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Confermato per il prossimo triennio come ‘Centro medico accademico’ dalla Joint Commission International. I supervisori della JCI hanno valutato l’Ospedale della Santa Sede su un totale di circa 300 standard e 1250 elementi misurabili, riscontrando alla fine solo 7 elementi parzialmente rispondenti, mentre tutti gli altri elementi sono stati considerati “pienamente rispondenti” agli standard internazionali di qualità e sicurezza delle cure.

È stato confermato per il prossimo triennio (2022-2024) l’accreditamento internazionale dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù come “Centro Medico Accademico” (Academic Medical Center). Il rapporto ufficiale della Joint Commission International (JCI), il principale ente accreditatore internazionale in campo sanitario, è arrivato a distanza di pochi giorni dall’indagine di valutazione svoltasi nella sede del Gianicolo dal 20 al 24 settembre.

I supervisori della Joint Commission International, si legge in una nota dell’Ospedale romano, hanno valutato l’Ospedale della Santa Sede su un totale di circa 300 standard e 1250 elementi misurabili, riscontrando alla fine solo 7 elementi parzialmente rispondenti, mentre tutti gli altri elementi sono stati considerati “pienamente rispondenti” agli standard internazionali di qualità e sicurezza delle cure.

Si tratta del miglior risultato mai ottenuto dalla prima certificazione del 2006, rinnovata poi negli anni successivi. Nel 2015, il primo riconoscimento come “Centro Medico Accademico” per l’intensa attività nel campo della formazione medica e della ricerca clinica, in virtù della collaborazione con l’Università di Tor Vergata, di cui l’Ospedale ospita la sede della cattedra di Pediatria.

Nella restituzione dei lavori, al termine della visita, gli esaminatori della JCI hanno espresso parole di grande apprezzamento nei confronti del Bambino Gesù e del suo personale: “Tutti gli operatori hanno partecipato ai lavori della survey con spirito di collaborazione e condivisione. Siamo rimasti ammirati da quello che fate in termini di competenza e dedizione, dalla vostra capacità di rispettare i diritti del bambino e di coinvolgerlo del processo di cura”.

“Questo ospedale – hanno concluso i supervisori – ha dato prova di grande eccellenza per quanto riguarda la qualità e l’assistenza prestata ai pazienti. Il miglioramento della qualità delle cure fa ormai parte del vostro DNA. Siamo certi che continuerete a riscuotere successo sia in Italia che nel resto del mondo con il vostro esempio”.

Joint Commission International è la divisione internazionale di The Joint Commission (USA), organizzazione non governativa dedita da oltre 75 anni al miglioramento della qualità e della sicurezza nei servizi sanitari. L’accreditamento JCI, oggi, è considerato lo standard di primo livello nell’assistenza sanitaria mondiale.

“Sono molto orgogliosa di questo risultato – ha commentato la presidente del Bambino Gesù Mariella Enoc – e molto grata nei confronti del personale dell’Ospedale, che anche in una stagione difficile come questa – segnata dalla pandemia – ha concentrato i suoi sforzi nel miglioramento della qualità e della sicurezza delle cure rivolte ai nostri pazienti. L’accreditamento JCI è uno strumento prezioso di governo clinico, che negli anni ci ha aiutato sempre di più a lavorare in modo multidisciplinare con spirito di squadra, consolidando la cultura internazionale dei nostri progetti di innovazione clinica”.

Soddisfazione per il riconoscimento è stata espressa anche dall’Assessore alla Sanità del Lazio Alessio D’Amato: “Un giusto riconoscimento per la competenza e la passione dei professionisti e degli operatori sempre rivolta alla cura dei più piccoli. Una vera eccellenza del nostro Sistema sanitario regionale dimostrata anche nella gestione della pandemia”.

(La foto di copertina è di: Ospedale Bambino Gesù – Sede di San Paolo)

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L’intervento si è reso necessario a causa dell’infezione e delle lesioni provocate dalla ventilazione invasiva. Il trapianto rappresenta un modello clinico a livello internazionale

È stato portato a termine con successo il primo trapianto di trachea in Italia, il primo al mondo che viene effettuato su un paziente post Covid-19.

I danni conseguenti all’infezione Sars-Cov2 e alle tecniche di ventilazione invasiva che si sono rese necessarie durante la malattia, hanno provocato l’assottigliamento della trachea che impediva quasi completamente la respirazione, rendendo necessario effettuare l’intervento.

Il trapianto è stato eseguito lo scorso 2 marzo presso la Chirurgia Toracica dell’Azienda ospedaliero-universitaria Sant’Andrea, policlinico universitario della rete Sapienza e azienda di alta specializzazione della Regione Lazio. Il paziente, un uomo di 50 anni originario della Sicilia, immediatamente risvegliato è stato da subito in grado di respirare e parlare autonomamente; dopo un ricovero di tre settimane e un decorso post-operatorio regolare, ha ripreso la sua vita normale, tornando al suo lavoro e alla sua città.

L’importante traguardo è stato presentato nell’aula magna della Sapienza da parte dello staff medico della Chirurgia toracica diretta da Erino Rendina e in particolare dalla giovane chirurga Cecilia Menna, la trentacinquenne responsabile del Programma “Tracheal Replacement” del Sant’Andrea che ha condotto con il professor Rendina l’intervento in prima persona.

“Questo successo è motivo di soddisfazione per tutta la nostra comunità e rappresenta un’ulteriore conferma degli eccellenti risultati clinici della ricerca medica e scientifica prodotta dall’Ateneo, al servizio della salute della collettività – afferma la rettrice Antonella Polimeni – Il fatto poi che questo intervento veda in prima linea una giovane chirurga è un segnale forte di come le competenze femminili si possano affermare in ambiti professionali come quello chirurgico, tradizionalmente a quasi esclusivo appannaggio degli uomini”.

“Un risultato di elevata complessità organizzativa e clinico-assistenziale, frutto dell’esperienza e dello spirito di innovazione dei nostri chirurghi – commenta il direttore generale del Sant’Andrea Adriano Marcolongo – e della capacità di fare rete con altri centri italiani di eccellenza.”

L’intervento chirurgico, che ha coinvolto 5 operatori ed è durato circa 4 ore e mezza, è stato condotto con sofisticate tecniche di anestesia, che hanno permesso di non instituire la circolazione extracorporea. La trachea malata è stata rimossa nella sua totalità e successivamente è iniziata la delicata fase di ricostruzione che ha previsto la sua sostituzione con un segmento di aorta toracica criopreservata presso la Fondazione Banca dei Tessuti di Treviso e perfettamente adattabile alle dimensioni della via aerea del paziente.

“La patologia tracheale era estesa e severa e non poteva essere affrontata con le tecniche di ricostruzione, su cui pure abbiamo maturato una esperienza ventennale – spiega Erino Rendina – e l’unica opzione plausibile era la sostituzione dell’intera trachea con biomateriale”. “Una delle criticità maggiori nella sostituzione della trachea, tubo rigido e pervio – spiega Cecilia Menna – è il ripristino della sua rigidità: per questo abbiamo provveduto a inserire all’interno dell’aorta impiantata un cilindro di silicone, la cosiddetta protesi di Dumon, della lunghezza di 10 cm e ripristinato completamente la pervietà aerea, la respirazione, la fonazione e la deglutizione”.

Il paziente, immediatamente risvegliato e da subito in grado di respirare e parlare autonomamente, non ha necessitato di ricovero in terapia intensiva né di tracheotomia ed è stato trasferito direttamente nel reparto di Chirurgia Toracica. Sono state effettuate broncoscopie quotidiane per controllare il corretto posizionamento del cilindro di silicone e il buono stato di conservazione del graft aortico. Il suo decorso post-operatorio è stato regolare e, dopo tre settimane dall’intervento, il paziente è stato dimesso, senza la necessità di terapia immunosoppressiva, come avviene invece per gli altri trapianti d’organo, grazie alla scarsissima immunogenicità del graft aortico.


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