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È quanto ricordano i neonatologi delle Sin in occasione delle Settimana Mondiale per l’Allattamento materno, che si celebra dall’1 al 7 ottobre. Gli anticorpi anti-Sars-CoV-2 sono trasmessi dalla madre al neonato a seguito dell’infezione naturale o della vaccinazione.

Un farmaco salvavita per i neonati prematuri, il nutrimento ideale per crescere e svilupparsi in salute: il latte materno è parte integrante del processo riproduttivo, con notevoli implicazioni positive per la salute del neonato e della madre e rappresenta per i bambini uno scudo per la vita.

Tra gli indiscutibili benefici, è riconosciuto l’effetto protettivo del latte materno contro le infezioni, dovuto al passaggio di immunoglobuline ed a fattori bioattivi.

In occasione della Settimana Mondiale per l’Allattamento Materno, che si celebra dall’1 al 7 ottobre, la Società Italiana di Neonatologia mette in luce un altro importante quanto attuale aspetto: anche gli anticorpi anti-Sars-CoV-2 sono trasmessi dalla madre al neonato durante l’allattamento, a seguito dell’infezione naturale o della vaccinazione.

Da recenti studi è emerso che, in seguito all’infezione da coronavirus, sono sempre presenti nel latte materno anticorpi specifici ed alcuni di essi si ritrovano fino ai 10 mesi dal parto. È stato, inoltre, studiato che l’effetto neutralizzante sul coronavirus degli anticorpi si mantiene anche dopo la pastorizzazione del latte materno. Anche nel latte della mamma che ha ricevuto il vaccino a mRNA, attualmente consigliato in Italia, si verifica una costante presenza di anticorpi specifici anti-coronavirus, già inizialmente presenti due settimane dopo la prima dose di vaccino, per intensificarsi dopo due settimane dalla seconda dose. Questi dati preliminari evidenziano la presenza degli anticorpi anti-SARS-CoV-2 nel latte materno e testimoniano, quindi, un possibile specifico effetto protettivo al neonato-lattante dopo la vaccinazione.

La SIN da sempre e anche fin dall’inizio della pandemia, sostiene, promuove e protegge l’allattamento al seno, che costituisce uno tra i più importanti interventi di Salute Pubblica per la sua efficacia e il vantaggioso rapporto costo-beneficio: un grande supporto che la mamma può dare al proprio figlio.

Nonostante il Covid-19 abbia causato una sensibile riduzione della donazione del latte umano nel nostro Paese, l’Italia si è ancora una volta distinta perché nell’anno in corso sono state inaugurate due nuove Banche del Latte Umano Donato BLUD, portando a 40 il numero totale di banche del latte. Una risorsa fondamentale, una grande opportunità, non solo per la promozione ed il sostegno dell’allattamento al seno, ma anche per soddisfare le necessità dei neonati nati prematuri o affetti da altre patologie.

“La promozione dell’allattamento deve essere un percorso virtuoso – afferma Fabio Mosca, Presidente della SIN – che inizia in ospedale, ma che poi prosegue nel primo anno di vita, mettendo il neonato al centro delle scelte politiche e istituzionali, per creare ed incentivare condizioni che permettano alle mamme di continuare ad allattare anche dopo i primi mesi. Possono e devono farlo sin da subito, senza paure infondate sulla vaccinazione anti-Covid, ma, anzi con uno sprone in più: la protezione per i loro piccoli che non possono ancora vaccinarsi”.


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Il covid 19 non viene trasmesso dalla mamma positiva al neonato durante l’allattamento

Una madre Covid positiva può trasmettere il virus durante l’allattamento? Sono stati appena pubblicati sulla rivista scientifica internazionale Frontiers in Pediatrics i risultati di una ricerca multicentrica tutta italiana su questo tema che rassicura. Coordinata dalla Città della Salute di Torino, si tratta dello studio con la casistica più numerosa finora condotto in Europa e l’unico in cui la ricerca del virus nel latte è stata abbinata alla valutazione clinica dei neonati nel periodo durante l’allattamento: i risultati saranno presentati in anteprima venerdì 2 ottobre al Meeting della European Milk Bank Association.

Sono stati analizzati i campioni di latte di 14 mamme positive al virus dopo il parto, controllando i loro neonati nel primo mese di vita. Il latte è risultato negativo al SARS-CoV-2 in 13 di questi campioni, mentre in un caso è stata identificata per un breve periodo la presenza dell’RNA virale. “Il dato più confortante – spiega una nota della Città della Salute che illustra i risultati – è stato che tutti i neonati, allattati al seno seguendo scrupolosamente le regole raccomandate in questi casi (uso della mascherina, lavaggio appropriato delle mani, pulizia e disinfezione delle superfici e degli oggetti in uso) non hanno mostrato segni di malattia. Anche quattro neonati, le cui mamme si erano ammalate subito dopo il parto, e che erano risultati positivi al virus nei primi giorni, compreso quello con presenza del  virus nel latte materno, si sono tutti negativizzati, in buona salute, nel primo mese di allattamento”.

Lo studio è stato coordinato dalla Neonatologia Universitaria dell’ospedale Sant’Anna della Città della Salute di Torino e dal Laboratorio universitario di Virologia Molecolare del Dipartimento di Scienze Cliniche e Biologiche, cui hanno partecipato, oltre alla Neonatologia ospedaliera del Sant’Anna, le Neonatologie degli ospedali Mauriziano e Maria Vittoria di Torino e quelle degli ospedali di Alessandria, Aosta e del San Martino di Genova. Le analisi molecolari sui campioni di latte sono state condotte nei Laboratori ospedalieri di Microbiologia della Città della Salute e dell’ospedale San Luigi Gonzaga.

“Questi risultati – ha commentato Bertino – sono rassicuranti per le mamme e per gli operatori sanitari che si occupano della salute della madre e del bambino. La ricerca supporta anche le recenti raccomandazioni dell’OMS che, nonostante le limitate informazioni finora disponibili, in considerazione di tutti i benefici, anche immunologici, dell’allattamento materno, lo ha recentemente raccomandato anche per le mamme positive”.

“Da diversi anni – ha aggiunto Lembo – stiamo studiando le proprietà antivirali del latte materno ed abbiamo identificato nuovi componenti attivi che potrebbero proteggere il lattante dalle infezioni virali. Anche per questo motivo, salvo poche eccezioni, l’allattamento al seno è una risorsa importante per la salute del neonato.”


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Allattare al seno il proprio bimbo, quando lo si può fare, aiuta a proteggerlo dall’obesità.

Lo evidenzia uno studio condotto dall’Istituto Nazionale della Sanità in Portogallo e promosso dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, presentato all’European Congress on Obesity a Glasgow. La ricerca fa parte della Who Childhood Obesity Surveillance Initiative, guidata dal dottor João Breda, capo dell’ufficio europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie non trasmissibili dell’Oms.

Per quanto riguarda l’allattamento al seno, l’analisi, che ha compreso 16 paesi tra i quali l’Italia e 29.245 bambini, ha trovato un effetto protettivo: rispetto ai bambini allattati al seno per 6 mesi, quelli che non erano mai stati avevano il 22% in più di probabilità di essere obesi; mentre quelli allattati però per meno di un semestre avevano il 12% in più di probabilità di essere in sovrappeso. Risultati simili sono emersi anche per quanto riguarda l’allattamento al seno esclusivo, sulla base di dati provenienti da 8 paesi (15.371 bambini). L’analisi ha rivelato anche un rischio maggiore del 50% di obesità infantile in caso di parto prematuro. Il basso peso alla nascita è risultato essere un fattore in qualche modo ‘protettivo’, riducendo il rischio di sovrappeso del 35%, mentre al contrario si è riscontrato che un peso importante aumentava il rischio del 9%. Gli studiosi rilevano che nonostante continue prove derivati dalla ricerca scientifica che mostrano i benefici dell’allattamento al seno, quello esclusivo in Europa rimane al di sotto della raccomandazione globale. Se infatti in quasi tutti i paesi oltre il 77% dei bambini veniva allattato al seno, c’erano però delle eccezioni: in Irlanda, Francia e Malta, il 46%, il 38% e il 35% dei bambini, rispettivamente, non lo erano mai stati. Solo 4 paesi su 12, poi, avevano una prevalenza del 25% o più di allattamento al seno esclusivo (per 6 mesi o più), tra cui Georgia (35%) e Kazakistan (51%).

ANSA


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Uno studio australiano ha scoperto una correlazione tra assunzione di alcolici in gravidanza e insorgenza di problemi cognitivi nei bambini fino all’età di sei-sette anni. Correlazione che si attenua quando i bambini giungono ai 10-11 anni

Le madri che allattano al seno e bevono alcolici presentano una maggiore probabilità di avere bambini con problemi cognitivi rispetto alle donne che non bevono durante la fase dell’allattamento. A suggerirlo è uno studio australiano pubblicato da Pediatrics. La ricerca è stata guidata da Louisa Gibson della Macquarie University.

I ricercatori hanno esaminato i risultati dei test cognitivi completati da 5.107 bambini e dei questionari compilati dalle madri, che raccoglievano informazioni sull’allattamento del bambino e su quanto spesso fumavano sigarette o bevevano alcolici in gravidanza o in allattamento. Dai risultati è emerso che i bambini nati da madri che consumavano alcolici durante la fase dell’allattamento, all’età di sei-sette anni, avevano punteggi più bassi relativamente al ragionamento non verbale. Invece non è stata registrata alcuna alterazione a livello cognitivo nei bambini nati da madri fumatrici rispetto alle non fumatrici.

I bambini esposti all’alcool attraverso il latte materno avrebbero avuto punteggi più bassi di valutazione cognitiva rispetto ai bambini non esposti, anche se le madri non avevano fumato né bevuto alcool in gravidanza. Gli effetti dell’alcool sembrano comunque perdere di evidenza quando i bambini raggiungono i 10-11 anni.

“Questo studio è importante perché ci dice che non c’è un livello di alcool sicuro per una madre che allatta”, ha sottolineato Louisa Gibson, autrice principale dello studio. “Mentre sono abbastanza chiari gli effetti negativi dell’alcool e del fumo durante la gravidanza, gli effetti di queste sostanze veicolate al bambino attraverso il latte materno sarebbero ancora dubbi”, ha spiegatoSvetlana Popova, del Centre for Addiction and Mental Health dell’Università di Toronto, che non era coinvolta nello studio. “Questo studio conferma che bere durante l’allattamento può causare riduzione dose-dipendente delle capacità cognitive”.

Infine, secondo Lauren Jansson, della Johns Hopkins University di Baltimora, che ha scritto un editoriale sulla ricerca, poiché l’allattamento al seno ha molti benefici per la salute, le madri che cercano di smettere di bere durante l’allattamento dovrebbero ricevere un ulteriore sostegno.

Fonte: Pediatrics


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Allattare al seno per almeno due mesi può proteggere i piccoli dalla sindrome della morte improvvisa in culla o SIDS (Sudden Infant Death Syndrome), che nei paesi sviluppati è la causa principale di morte nel primo anno di vita. Il rischio si riduce della metà e il beneficio si ottiene anche se l’allattamento al seno non è esclusivo.

È quanto emerge da una ricerca della University of Virginia School of Medicine, pubblicata su Pediatrics. Per arrivare a questa conclusione sono stati analizzati otto studi internazionali, che hanno preso in esame 2259 casi di Sids e 6894 neonati inseriti in gruppi cosiddetti di controllo,  in cui non si è verificata la morte in culla. Sulla base dei risultati, i ricercatori chiedono «continui sforzi concertati» per aumentare i tassi di allattamento al seno in tutto il mondo.

«È fantastico per le madri sapere che l’allattamento al seno per almeno due mesi fornisce un tale effetto protettivo contro la Sids- spiega Rachel Moon, una delle autrici dello studio- sosteniamo fortemente gli sforzi per promuovere l’allattamento al seno».

Rimane ancora non chiaro perché allattare protegga contro la sindrome della morte improvvisa in culla, anche se i ricercatori citano fattori quali i benefici per il sistema immunitario e gli effetti sul sonno dei bambini come meccanismi possibili.

ANSA


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Allattare al seno per lungo tempo protegge la donna da malattie metaboliche come colesterolo alto, trigliceridi, diabete e da pressione alta.

Lo rivela una ricerca pubblicata sul Journal of Women’s Health. Lo studio ha coinvolto oltre 4700 donne di 19-50 anni ed è stato condotto da Se Rin Choi della Hallym University, College of Medicine (Seul).

Le donne sono state intervistate per sapere se avessero allattato al seno e quanto a lungo nella loro vita. Inoltre sono state sottoposte ad approfonditi check up per valutarne lo stato di salute.

Ebbene è emerso che coloro che avevano allattato almeno 12 mesi presentano una salute metabolica migliore (bassi livelli di colesterolo e trigliceridi, buon controllo glicemico, buoni valori di pressione del sangue).

Questo studio fornisce dunque un motivo in più per scegliere l’allattamento al seno, concludono gli autori, che fa bene sia al bebè sia alla mamma.

ANSA


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