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Soffrire a 18 anni di ansia è strettamente legato all’abuso di alcol qualche anno dopo.

A dirlo è uno studio dell’Università di Bristol pubblicato sulla rivista scientifica Drug and Alcohol Dependence. La ricerca (di tipo osservazionale) è iniziata negli anni Novanta e rafforza tutte quelle prove che già identificavano una relazione tra lo stato d’ansia e la successiva dipendenza da alcol.

Utilizzando i dati di un questionario e di un colloquio clinico che ha coinvolto più di 2000 ragazzi, gli studiosi inglesi hanno scoperto che il disturbo d’ansia generalizzato all’età di 18 anni è collegato al bere più di frequente intorno ai 21 anni.

«La relazione tra il disturbo d’ansia generalizzato e il bere dannoso all’età di 18 anni persiste nella prima età adulta – ha detto Maddy Dyer, ricercatrice che ha partecipato all’analisi – Aiutare gli adolescenti a sviluppare strategie positive per far fronte all’ansia, invece di far loro bere alcolici, può ridurre il rischio». Secondo gli studiosi inglesi saranno necessarie ulteriori analisi per capire meglio le connessioni tra l’alcol e la salute mentale per cercare di individuare eventuali soluzioni nella lotta contro la dipendenza da alcol.

ANSA


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Sottovalutato il pericolo del binge drinking, cioè l’abitudine dei giovani di concentrare il consumo di grande quantità di alcol in poche ma costanti occasioni, come il sabato sera. Lo rileva uno studio condotto al Gemelli di Roma

Le abbuffate alcoliche (o binge drinking) tipiche di molti giovani (che magari si limitano a bere al sabato sera e non toccano un dito di alcol durante la settimana) potrebbero portare allo sviluppo di alcol-dipendenza. Lo dimostra uno studio effettuato presso la Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS – Università Cattolica e pubblicato sulla prestigiosa rivista Scientific Reports del gruppo editoriale di Nature, dal team del professor Giovanni Addolorato, direttore dell’Unità Operativa Semplice di Area (UOSA) Patologie Alcol correlate all’interno della UOC di Medicina Interna e Gastroenterologia, e del professorAntonio Gasbarrini, direttore Area Gastroenterologia ed Oncologia Medica.

Il binge drinking è una modalità di assunzione di alcolici che nell’ultimo decennio si è notevolmente diffusa nel nostro Paese anche fra gli adolescenti. È caratterizzata dall’assunzione di oltre 4-5 Unità Alcoliche (drinks) in unica occasione e in breve tempo, lontano dai pasti e per avvertire gli effetti psicotropi del cosiddetto ”sballo”. Una unità alcolica, pari a circa 12,5 grammi di etanolo, corrisponde a circa 125 millilitri di vino a media gradazione – quindi un bicchiere – o 330 mL di birra – una lattina o una bottiglia – o 30 mL di super alcolici – un bicchierino da bar.

“Lo studio osservazionale coordinato dai Professori Giovanni Addolorato e Antonio Gasbarrini, dell’Istituto di Patologia Speciale Medica dell’Università Cattolica – spiega una nota del Policlinico – ha dimostrato che tale comportamento, spesso ritenuto – sottostimandone la reale pericolosità – un “normale passaggio adolescenziale” è un fattore di rischio per lo sviluppo di alcol-dipendenza”.

Finanziato dalla Fondazione Roma e dalla Fondazione Italiana per la Ricerca sulle Malattie Epatiche (FIRE), lo studio ha coinvolto 2704 giovani di età compresa tra i 13 e i 20 anni che frequentavano le scuole superiori della Capitale e di altre città del Lazio. I ragazzi hanno compilato questionari per valutare il loro consumo di bevande alcoliche, di fumo, l’uso di droghe e il quadro psicologico individuale. Circa l’80% del campione ha dichiarato di consumare bevande alcoliche (nonostante nel nostro Paese la vendita di alcolici ai minori sia vietata e nonostante la posizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità contraria al consumo di bevande alcoliche negli adolescenti).

“La maggior parte dei giovani coinvolti nell’indagine – riferisce la nota – non era mai stata informata né dai familiari né dal personale sanitario circa i rischi connessi al consumo di bevande alcoliche in considerazione, soprattutto, della giovane età. Il 6,1% dei soggetti intervistati presentava un disturbo da uso di alcol, in particolare il 4,9% presentava una diagnosi di abuso di alcol mentre il rimanente 1,2 % presentava una diagnosi di dipendenza da alcol”.

“La quota dei ragazzi con diagnosi di alcol-dipendenza era esclusivamente presente nel gruppo di giovani habitué del binge drinking – fa notare il professor Addolorato – mentre era assente in chi non era solito a questo comportamento; questo indica che il binge drinking è un fattore di rischio molto forte per lo sviluppo di dipendenza da alcol nei ragazzi”.

“Tali dati – sostiene Addolorato – in altre parole, dimostrano che le abbuffate alcoliche rappresentano un fattore di rischio per lo sviluppo di disturbo da uso di alcol e in particolare di dipendenza da alcol, e indicano che, verosimilmente, fra qualche anno dovremmo confrontarci con un aumento di incidenza di patologie alcol-correlate nella popolazione oggi giovanile che nel frattempo sarà diventata adulta”. Per prevenire tutto ciò, conclude la nota del Policlinico, è auspicabile che vengano incrementati programmi informativi adeguati a divulgare agli adolescenti i rischi connessi al consumo di bevande alcoliche e al binge drinking.


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Uno studio australiano ha scoperto una correlazione tra assunzione di alcolici in gravidanza e insorgenza di problemi cognitivi nei bambini fino all’età di sei-sette anni. Correlazione che si attenua quando i bambini giungono ai 10-11 anni

Le madri che allattano al seno e bevono alcolici presentano una maggiore probabilità di avere bambini con problemi cognitivi rispetto alle donne che non bevono durante la fase dell’allattamento. A suggerirlo è uno studio australiano pubblicato da Pediatrics. La ricerca è stata guidata da Louisa Gibson della Macquarie University.

I ricercatori hanno esaminato i risultati dei test cognitivi completati da 5.107 bambini e dei questionari compilati dalle madri, che raccoglievano informazioni sull’allattamento del bambino e su quanto spesso fumavano sigarette o bevevano alcolici in gravidanza o in allattamento. Dai risultati è emerso che i bambini nati da madri che consumavano alcolici durante la fase dell’allattamento, all’età di sei-sette anni, avevano punteggi più bassi relativamente al ragionamento non verbale. Invece non è stata registrata alcuna alterazione a livello cognitivo nei bambini nati da madri fumatrici rispetto alle non fumatrici.

I bambini esposti all’alcool attraverso il latte materno avrebbero avuto punteggi più bassi di valutazione cognitiva rispetto ai bambini non esposti, anche se le madri non avevano fumato né bevuto alcool in gravidanza. Gli effetti dell’alcool sembrano comunque perdere di evidenza quando i bambini raggiungono i 10-11 anni.

“Questo studio è importante perché ci dice che non c’è un livello di alcool sicuro per una madre che allatta”, ha sottolineato Louisa Gibson, autrice principale dello studio. “Mentre sono abbastanza chiari gli effetti negativi dell’alcool e del fumo durante la gravidanza, gli effetti di queste sostanze veicolate al bambino attraverso il latte materno sarebbero ancora dubbi”, ha spiegatoSvetlana Popova, del Centre for Addiction and Mental Health dell’Università di Toronto, che non era coinvolta nello studio. “Questo studio conferma che bere durante l’allattamento può causare riduzione dose-dipendente delle capacità cognitive”.

Infine, secondo Lauren Jansson, della Johns Hopkins University di Baltimora, che ha scritto un editoriale sulla ricerca, poiché l’allattamento al seno ha molti benefici per la salute, le madri che cercano di smettere di bere durante l’allattamento dovrebbero ricevere un ulteriore sostegno.

Fonte: Pediatrics


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Per gli adolescenti bere alcol (anche a dosi moderate) fa male: fa modificare il metabolismo e riduce il volume della materia grigia del cervello.

E’ questa la scoperta a cui sono arrivati i ricercatori dell’Università della Finlandia orientale e dell’Ospedale universitario di Kuopio.

Alcuni dei cambiamenti del metabolismo e dei metaboliti (cioè del materiale che viene assorbito dall’organismo) sono stati associati a un ridotto volume della materia grigia cerebrale, specialmente in tutte quelle giovani donne che sono forti bevitrici.

«Gli adolescenti che bevono alcolici hanno avuto un aumento delle concentrazioni di 1-metilistamina, che a sua volta era associato a un volume ridotto di materia grigia cerebrale», spiega la ricercatrice Noora Heikkinen dell’Università della Finlandia orientale. La 1-metilistamina è un composto che si forma nel cervello a causa dall’istamina prodotta dalle risposte immunitarie che si scatenano nell’organismo. «Ciò che è nuovo e significativo del nostro studio è che abbiamo osservato cambiamenti del profilo dei metaboliti anche nei giovani che consumavano alcolici a un livello socialmente accettabile. Infatti, nessuno dei partecipanti aveva una diagnosi di dipendenza da alcol», ha aggiunto.


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Un grande studio di salute pubblica condotto in Gran Bretagna suggerisce che gli attuali limiti di sicurezza relativi al consumo di bevande alcoliche dovrebbero essere ritoccati verso il basso. Gli autori suggeriscono di non superare i 100 grammi di alcol a settimana equivalenti a poco meno di un litro di vino, a poco più di 3 litri di birra e a circa 300 millilitri di superalcolici. Al di sopra di questa soglia aumenta il rischio di patologie cardiovascolari (in particolare di ictus e ipertensione) e si riduce l’aspettativa di vita (anche di 4-5 anni per chi supera i 350 grammi di alcol a settimana)

Sarebbero tutte da rivedere al ribasso le attuali soglie di sicurezza per il consumo di bevande alcoliche, stando ai risultati di una ricerca appena pubblicata su Lancet. E forse andrebbero anche uniformati visto che gli attuali limiti raccomandati per il consumo di alcol sono molto diversi tra una nazione e l’altra.

Angela Wood (Dipartimento di Salute Pubblica, Università di Cambridge) e colleghi, allo scopo di definire meglio le soglie di sicurezza per il consumo di bevande alcoliche, cioè quelle associate al minor rischio di mortalità per tutte le cause e di malattie cardiovascolari, hanno analizzato i dati relativi a circa 600 mila bevitori attivi residenti in 19 nazioni ad alto reddito e senza pregresse patologie cardiovascolari.

Gli autori sono andati a caratterizzare le associazioni dose-risposta, calcolando i rapporti di rischio (HR) per l’assunzione di 100 grammi di alcol a settimana (12,5 unità di alcol/settimana), aggiustati per età, genere, presenza di diabete e abitudine al fumo, confrontandoli con fasce di consumo superiori (100-200 grammi, 200-350 grammi, oltre 350 grammi a settimana).

Tra i circa 600 mila bevitori attivi inclusi nell’analisi i ricercatori inglesi hanno registrato oltre 40 mila decessi e 39 mila casi di patologie cardiovascolari di nuova comparsa, durante un follow-up di 5,4milioni di anni-persona. Rispetto alla mortalità per tutte le cause, questa analisi ha evidenziato la presenza di una relazione curvilinea con il consumo di alcol, dove il rischio minore è stato registrato per i consumi inferiori a 100 grammi/settimana. L’alcol è risultato associato soprattutto ad un aumentato rischio di ictus (+14% per i consumi settimanali di alcol superiori a 100 gr), di coronaropatia (ma non di infarto) (+ 6%), di scompenso cardiaco (+9%), di ipertensione maligna (+24%), di aneurisma aortico fatale (+15%). Per contro, un consumo di alcol superiore a 100 grammi a settimana è risultato associato ad un ridotto rischio di infarto (-6%).

Ma il dato di certo più impressionante è stato tra tutti quello relativo alla ridotta aspettativa di vita. Chi consuma 100-200 grammi di alcol a settimana, rispetto a chi beve meno di 100 grammi a settimana, ha a 40 anni un’aspettativa di vita ridotta di circa 6 mesi; chi beve 200-350 grammi di alcol a settimana, ha un’aspettativa di vita ridotta di 1-2 anni, mentre chi indulge pesantemente nel consumo di bevande alcoliche (oltre 350 grammi di alcol a settimana) vede la propria aspettativa di vita ridursi di 4-5 anni.


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