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I sessantenni sono avvisati: avere un alto indice di massa corporea può essere collegato, anni dopo, a maggiori segni di invecchiamento cerebrale. Insieme alla circonferenza della vita più grande del normale, infatti, questa condizione può accelerare la degenerazione di almeno un decennio.

E’ quanto emerge da uno studio pubblicato dall’Università di Miami su Neurology, la rivista dell’Accademia americana di neurologia. La ricerca ha coinvolto per 6 anni 1.289 persone con un’età media di 64 anni.

Chi aveva un indice di massa corporea più elevato aveva anche una corteccia cerebrale più sottile, anche dopo che i ricercatori hanno posto sotto i riflettori tutti quei fattori che potrebbero influenzare lo sviluppo della corteccia, come l’ipertensione, l’uso di alcol e il fumo.

Nelle persone in sovrappeso, ogni aumento di unità di indice di massa corporea è stato associato a una corteccia più sottile di 0,098 millimetri. Situazione peggiore, invece, per le persone obese: la corteccia era diventata più sottile di 0,207 mm.

Gli studiosi hanno anche notato come la corteccia più sottile è stata legata anche ad un aumentato rischio di malattia di Alzheimer. 


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I chili in più in età infantile possono comportare un più alto rischio di ammalarsi di sclerosi multipla da adulti.

A evidenziare un ulteriore problema collegato all’epidemia di sovrappeso che interessa anche i più giovani è uno studio pubblicato su Neurology, la rivista medica dell’American Academy of Neurology.

Alcuni studi precedenti avevano suggerito che le persone che sviluppano precocemente hanno maggiori probabilità di ammalarsi di sclerosi multipla, una malattia cronica, spesso invalidante, che colpisce il sistema nervoso centrale. Ma un nuovo studio condotto presso la McGill University di Montreal, in Canada, attribuisce questo collegamento all’indice di massa corporea (BMI).

I ricercatori hanno esaminato il genoma di 329.245 donne e 372 varianti genetiche associate all’età in cui le ragazze hanno avuto il primo ciclo mestruale. Quindi, hanno esaminato un altro studio genetico che includeva 14.802 persone con sclerosi multipla e 26.703 senza malattia, per verificare se l’età della pubertà fosse associata al rischio di ammalarsi.

Ne è emerso che «uno sviluppo precoce è associato ad un aumentato rischio di sclerosi multipla, ma questa associazione è influenzata, e non indipendente, dalla quantità di grasso corporeo al momento dello sviluppo», ha detto l’autore dello studio J. Brent Richards.

«Sono necessarie ulteriori ricerche per determinare se la riduzione dei tassi di obesità potrebbe aiutare a ridurre la prevalenza di sclerosi multipla», prosegue, «ma se così fosse, potrebbe essere un altro motivo importante per concentrare le iniziative di sanità pubblica sulla riduzione dei tassi di obesità».

ANSA


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Anche per i bambini, come per gli adulti, sovrappeso e obesità incrementano il rischio di sviluppare asma.

Bambini e adolescenti in sovrappeso o obesi hanno maggiori probabilità di sviluppare asma. Il dato arriva da uno studio USA che ha coinvolto più di 500 mila tra bambini e adolescenti. Già alcuni studi avevano acceso i riflettori sul rapporto tra obesità e asma negli adulti. Per quanto riguarda i ragazzi, invece, ad oggi le evidenze degli studi sono state contrastanti.

Lo studio

Jason Lang e colleghi, della Duke University School of Medicine di Durham, in North Carolina, hanno osservato questo ampio campione per un media di quattro anni. I ragazzi avevano un’età compresa tra i 2 e i 17 anni. Circa l’8% dei partecipanti allo studio aveva ricevuto una diagnosi di asma. Rispetto ai bambini con un peso sano, quelli sovrappeso presentavano il 17% in più delle probabilità di avere una diagnosi di asma e quelli obesi il 26% in più.

Quando i ricercatori hanno esaminato la correlazione tra asma e obesità anche sulla base della spirometria, il legame si è dimostrato più forte. L’obesità è stata associata a un rischio aumentato del 29% di asma sulla base dei criteri diagnostici più rigidi.

I commenti

“Lo studio non è stato concepito per dimostrare se o come il sovrappeso potrebbe direttamente causare l’asma, ma i risultati offrono alcune evidenze, ad oggi tra le più convincenti, cheesiste una connessione”, dice Jason Lang.”Alcuni studiosi hanno ipotizzato che una crescita anomala dei polmoni associata all’obesità produca un’ostruzione del flusso dell’aria”, aggiunto. Diversi studi hanno mostrato che i sintomi asmatici migliorano con il dimagrimento, ma il meccanismo alla base è ignoto”. I ricercatori hanno stimato che dal 23 al 27% di nuovi casi di asma nei bambini potrebbero essere direttamente attribuibili all’obesità.

Pediatrics 2018


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E’ la semplice ma efficace ricetta contenuta in uno studio della Mayo Clinic appena pubblicato. La battaglia contro i chili di troppo si combatte quindi anche stando più in piedi e meno seduti. Strappare alla sedia o alla poltrona sei ore al giorno consente alla fine dell’anno di perdere fino a 2,5 Kg.

Una persona di 65 chili può perdere fino a 10 Kg in 4 anni, semplicemente trascorrendo 6 ore al giorno in piedi, anziché seduto.
E’ il messaggio forte e chiaro che scaturisce da uno studio pubblicato su European Journal of Preventive Cardiology.

Tra le cause dell’epidemia di obesità che affligge il mondo occidentale e non solo, viene spesso tirata in ballo anche la sedenterietà. Che non significa solo non fare sport e attività fisica, in palestra o al parco, ma anche e soprattutto trascorrere troppe ore al giorno seduti. Si può anche essere degli sportivi, ma trascorrere troppe ore al giorno seduti è un’abitudine poco salutare. E gli europei in media passano sette ore al giorno seduti, per questioni lavorative, di studio o per pura pigrizia.

Gli autori di questo studio sono andati a vedere se il semplice stare in piedi consenta di bruciare più calorie; per farlo, hanno analizzato i risultati di 46 studi, su un totale di 1.184 partecipanti (età media 33 anni, 60% maschi, con indice di massa corporeo medio 24 e peso 65 Kg).

Stare in piedi consente di bruciare 0,15 kcal/minuto in più che stare seduti; il che, moltiplicato per 6 ore, fa 54 kcal consumate in più al giorno; questo consumo calorico, rapportato ad un anno, equivale a 2,5 Kg in meno e a 10 Kg in meno se l’abitudine di stare in piedi anziché seduti viene mantenuta con costanza per 4 anni.

“Stare in piedi – spiega Lopez-Jimenez, direttore della cardiologia preventive presso la Mayo Clinic di Rochester (USA) – non solo consente di bruciare più calorie, ma fa svolgere un’attività muscolare ulteriore che riduce il rischio di infarto, ictus, diabete; da questo punto di vista dunque, i benefici del trascorrere più ore in piedi vanno  molto al di là della semplice perdita di peso. I risultati del nostro studio potrebbero inoltre essere una sottostima, perché normalmente quando una persona sta in piedi tende a fare una serie di movimenti quale spostare il peso da una gamba all’altra, fare qualche passo avanti e indietro, fare delle brevi camminate per buttare la carta nel cestino o per andare verso un armadio.” Nello studio invece le calorie consumate venivano calcolate facendo semplicemente stare in piedi sul posto i partecipanti.

Gli autori concludono dunque che sostituire alcune delle ore trascorse seduti, con altre passate in piedi può rappresentare una valida strategia per il controllo del peso a lungo termine. Studi futuri dovranno valutare quanto questa strategia sia applicabile nella vita quotidiana e la sua efficacia in pratica. Di certo nel frattempo, “è importante evitare di stare seduti troppo a lungo – consiglia il professor Lopez-Jimenez – Stare in piedi è già un buon inizio per rompere la routine del trascorrere troppe ore seduti. E chissà che questo non involgi la gente a fare anche un po’ di più, a fare un po’ di attività fisica sul serio, che di certo avrebbe effetti ancor più benefici”.


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C’è un legame molto più forte del previsto tra il nostro orologio biologico, o meglio, tra il momento in cui per il nostro corpo è venuto il momento di andare a dormire (anche se non è notte), la melatonina e la quantità di chili che diventano grasso nel corpo.

Lo hanno verificato i ricercatori del Brigham and Women’s Hospital di Boston, il cui studio è pubblicato sull’American journal of clinical nutrition.

Attraverso una app hanno analizzato i dati di 110 adulti tra i 18 e 22 anni, sui loro ritmi di sonno e veglia, e il consumo di cibo per 7 giorni di seguito. In questo modo hanno scoperto che se non si vuole ingrassare, bisogna far passare qualche ora dal pasto prima di andare a dormire, in modo da dare al corpo il tempo di digerire.

Le maggiori percentuali di grasso sono infatti state trovate nelle persone che consumavano la maggior parte delle loro calorie poco prima di andare dormire, quando cioè i livelli di melatonina (l’ormone prodotto dal corpo, che regola il sonno e la veglia e annuncia l’inizio della “notte biologica”) erano più alti. Chi invece aspettava qualche ora dopo la fine del pasto per dormire, aveva meno grasso.

Quello che influisce è quindi il momento del consumo di cibo rispetto alla produzione di melatonina nel corpo. Il metabolismo umano è influenzato dal ritmo circadiano, che varia da persona a persona, magari per turni di lavoro irregolari o semplicemente perché c’è chi preferisce alzarsi presto e chi stare sveglio fino a tardi.

ANSA


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Tv accesa e pasti non preparati a casa. Un binomio da evitare se si vuole mantenere la linea.

Gli adulti che non guardano la tv durante i pasti e mangiano cibo per lo più cucinato in casa, hanno molte meno probabilità di altri di essere obesi. La conferma arriva da un recente studio condotto negli USA. Già diversi studi avevano messo in evidenza come il consumo dei pasti in famiglia siano correlati a un rischio minore di obesità. I 12.000 partecipanti a quest’ultimo studio, tutti residenti in Ohio, hanno fatto registrare l’importanza di un altro aspetto nella riduzione rischio di obesità, a prescindere dalla consumazione o meno del pasto in famiglia: la televisione spenta.

Il team di ricerca ha analizzato i dati di 12.842 adulti che avevano consumato almeno un pasto in famiglia la settimana precedente lo studio. Circa un terzo aveva un indice di massa corporea di 30 o più. I partecipanti hanno poi risposto a domande sulle loro abitudini: quanto spesso consumassero i pasti a casa con la propria famiglia, quanto spesso guardassero la tv durante i pasti e se i pasti stessi fossero stati preparati in casa. Nel complesso, il 52% degli intervistati aveva mangiato pasti in famiglia per sei o sette giorni alla settimana, il 35% lo aveva fatto un giorno sì e uno no e il 13% solo uno o due giorni.

Circa un terzo degli adulti aveva guardato la tv durante la maggior parte dei pasti in famiglia, mentre un altro 36% non lo aveva fatto. Per il 62% degli adulti tutti i pasti consumati in famiglia erano cucinati in casa. I ricercatori hanno rilevato che il numero di pasti consumati con la loro famiglia non era correlato alla probabilità di essere obesi.

Gli adulti che cucinavano e consumavano in casa tutti i loro pasti avevano tuttavia il 26% di probabilità in meno di essere obesi rispetto a chi faceva diversamente.

Le persone che guardavano la televisione durante i pasti presentavano una probabilità inferiore del 37%  di essere obesi rispetto a quelli che guardavano sempre la TV.


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Iscriversi in palestra è uno dei propositi più “gettonati” per il nuovo anno, ma in molti casi dopo l’entusiasmo iniziale si finisce per non andarci più. Una delle ragioni per le quali continuare a insistere nell’attività fisica per tanti è così difficile potrebbe risiedere nel fatto che l’inattività è come un circolo vizioso: più si è inattivi più diminuisce il desiderio di muoversi, e il peso in eccesso accumulato magari durante le feste c’entra solo fino a un certo punto, contano di più alcuni meccanismi interni al cervello.

Emerge da una ricerca del National Institute of Diabetes and Digestive and Kidney Diseases, parte dei National Institutes of Health americani, pubblicata su Cell Metabolism. Dei topi sono stati divisi in due gruppi: uno nutrito con una dieta standard, l’altro con una dieta ricca di grassi per 18 settimane. A partire dalla seconda settimana, i topolini che avevano seguito una dieta non sana sono aumentati di peso e dalla quarta settimana hanno iniziato a muoversi di meno e più lentamente. I roditori hanno iniziato a muoversi meno già prima di mettere su la maggior parte del peso in eccesso e questo ha suggerito che i chili in più non erano responsabili del mancato movimento.

Da qui allora l’ipotesi, legata a quanto osservato su topi con il morbo di Parkinson, di possibili disfunzioni a livello cerebrale nel sistema della dopamina, collegata ad esempio al piacere e alla felicità.

Approfondendo, gli studiosi hanno così verificato che nei topi con peso in eccesso e inattivi vi era effettivamente deficit di un recettore della dopamina noto come D2. «Ci sono probabilmente altri fattori coinvolti, ma il deficit di D2 è sufficiente a spiegare la mancanza di attività» spiega Danielle Friend, prima autrice dello studio.

ANSA


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