In un mondo governato dalla pace, ma persino in tempo di guerra, le donne, i loro diritti e la loro sicurezza devono essere garantiti e protetti. Non è così purtroppo e per questo il premio Nobel per la Pace di quest’anno è dedicato a tutte le donne brutalmente calpestate e umiliate dalla violenza sessuale, usata come strumento di guerra. I premiati sono Denis Mukwege e Nadia Murad, un medico e una ragazza Yazidi, per aver combattuto i crimini di guerra e chiesto giustizia per le vittime, anche a rischio della loro incolumità.
Il Nobel per la Pace 2018 è stato assegnato ex aequo a Denis Mukwege e a Nadia Murad; il primo è un ginecologo che, mettendo a rischio della propria vita, ha difeso e curato per tutta la vita le vittime della violenza; Nadia è invece una vittima di questo crimine di guerra, tanto crudele quanto silenzioso.
La violenza sessuale, e non da oggi purtroppo, è uno strumento di guerra. Se ne parla poco, un po’ perché distratti dalle cronache di morte e distruzione, ma anche per imbarazzo e, chissà, forse anche per malriposto pudore. Ma questo Nobel accende con decisione i riflettori su questo crimine e su chi lo perpetra, perché è giusto che i colpevoli paghino per questo scempio.
Denis Mukwege è un ginecologo che ha trascorso gran parte della sua vita ad aiutare le vittime della violenza sessuale presso l’Ospedale ‘Panzi’ di Bukavu nella Repubblica Democratica del Congo. Sono migliaia le donne trattate in questa oasi di pace per le ferite del corpo e dell’anima, un ‘effetto collaterale’ della guerra civile che in Congo ha fatto già 6 milioni di vittime. Mukwege è diventato il medico simbolo della lotta alla violenza sessuale sulle donne utilizzata come arma di guerra. Il suo motto è che la ‘giustizia è un affare che riguarda tutti’, tutti abbiamo il preciso dovere e la responsabilità condivisa di far conoscere e combattere questo crimine odioso. E la sua voce si è fatta sentire negli anni forte e chiara quando, mettendo a repentaglio la propria vita, ha condannato la violenza sessuale di massa restata impunita e criticato il suo governo, ma anche tutte le altre nazioni, per non aver preso iniziative decise contro questo crimine di guerra.
L’altra metà del premio è andata a Nadia Murad, una ragazza della minorità Yazidi del nord dell’Iraq. Nadia è una delle tante ragazze brutalmente e ripetutamente violentate dai militanti dell’ISIS. Ma a differenza delle sue coetanee, sigillate dietro un muro di omertà e di vergogna, Nadia ha avuto il coraggio di parlare, di gridare al mondo cosa era stato fatto a lei e alle sue compagne. Nell’agosto del 2014 l’ISIS ha attaccato il distretto di Sinjar, travolgendo con la sua furia anche il villaggio di Kocho, dove Nadia viveva con la sua famiglia. L’intento era quello di sterminare la popolazione Yazidi, con tutti i mezzi. Diverse decine di migliaia furono le persone assassinate a Kocho. Ma le ragazze e le bambine hanno avuto una sorte forse ancora peggiore. Furono rapite e usate come schiave del sesso. Nadia era una di loro e non le è stato risparmiato nulla. Dopo un incubo di tre mesi, la ragazza, che all’epoca aveva poco più di vent’anni, è riuscita a fuggire. Ma non si è lasciata dietro l’orrore delle violenze. Ha voluto farlo conoscere al mondo, con coraggio e grande dignità. Nel 2016 è stata nominata dalle Nazioni Unite il primo ‘Goodwill Ambassador for the Dignity of Survivors of Human Trafficking’.
Il Nobel di quest’anno e il tema scelto arrivano nel decimo anniversario della risoluzione 1820/08 dell’ONU che stabilisce che il ricorso alla violenza sessuale come strumento di guerra rappresenta sia un crimine di guerra che una minaccia alla sicurezza e alla pace internazionale. Anche lo Statuto di Roma del 1998, che ispira il lavoro della Corte Criminale Internazionale, stabilisce che la violenza sessuale durante le guerre e i conflitti armati rappresenta una grave violazione della legge internazionale.
Un Nobel non è sufficiente a cambiare il mondo. Ma adesso nessuno potrà più dire di non sapere. Nessuno potrà più girarsi dall’altra parte. E’ tempo che la giustizia faccia il suo corso.