino Gesù, Mariella Enoc, era in missione in Centrafrica, nella capitale Bangui, per seguire i lavori di ampliamento della struttura pediatrica voluta da Papa Francesco. È lì che incontra le due gemelline appena nate e decide di farsene carico, portandole a Roma, per dare loro maggiori possibilità di sopravvivenza. “Quando si incontrano vite che possono essere salvate, va fatto. Non possiamo e non dobbiamo voltare lo sguardo dall’altra parte” ha detto la presidente Enoc oggi durante la conferenza stampa di presentazione dell’intervento.

Ervina e Prefina erano venute alla luce pochi giorni prima, il 29 giugno, nel centro medico di Mbaiki, un villaggio a 100 km da Bangui. Nessuna indagine prenatale: la mamma Ermine e i medici scoprono che si tratta di una coppia di gemelle siamesi solo al momento del parto cesareo. Il piccolo centro sanitario, però, non è attrezzato per prendersene cura, così la famiglia viene trasferita nella capitale centrafricana. La mamma e le gemelline sono arrivate in Italia il 10 settembre 2018 nell’ambito delle Attività Umanitarie Internazionali dell’Ospedale Pediatrico della Santa Sede. Dopo qualche mese trascorso al Bambino Gesù di Palidoro, dove iniziano il percorso di neuroriabilitazione, le piccole sono state trasferite nel reparto di Neurochirurgia al Gianicolo per gli studi sulla fattibilità delle procedure di separazione. Le prime indagini confermano che le gemelline godono di buona salute generale, i parametri neurologici e clinici sono nella norma. C’è però una differenza di pressione arteriosa: il cuore di una delle bambine lavora di più per mantenere l’equilibrio fisiologico degli organi di entrambe, compreso il loro cervello.

Le bambine sono unite per la regione parietale e occipitale del cranio, vale a dire un’ampia superficie della parte posteriore della testa che comprende la nuca. Hanno in comune ossa craniche e pelle; a livello più profondo, condividono la falce e il tentorio (membrane fibrose che separano i due emisferi cerebrali e questi dal cervelletto) insieme a gran parte del sistema venoso (la rete di vasi deputata al trasporto del sangue utilizzato dal cervello verso il cuore per essere riossigenato) che ha rappresentato la sfida più difficile per l’équipe di Neurochirurgia del Bambino Gesù nella pianificazione degli interventi. Per questa particolare conformazione, le piccole rientrano nella rarissima categoria di gemelli siamesi craniopagi “totali”, uniti, cioè, sia a livello cranico che cerebrale.

Il caso di Ervina e Prefina è difficilissimo. Per farle sopravvivere, da separate, bisogna studiare ogni aspetto, pianificare il minimo dettaglio. Con questo obiettivo, si forma un gruppo multidisciplinare composto da neurochirurghi, anestesisti, neuroradiologi, chirurghi plastici, neuroriabilitatori, ingegneri, infermieri di differenti aree specialistiche e fisioterapisti. Viene coinvolto il Comitato Etico che condivide un percorso terapeutico che possa dare a entrambe le bambine le stesse chance di qualità della vita. Sulla base dell’esperienza maturata con i precedenti casi di siamesi separati con successo, l’équipe del Bambino Gesù mette a punto il programma. Nel corso dei mesi anche le gemelline vengono preparate alla separazione: con la neuroriabilitazione raggiungono un livello di sviluppo cognitivo e motorio analogo a quello delle loro coetanee; con l’ausilio di numerosi sistemi posturali, che le aiutano a trascorrere le giornate nella migliore posizione possibile, affrontano le complesse fasi del trattamento; con il sistema di specchi imparano a riconoscere il volto e le espressioni dell’altra e a stabilire una relazione visiva.

Prima di procedere con le fasi chirurgiche, il complesso caso delle gemelline di Bangui viene presentato e discusso anche a livello internazionale, a Nuova Delhi, in India, dove a febbraio 2019 si è tenuta la prima conferenza mondiale nel campo della chirurgia dei gemelli siamesi. Nella storia dell’Ospedale è il quarto caso di separazione di siamesi: nel 2017 le gemelline algerine unite per il torace e l’addome (gemelle toraco-onfalopaghe) e le piccole burundesi, unite per la zona sacrale (gemelle pigopaghe). Negli anni 80, invece, la prima operazione del genere su due maschietti uniti sempre per il torace e l’addome.

La grande sfida, per il buon esito della separazione, è il sistema venoso cerebrale, la rete di vasi sanguigni (seni venosi) che le gemelle condividono in più punti. La chirurgia sulle strutture venose del cervello è complessa e il rischio di emorragie e ischemie è elevato. L’équipe di Neurochirurgia del Bambino Gesù decide di procedere per fasi: tre interventi delicatissimi per ricostruire progressivamente due sistemi venosi indipendenti, in grado di contenere il carico di sangue che viaggia dal cervello al cuore.

Dopo i primi due interventi – nel 2019 il primo a maggio quando i neurochirurghi separano una parte del tentorio e il primo dei due seni trasversi in comune che saranno assegnati a ciascuna delle bambine e con materiali biocompatibili ricostruiscono una membrana in grado di mantenere divise le strutture cerebrali prima della separazione definitiva e il secondo a giugno con la separazione dei seni sagittali superiori (la metà posteriore dei canali venosi che corrono tra i due emisferi cerebrali) e il torculare di Erofilo – lo scorso 5 giugno 2020 è il momento della separazione definitiva.

In sala operatoria è pronta un’équipe di oltre 30 persone tra medici, chirurghi e infermieri. L’intervento dura 18 ore: prima vengono rimossi gli espansori cutanei, poi viene separato il secondo seno trasverso e il relativo tentorio; vengono infine divise le ossa del cranio che tengono unite le due bambine. Una volta separate le gemelline, l’operazione prosegue in due diverse camere operatorie, con due équipe distinte, per ricostruire la membrana che riveste il cervello (dura madre), rimodellare le ossa della scatola cranica e ricreare il rivestimento cutaneo. “È stato un momento emozionante, un’esperienza fantastica, irripetibile – sottolinea Carlo Marras, responsabile di Neurochirurgia del Bambino Gesù e dell’équipe che ha seguito le gemelline – era un obiettivo molto ambizioso e abbiamo fatto di tutto per raggiungerlo, con passione, ottimismo e gioia. Condividendo ogni passaggio, studiando insieme ogni minimo dettaglio”.

Ogni fase del percorso delle gemelline è stata studiata e pianificata con l’ausilio dei sistemi di imaging avanzato disponibili in Ospedale: TAC e risonanze magnetiche tridimensionali, angiografia 4D, software per la ricostruzione 3D, neurosimulatore. Con queste tecnologie, combinate tra loro, è stata ricreata in 3D la scatola cranica delle bambine con tutti i dettagli anatomici interni, compresa la rete vascolare. Contemporaneamente, è stato possibile valutare la funzionalità delle singole strutture del cervello, quantificare il flusso sanguigno e fare una previsione di come avrebbe funzionato il nuovo sistema dopo gli interventi. In sala operatoria sono stati utilizzati i più avanzati sistemi di neuronavigazione, strumenti particolarmente utili in casi così complessi e rari che indicano al chirurgo, con precisione millimetrica, la posizione delle strutture più delicate.


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L’intervento, che elimina il rischio di infezioni, eseguito dall’equipe coordinata da Guido Costamagna su una paziente pediatrica affetta da grave malattia rara. Si è trattato di un intervento delicato, ma necessario.

Gli endoscopi ‘usa e getta’ sono strumenti di ultima generazione, di recente introduzione in clinica e utilizzati finora solo su pazienti adulti. Il loro vantaggio è che non dovendo essere ‘sanificati’ e ‘riprocessati’ non espongono al pericolo di infezioni in corso di procedura endoscopica. Per ora, visti anche i costi elevati, sono riservati ai pazienti immunodepressi e sono tornati di grande utilità nel pieno dell’emergenza pandemica da Covid-19.

Al Policlinico Universitario A. Gemelli Irccs l’endoscopio monouso Exalt è stato impiegato per la prima volta con successo anche su una paziente pediatrica con una immunodeficienza congenita grazie all’equipe della UOC di Endoscopia Digestiva Chirurgica diretta da Guido Costamagna, ordinario di Chirurgia generale all’Università Cattolica, campus di Roma.

‘Exalt’ è il nome di un inedito modello di endoscopio ‘usa e getta’ ed è stato utilizzato per la prima volta al mondo al Gemelli per assistere una bimba di 7 anni, affetta da un restringimento delle vie biliari che è stato dilatato con questo strumento high-tech. La marcia in più di questi strumenti monouso (quello utilizzato è l’Exalt Model-D di Boston Scientific) è che pur se costosi, consentono di superare tutte le problematiche inerenti alla meticolosa disinfezione e al riprocessamento ai quali vengono sottoposti gli endoscopi tradizionali dopo ogni utilizzo.

Un fatto questo di grande importanza quando si opera su pazienti immunodepressi, come la piccola paziente ricoverata al Gemelli e proveniente dall’Ospedale San Gerardo di Monza, affetta da una rarissima forma di immunodeficienza congenita (la DOCK8 deficiency, Dedicator of Cytokinesis 8).

Questa malattia rara espone la piccola a un altissimo rischio di infezioni. Mentre era in attesa di un trapianto di cellule staminali emopoietiche (trapianto di midollo), la paziente aveva sviluppato una colangite sclerosante primitiva (una malattia delle vie biliari che fanno confluire la bile dal fegato alla colecisti e quindi al duodeno) e un restringimento dello sfintere biliare, da trattare mediante sfinterotomia biliare mediante procedura CPRE (Colangio Pancreatografia Retrograda Endoscopica), cioè un’incisione del punto di sbocco delle vie biliari nel duodeno, che si effettua in endoscopia).

Si tratta di un intervento delicato, ma necessario per prevenire il ristagno di bile nelle vie biliari e dunque una loro possibile infezione (colangite), pericolosissima nella piccola immunodepressa. L’intervento endoscopico è stato effettuato all’inizio di questo mese e la piccola, assistita in collaborazione con i medici dell’UO di Oncologia Pediatrica del Gemelli, è stata dimessa in ottime condizioni 48 ore dopo il trattamento.

Finora il duodenoscopio monouso Exalt – spiega Guido Costamagna, direttore dell’UO di Endoscopia digestiva chirurgica della Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli Irccs – è stato utilizzato solo su pazienti adulti; al Gemelli lo abbiamo a disposizione dallo scorso mese di marzo e lo abbiamo utilizzato per trattare due pazienti Covid-19 positivi, nel pieno dell’emergenza pandemica. Per la prima volta al mondo, abbiamo utilizzato questo endoscopio monouso su una bambina di 7 anni, di appena 24 chili di peso. Il duodenoscopio monouso – aggiunge il professor Costamagna – rappresenta uno strumento, ancora costoso, ma sicuramente molto utile in casi selezionati, quali i pazienti immunodepressi. In base alla nostra esperienza, il duodenoscopio Exalt può essere impiegato in sicurezza anche in piccoli pazienti pediatrici”.

L’Exalt Model-D, il primo endoscopio ‘usa e getta’ al mondo, è stato insignito dalla Food and Drug Administration americana della Breakthrough Device Designation lo scorso dicembre e ha ricevuto il marchio CE nel gennaio di quest’anno.

È stato utilizzato con successo in diversi centri americani per la rimozione di calcoli dalle vie biliari-pancreatiche, per il posizionamento di stent biliari (tubicini usati per mantenere pervie le vie biliari) e per effettuare dilatazioni delle vie bilio-pancreatiche con il palloncino. Ogni anno si effettuano in tutto il mondo 1,5 milioni di procedure CPRE, 500.000 delle quali in Europa.


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Per l’Organizzazione mondiale della sanità l’uso delle mascherine durante l’esercizio fisico può “ridurre la capacità di respirare e favorisce crescita microrganismi col sudore”

Le persone durante l’attività fisica “non devono indossare la mascherina quando si esercitano in quanto le mascherine possono ridurre la capacità di respirare comodamente”.

A dirlo è l’Organizzazione mondiale per la sanità che inoltre precisa come “il sudore può far bagnare la mascherina più rapidamente, il che rende difficile respirare e favorisce la crescita di microrganismi”.

Per questo l’Oms ricorda che la “misura preventiva più importante durante l’esercizio fisico è quella di mantenere una distanza fisica di almeno un metro dagli altri”.


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Le nuove regole contenute nell’ultima ordinanza emanata, come spiega il presidente della Regione Enrico Rossi, “anche in conseguenza a come si è espressa l’OMS, che non raccomanda di indossare guanti in quanto non servono per proteggersi dall’infezione, ma anzi potrebbero essere dannosi, dando un falso senso di protezione e sicurezza”. Resta l’obbligo di usare la mascherina all’aperto in presenza di assembramenti in caso non sia possibile mantenere la distanza.

Il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, ha firmato oggi l’ordinanza con la quale raccomanda di non usare più i guanti ma di rispettare un lavaggio minuzioso e frequente delle mani con acqua e sapone o con i gel disinfettanti. L’ordinanza 67 del 16 giugno 2020, spiega la regione in una nota, è stata emanata tenendo conto delle ultime indicazioni scientifiche dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. “La raccomandazione non si applica naturalmente agli ambienti di lavoro socio-sanitari e agli ambienti di lavoro in cui i guanti costituiscono dispositivo di protezione individuale”, precisa la nota.

Ad illustrare le nuove norme in materia di misure anti contagio è anche il presidente della regione, Enrico Rossi. “Si può fare a meno dei guanti, almeno quando non si maneggiano generi alimentari, purché la pulizia e l’igiene delle mani sia rigorosamente rispettato – spiega nella nota – Lo abbiamo deciso anche in conseguenza a come si è espressa l’OMS che non raccomanda di indossare guanti in quanto non servono per proteggersi dall’infezione, ma anzi potrebbero essere dannosi, dando un falso senso di protezione e sicurezza. Permane invece l’obbligo di usare la mascherina all’aperto in presenza di assembramenti, quando non è possibile stare distanti circa due metri”.

So che è noioso – prosegue Rossi parlando delle mascherine – e con il caldo persino faticoso per la respirazione, ma sarebbe un errore smettere ora. E’ bene invece continuare con le doverose precauzioni e i corretti comportamenti. I dati sui nuovi casi, per quanto in calo, dimostrano che il virus persiste e che nessuno può dare la sicurezza che tutto sia solo un brutto ricordo. Infine, una raccomandazione banale ma necessaria: disperdere nell’ambiente mascherine e guanti è veramente da incivili e deve essere evitato per rispetto di noi stessi e degli altri”.


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