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Possedere un cane allunga la vita, specie per coloro che hanno sofferto un ictus o un infarto.

Tutti i residenti svedesi di 40-85 anni reduci da ictus o infarto nel periodo 2001-2012 (rispettivamente 155 mila e 182 mila) sono stati valutati e suddivisi in base al possesso o meno di un cane. I ricercatori hanno evidenziato che per i possessori di un ‘fido’ il rischio di morte per pazienti reduci da infarto che vivono soli è ridotto del 33%; il rischio è ridotto del 15% per coloro che oltre a possedere un cane hanno anche la fortuna di vivere con un partner o un bambino.

Inoltre per chi, reduce da un ictus, possiede un cane e vive solo il rischio di morte è del 27% inferiore; infine il rischio è del 12% inferiore per pazienti che hanno anche una famiglia. Un secondo lavoro, di Caroline Kramer dell’Università di Toronto, pubblicato in contemporanea e basato sull’analisi di dati di decine di studi già pubblicati per un totale di 3,8 milioni di individui, conferma l’effetto protettivo del cane: chi lo possiede ha un rischio di morte per ogni causa del 24% inferiore; del 65% in meno per la mortalità da infarto; del 31% in meno per la mortalità per altre cause cardiovascolari. L’effetto protettivo del cane potrebbe nascondersi nel fatto che chi lo possiede tende ad essere più attivo fisicamente e meno isolato socialmente, concludono gli autori dei due lavori.

ANSA


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Dopo un infarto il 60% dei pazienti rifiuta la riabilitazione per il cuore, ma dal Tai Chi può arrivare un aiuto. I movimenti lenti e gentili di questa disciplina la rendono promettente come alternativa di esercizio.

E’ quanto emerge da una ricerca guidata dalla Warren Alpert School of Medicine della Brown University, pubblicata sul Journal of the American Heart Association.

Gli studiosi hanno preso in esame 29 persone con problemi cardiaci non attive fisicamente (otto donne e ventuno uomini, di un’età media di 67 anni). Sebbene la maggioranza avesse sperimentato un infarto o una procedura di sblocco di un’arteria bloccata avevano tutti rifiutato la riabilitazione cardiaca e continuavano ad avere molti comportamenti a rischio, come fumo o colesterolo alto.

Sono stati sperimentati due programmi di Tai Chi, uno più corto e uno dalla durata più lunga.

Dai risultati è emerso che questa disciplina era sicura e senza effetti collaterali particolari, risultava gradita ai partecipanti (il 100 per cento l’avrebbe raccomandata a un amico) e in coloro che avevano seguito il programma nella versione più lunga portava anche un aumento dell’attività fisica settimanale da moderata a vigorosa.

«Da solo il Tai Chi non sostituirà ovviamente altri componenti della riabilitazione cardiaca tradizionale, come l’informazione sui fattori di rischio, la dieta e l’aderenza alla terapia – evidenzia Elena Salmoirago-Blotcher, autrice principale della ricerca – se si dimostrerà efficace in studi più ampi, potrebbe essere possibile offrirlo come opzione di esercizio all’interno di un centro di riabilitazione come soluzione ponte verso un esercizio più faticoso».

ANSA


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