Nasce da una corrispondenza da poco pubblicata sul Journal of digestive disease l’ipotesi di una correlazione tra l’infezione da Sars-coV-2 e alterazioni del microbiota intestinale e di un potenziale ruolo terapeutico dei probiotici.
È noto che la sintomatologia primaria causata dal Coronavirus è a carico delle vie respiratorie, con la comparsa di tosse, febbre e dispnea sino alla manifestazione più grave, ovvero la polmonite interstiziale bilaterale.
Esiste però una percentuale variabile, ma non trascurabile, di pazienti che accusa sintomi gastrointestinali come diarrea (2% ‐10,1%), nausea e vomito (1% ‐3,6%). Ricercatori del People’s Hospital dell’Università di Wuhan hanno identificato la presenza di acidi nucleici del virus in campioni fecali e tamponi anali, mettendo in guardia gli operatori sanitari anche sulla trasmissione oro-fecale del virus e non soltanto su quella aerea.
Come mai, dunque, sintomi respiratori e gastrointestinali?
L’ipotesi più accreditata vede come protagonista il recettore cui le spike protein, ovvero gli “spuntoni” del virus, si attaccano per penetrare nelle cellule bersaglio. Si tratta di Ace2, proteina di membrana presente nelle cellule epiteliali sia a livello polmonare, che intestinale. In quest’ultimo caso, soprattutto nelle cellule epiteliali dell’intestino tenue. Ace2, inoltre, ha già dato prova di interazione con i batteri intestinali laddove alcuni studi hanno messo in correlazione alcune sue mutazioni con un’alterazione del microbiota e conseguente minor rilascio di peptidi antimicrobici.
“I rapporti tra vie respiratorie e tratto gastrointestinale non sono ancora del tutto compresi”, dicono gli Autori. “Sappiamo che, in generale, i pazienti con infezioni respiratorie presentano generalmente anche disturbi gastrointestinali correlati a un decorso clinico più grave della malattia, fenomeno osservato anche in caso di Covid-19. Numerosi studi hanno dimostrato che agire anche sul microbiota intestinale può ridurre l’enterite e la polmonite associata a ventilazione meccanica. Attualmente, non vi sono prove cliniche che una modulazione del microbiota intestinale possa svolgere un’azione terapeutica nel trattamento di Covid-19, ma vi è un razionale che ci consente di ipotizzare un possibile ruolo, magari adiuvante”.
Da inizio dello scorso febbraio, le linee-guida della China’s national health commission and national administration of traditional chinese medicine, raccomandano l’utilizzo di probiotici nel trattamento di pazienti con grave infezione da Sars-coV-2 per mantenere l’equilibrio della flora intestinale e prevenire il rischio di sovrainfezioni batteriche, un segnale importante dell’attenzione al ruolo del microbiota intestinale in corso di infezione da coronavirus da parte degli stessi operatori sanitari impegnati in prima linea.
“È una corsa contro il tempo alla ricerca di una cura per Covid-19 al momento purtroppo non disponibile”, concludono gli Autori. “La nostra ipotesi è che i probiotici possano migliorare i sintomi gastrointestinali e proteggere anche l’apparato respiratorio, ma bisogna condurre studi specifici su questo aspetto. Un appello che però ci sentiamo di fare ai medici impegnati sul fronte è, comunque, di porre molta attenzione ai pazienti che presentano inizialmente una sintomatologia atipica di carattere gastrointestinale”.
Nicola Miglino