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Suonare la batteria può dare dei benefici ai ragazzi con una diagnosi di autismo e supportarne l’apprendimento.

Lo rileva un progetto, condotto dall’università di Chichester e dallo University Centre Hartpury, che ha mostrato che la capacità degli studenti di seguire le istruzioni dei loro insegnanti è migliorata in modo significativo, così come le interazioni sociali con i coetanei e il personale scolastico.

La ricerca ha coinvolto alcuni alunni della Milestone School di Gloucester, che si occupa di ragazzi che necessitano di un sostegno scolastico, prevedendo un programma di lezioni di batteria di dieci settimane comprendente due sessioni di 30 minuti ogni settimana. Ogni lezione è stata impartita da tutor di percussioni utilizzando drum kit elettronici forniti da enti di beneficenza nel Gloucestershire.

I risultati preliminari rilevati dagli insegnanti dei ragazzi hanno mostrato un grande miglioramento nel controllo del movimento nel periodo in cui i ragazzi suonavano la batteria, inclusa la destrezza, il ritmo, i tempi. Anche il controllo del movimento è risultato migliorato durante l’esecuzione di compiti quotidiani al di fuori dell’ambiente scolastico, ad esempio con una migliore capacità di concentrazione durante i compiti a casa.

Vi sono stati inoltre una serie di cambiamenti positivi osservati nel comportamento all’interno dell’ambiente scolastico, come una migliore concentrazione e una migliore comunicazione con colleghi e adulti. «Suonare la batteria è una miscela unica di attività fisica, coordinazione e musicalità – spiega il dottor Steve Draper, coinvolto nello studio – tutte cose note per essere utili al benessere».


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L’apprendimento della musica migliora le connessioni cerebrali nei bambini sani e potrebbe risultare utile in quelli con disturbi dello spettro autistico e disturbo da deficit di attenzione/iperattività (ADHD). È quanto emerge da uno studio condotto in Messico e pubblicato da RSNA.

L’apprendimento della musica migliora le connessioni cerebrali nei bambini sani e potrebbe risultare utile in quelli con disturbi dello spettro autistico e disturbo da deficit di attenzione/iperattività (ADHD). È quanto emerge da uno studio condotto in Messico e pubblicato da RSNA. Gli studiosi hanno riscontrato che dopo nove mesi di lezioni nei bambini sani, l’imaging del tensore di diffusione (DTI) rivelava una crescita delle fibre cerebrali e nuove connessioni in aree del cervello associate a disturbi dello spettro autistico e disturbo da deficit di attenzione/iperattività.

”L’esperienza musicale, quando si è molto piccoli, può contribuire a un miglior sviluppo cerebrale, ottimizzando la creazione e la fissazione di reti neurali, Inoltre favorisce il processo di mielinizzazione e stimola i tratti impegnati nelle regioni frontali, in particolare il forceps minor”, ha commentato Pilar Dies-Suarez, primario di radiologia presso l’ Hospital Infantil de Mexico Federico Gomez a Città del Messico, principale autrice dello studio. Il forceps minor è un fascio di fibre che collega le superfici laterali e mediali dei lobi frontali e si estende attraverso l’estremità anteriore del corpo calloso. Recentemente è stato studiato il suo coinvolgimento nei disturbi e nelle patologie legate alla corteccia frontale.

Lo studio
I ricercatori hanno studiato 23 bimbi di cinque e sei anni, senza una storia clinica di disturbi sensoriali, della percezione o neurologici. Nove di questi bambini avevano precedentemente seguito delle lezioni di discipline artistiche. Prima e dopo nove mesi di training musicale, questi bambini sono stati sottoposti a risonanza magnetica DTI, che individua cambiamenti microstrutturali nella materia bianca del cervello.

Dopo le lezioni di musica, i risultati dell’imaging del tensore di diffusione hanno mostrato un incremento nell’anisotropia funzionale in diverse aree del cervello, specialmente nel forceps minor. “Quando un bambino riceve un’istruzione di tipo musicale, il suo cervello viene spinto a eseguire diversi compiti”, aggiunge Dies-Suarez. “Tra questi figurano capacità uditive, cognitive, emotive e sociali, che sembrano attivare queste diverse aree del cervello. Tali risultati potrebbero essere emersi dalla necessità di creare maggiori connessioni tra i due emisferi del cervello”. Con ulteriori studi e repliche, i ricercatori sostengono che i loro risultati potrebbero essere utili alla creazione di strategie mirate di intervento in disturbi come autismo e ADHD.

Fonte: RSNA 2016


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